UNA RIVISTA PRECARIA COME LE NOSTRE VITE
Laura Minguzzi, Silvia Baratella
15 Giugno 2015
Domenica 17 maggio 2015, mattinata calda e soleggiata, un anticipo d’estate. La sala del Circolo della rosa è piena di persone e di voglia di stare e pensare insieme. È il primo incontro di Via Dogana 3, il progetto che nasce dopo la chiusura della seconda serie della rivista Via Dogana. Ci sono donne – e alcuni uomini – venute da ogni parte d’Italia e due anche dalla Spagna. Alla fine della riunione ci attende un buffet.
Apre l’incontro Luisa Muraro:
«Quello che capita qui è qualcosa di potenziale. È una proposta di input problematici. Questo luogo può diventare un momento di riflessione di politica delle donne e di uomini che rispondono a certe proposte del femminismo, sempre tenendo aperti gli elementi conflittuali. Abbiamo risposto a un desiderio di momenti di riflessione teorica. Ogni due mesi ci ritroveremo a discutere.
Perché mi sono associata a Laura Minguzzi che non fa parte della redazione ristretta? Per le sue qualità, perché è legata a noi, perché è presidente del Circolo della rosa e perché molto legata all’impresa della pratica della storia vivente.
Qual era il difetto di Via Dogana seconda serie, arrivata al numero 111? Era un buon prodotto, non lo nego, e alcune si adoperavano per farlo esistere al meglio, ma non bisogna restare mai imprigionate nella propria impresa. Era come se facessimo apparire più di quello che c’era. Ora abbiamo un prodotto più precario. Esisterà quello che faremo esistere, ciascuna e ciascuno di noi, facendo apparire quello che effettivamente c’è in questa doppia veste. Sono convinta che l’agire politico, per l’essenziale, – richiamo Hannah Arendt – sia esporsi in prima persona là dove si è, nel momento in cui le cose lo domandano. Prendere l’iniziativa. Solo dopo vengono la tenacia e la fedeltà». E conclude: «Con Laura Minguzzi mi sono accordata per proporre alla discussione due temi ciascuna che ci stanno a cuore».
Primo tema proposto da Laura Minguzzi: la guerra in Ucraina oggi. Dopo la pacifica “rivoluzione arancione” del 2004, c’è stata la proposta di adesione all’Unione Europea, il colpo di stato del 2014 e lo scoppio del nazionalismo.
Laura era in relazione con Tatjana, sua figlia Olga e altre che animano il sito di Storia delle donne in Ucraina. Dopo tutte queste vicende, nella relazione si è prodotta un’impasse. Tatjana non vuole definire “guerra civile” ciò che accade, sostiene che il suo paese è in guerra con la Russia di Putin che vuole impedirgli di entrare nell’Unione Europea, di cui lei vuole far parte. Laura si chiede come stia insieme la libertà femminile con il loro sostegno indiretto all’attuale governo, e non riesce a riportare il discorso fuori dallo schieramento nazionalista.
Primo tema di Luisa Muraro: parte dal racconto di Lucia Bertell di Verona sulla sua esperienza alla manifestazione del primo maggio a Milano (http://www.libreriadelledonne.it/sui-fatti-del-primo-maggio-a-milano/). Una manifestazione gioiosa, ricca e articolata, a cui lei ha voluto partecipare a partire dalla sua esperienza del FuoriExpo, precipita negli scontri e nella violenza. Lucia si è sentita vittima di un’ingiustizia, defraudata. Ma nel suo racconto, dice Luisa, ingloba un giudizio complessivo tipico della sinistra antagonista, critica anche Vandana Shiva per la sua partecipazione a Expo: crea uno schieramento. Un paradosso che si collega a quello che diceva Laura.
Secondo input di Laura: l’economia della restituzione simbolica. Le Donne in nero hanno istituito un “tribunale delle donne” a Sarajevo in cui, attraverso la presa di parola e la narrazione della loro storia, in presenza di donne a cui è stata riconosciuta autorità, le vittime degli stupri durante la resistenza e le guerre balcaniche ricevono, come prima forma di giustizia, rilevanza simbolica. Si infrange così il silenzio dei governi e dei tribunali sulle violenze contro le donne e diventa possibile parlarne come di un fatto politico. È un inizio.
