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Il 30 maggio, 1° e 2 giugno si è tenuto a Torreglia il convegno straordinario “Incontriamoci così come siamo… sulla soglia…”, organizzato da Identità e Differenza di Spinea con la rete delle Città Vicine e le Nuove Beghine. Il convegno riprende gli incontri che si sono tenuti annualmente dal 1995 al 2018, importanti momenti di confronto di pratiche politiche femministe e di relazioni di differenza tra donne e uomini.

In questa occasione, Alberto Leiss di Maschile Plurale ha introdotto il tema della sua ricerca di genealogie maschili che desidera ritessere alla luce dell’incontro con il femminismo e ha avanzato la proposta di una pratica di incontro tra gruppi di uomini e gruppi di donne indipendenti. Ne è nato un dibattito interessante, che si è intrecciato agli altri temi portati da donne e uomini nell’incontro e incentranti in gran parte sul clima di guerra e le possibili risposte.

Umberto Varischio e Stefano Sarfati, entrambi impegnati alla Libreria delle donne, hanno messo a punto efficacemente il senso della loro pratica politica direttamente radicata in un contesto femminista e, come pure Claudio Vedovati, ciascuno con sfaccettature diverse, della scelta di inscriversi in una genealogia femminile. Marco Deriu (anche lui di Maschile Plurale) ha parlato del suo bisogno di ricostruire, come Alberto, una genealogia maschile a positivo, radicandola anche nella sua biografia personale e nella perdita precoce del padre.

Seguono i due interventi di Stefano Sarfati durante il convegno.

(La redazione del sito)

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Mia mamma è una delle fondatrici della Libreria delle donne di Milano, sono cresciuto tra le femministe, e ho sempre trovato una cosa normale dare autorità alle donne. Comunque aldilà di questa vicinanza che ho avuto fin da ragazzo, c’è stato un momento in cui ho letto, riflettuto e frequentato da vicino la Libreria delle donne e dopo un’iniziale difficoltà, il guadagno in termini di libertà è stato enorme. La mia grande scoperta (ma è la scoperta che fa ogni uomo che vi si avvicina) è stata che il femminismo della differenza è buono per gli uomini come per le donne, così come la madre è buona per i figli come per le figlie.

L’intervento di Alberto Leiss come altre volte in passato è stato per me stimolante e mi ha suscitato una riflessione. Quando Alberto ha accennato alle figure maschili da salvare, cosa si può salvare del patriarcato, mi ha fatto ricordare quando ho letto L’ordine simbolico della madre di Luisa Muraro, in particolare quando parla di genealogia materna. All’inizio rimasi spiazzato, ho sentito un senso di vuoto e spaesamento, mi dicevo: e io dove sono in tutto ciò? Mia sorella era inclusa nella genealogia di nostra madre e io no.

Poi ho pensato ok, mia sorella con le sue figlie continua la genealogia, mentre io sono diciamo così “un binario morto”, ma intanto che vivo sono nella genealogia di nostra madre, tanto quanto lei.

Quindi, per tornare all’intervento di Alberto Leiss la mia genealogia di uomo non sono i Montaigne, gli Spinoza eccetera, ma la mia madre naturale e altre madri simboliche.

Questo mi porta anche a essere d’accordo con l’intervento di Umberto, con cui condivido la pratica politica alla Libreria delle donne di Milano, di non ritenere interessante un gruppo di uomini che si esprimano in quanto uomini femministi, ma trovo interessante esprimermi da uomo femminista in un luogo principalmente di donne.

Da quando ci siamo riuniti l’ultima volta qui a Torreglia ad oggi il mondo è peggiorato, si parla di bombe atomiche, e siamo tutti e tutte angosciati. Personalmente credo che se tutti gli uomini dichiarassero la loro genealogia materna, ossia l’ordine simbolico della madre, figure come Trump, o Putin, ma anche Macron o Stoltenberg e le brutte copie nostrane, che in qualche modo esistono grazie alla figura simbolica del padre, perderebbero immediatamente consistenza.

Dopo la fine del patriarcato siamo finiti in un vuoto dove tutto può succedere, il passaggio che manca secondo me è il passaggio in cui gli uomini si rifanno a una genealogia della madre.

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La radicalità del percorso del femminismo italiano dagli anni del Demau ad oggi, ma anche la domanda di Adriana Sbrogiò di ieri: voi uomini cosa fate? meritano da parte di noi uomini che ci diciamo femministi, una risposta radicale. Anzi gliela dobbiamo.

Non è più il momento dei pianti per i padri perduti, non è più il momento dei grandi geni del passato, se vogliamo un cambio di civiltà questi padri si devono lasciar andare, per citare Carla Lonzi: «vai pure».

Ovviamente sto parlando di padri simbolici; non è che non capisca il trauma della perdita di Marco Deriu, rispetto il suo dolore, io qui sto parlando di politica, di guerra e di pace, di vita e libertà.

Ribadisco quello che ho detto ieri: noi uomini che ci diciamo femministi dobbiamo senza esitazione dichiarare la nostra adesione al mondo della madre e dobbiamo trovare delle parole da far dilagare nel mondo per intendere questa adesione simbolica.