Secondo input di Luisa: gli scenari di violenza in Medio Oriente e l’estremismo religioso. Le donne c’entrano, ma come? Come bersaglio della violenza che fa notizia, cioè quella su di loro, sui cristiani e sulle opere d’arte; come adepte che fanno propaganda, esibite per mascherare il fatto che siamo in presenza di un “fra uomini”. Anche l’Occidente usa le donne in questo senso. Prese in questa contraddizione, ci ritroviamo fuori gioco. Forse l’essenziale della questione ci è invisibile. Com’è accaduto a Laura con Tatjana, anche il suo scambio con la studiosa marocchina Aïcha El Hajjami si è interrotto da quando c’è di mezzo l’Isis.
«Qual è il senso di questo incontro», conclude Luisa, «non essendoci la meta (cioè la rivista da far uscire) che dà la misura? In prima battuta, il senso è quello di una palestra di parola, di scambio fra noi, stare insieme senza pensare alla scrittura. In seconda battuta, c’è la scrittura». Il progetto è di fare incontri periodici, liberi, fucina di scambi intensi che permettano alle singole di pensare e scrivere testi per il sito. La questione primaria è esserci in prima persona e prendere iniziative. Gli stimoli sono importanti anche per elaborare la nostra pratica in città. Per esempio: a Milano, alcune che hanno un progetto di riqualificazione di un’area urbana dismessa (la Piazza d’Armi di Baggio), stanno cercando di capire come farlo approvare usando l’autorità femminile, cercando una relazione con donne di qualità nell’amministrazione milanese, anziché impantanarsi in percorsi faticosi, burocratici o rivendicativi.
C’è bisogno di parola e di scrittura su casi come questi, per leggere l’esperienza. È necessario il confronto fuori dagli schieramenti e dalle mediazioni, per capire se si fa un passo avanti o un passo indietro.
Queste le introduzioni. Ora gli interventi. Cercheremo di rendere i fili conduttori del dibattito e gli spunti che più ci hanno interessato, senza citare tutto quello che è stato detto, né tutte quelle che hanno parlato.
Anche Milagros Rivera ha fatto esperienza del nazionalismo e delle impasses che può produrre nelle relazioni tra donne, tanto che ha lasciato la sua Barcellona per trasferirsi a Madrid. Dalle donne del nazionalismo catalano le era diventato ormai impossibile farsi ascoltare, le veniva richiesto solo di dichiarare uno schieramento. Milagros voleva tenere viva la sua lingua, il castigliano, e non schierarsi, e la situazione era diventata insostenibile. Adesso un’amica di Duoda l’ha capita, e il suo pensiero non è più indicibile. Ha ricevuto una restituzione simbolica, che le ha permesso di continuare i rapporti con Duoda, il centro di ricerca che aveva fondato con altre anni fa. Anche se preoccupazioni per le possibili evoluzioni della crisi catalana restano, c’è stato un passo avanti.
Vita Cosentino, più tardi, dirà che questo imperversare di violenza fra uomini ha ammutolito scambi importanti, e che per superare l’impasse occorre intensificare gli scambi. «Sì, però nel qualitativo, nella qualità delle relazioni!» precisa Luisa.
Scambi con donne forti, spiega Vita, con esperienze diverse dalle nostre ma con pratiche comuni. «Ieri sera Vandana Shiva era qui e ha riconosciuto la Libreria come un “luogo di vera democrazia”, un luogo in cui c’è qualcosa di un ordine differente». Un’altra restituzione simbolica.
Un intervento ha attaccato scienza e tecnologia, un’altra ha reagito per difendere il valore della scienza. Le voci si sono alzate, una terza si è inserita: «Ma tu la usi la lavatrice?», ci siamo interrotte a vicenda. Luisa Muraro ha tolto la parola a tutte: discuterne così porta solo a una rissa. L’argomento per ora è in quarantena.
Altro abbozzo di polemica, stavolta su cultura islamica e cultura occidentale.
Marina Terragni a Luisa Muraro: «Ammetti che in Occidente si vive meglio che nel mondo musulmano!»
Luisa Muraro: «Posto in questi termini, rifiuto di rispondere e te l’ho già detto!».
Lia Cigarini ha ripreso la vicenda narrata da Lucia Bertell. Partecipando in prima persona con pratiche di autorità femminile all’elaborazione di gruppo sui temi di FuoriExpo, Lucia pensava di potersi inserire tranquillamente in una manifestazione che rispecchiava altre pratiche (la tradizionale Mayday Parade del primo maggio, che quest’anno aveva la parola d’ordine No-Expo). Credeva che la sua pratica fosse parlante ovunque. Invece il confronto tra pratiche politiche e tra pratiche e contesti dev’essere studiato come strategia.
La stessa esperienza l’ha fatta il gruppo dell’Agorà del lavoro. «È stata un’esperienza positiva, ma non completamente. C’era infatti la convinzione che intorno alla pratica del partire da sé si sarebbero raccolti automaticamente tutti e tutte quelle che hanno un pensiero altro sul lavoro. Quella pratica ha invece allontanato dall’Agorà uomini che al principio erano interessati». Bisogna affrontare il passaggio tra la tua pratica e il contesto, le forze in campo. Per esempio, Lucia Bertell ha sottovalutato che in campo c’erano i black block. La manifestazione del 1° maggio è stata distrutta dai black block, il 2 maggio la cittadinanza è scesa in strada per cancellare le tracce della violenza: in entrambi i momenti non sono emersi i temi della manifestazione.
Loredana Aldegheri parla di insufficienza della politica prima, quella del partire da sé: «Riesce sì a creare frutti fecondi dal basso, ma non riesce a generare universali, nuovi paradigmi, ordine simbolico. I poteri forti continuano a rigenerarsi e i giochi di potere non arretrano».
Lia critica l’espressione di Loredana: «Finché si sta “in basso” non si ottiene niente. Si resta in posizione inferiore. Per fare il lavoro simbolico non si deve stare in basso». Per fare il lavoro del simbolico, si deve fare una scelta e «dare priorità a quelle donne in cui tu pensi ci sia un di più», dice citando Marirì Martinengo.
Anche Vita Cosentino riprende la storia di Lucia, ma registra un dato positivo: «Da No-Expo a FuoriExpo si è realizzato un grande spostamento». Fa un’analogia con il Fuori Salone nato a Milano dal Salone del Mobile e diventato ora più importante della manifestazione ufficiale: «Chi si inventa qualcosa, abbandonando la pratica della sinistra di opporsi e basta, produce cambiamento. Il cambiamento allora non passa per il ribaltamento, per la rivoluzione come diceva il marxismo, ma per la metamorfosi».
«Il Fuori Salone del mobile ha dato un’immagine di città», aggiunge Sandra Bonfiglioli, «un processo che ha acceso altri processi di visibilità. Occorre fare attenzione a questi processi radicati in luoghi: è la città stessa che nella sua molteplicità si fa vedere. È una pratica milanese. Anche noi possiamo innestarci nella città con la nostra presenza e cambiare le cose».
Annarosa Buttarelli pensa che la politica prima non possa più essere proposta come abbiamo fatto finora. «Non abbiamo abbastanza pratiche pubbliche. Occorre registrare il fatto che la differenza femminile si articola. Non può essere riportata alla formula unitaria “le donne sono ovunque”.» La sua formula è quella della sovranità, che si sta articolando in modi ancora da scoprire.
«Non amiamo abbastanza le altre donne» replica Luisa. «Lo spostamento di amore sulle altre ha portato grandi cose. In quella dimensione di sovranità non c’è abbastanza amore di donna verso donna. Il rifiuto della femminilità è il rifiuto del contatto con il corpo materno. L’amore è un’entità inesauribile. Se il circolo è virtuoso si produce nuovo amore. Non è uno spostamento solo di quantità, ma di importanza e di valore. È importante mettere in ordine attraverso la scrittura il pensiero che si è guadagnato insieme: Milagros ha parlato di “restituzione simbolica” dopo uno scontro tra donne, è una definizione precisissima».
Più tardi Luisa dirà anche: «Se c’è qualcosa di positivo nella relazione con una donna che occupa una posizione di potere, allora lì c’è anche la politica. Non c’è una separazione tra i buoni rapporti da una parte e la politica dall’altra. Il mettere insieme la politica e l’amore fa esplodere le due cose… Si cambia non solo concezione della politica, ma soprattutto concezione dell’amore».
Sul conflitto, Chiara Zamboni parla di quello in atto fra paradigmi: da un lato, un’organizzazione della società aggressiva e dominatrice e dall’altro, come ha detto la sera prima Vandana Shiva, l’erba calpestata che rialza sempre la testa. «Noi donne – dice – abbiamo la tendenza a mettere d’accordo tutti, il nostro elemento di forza sono le relazioni. Ma è il conflitto che porta alla consapevolezza. Il conflitto non si può evitare».
Ana Mañeru, l’altra amica spagnola, racconta l’esperienza di un conflitto lacerante fra donne a Madrid. Scrivendo a Luisa ha fatto ordine nel suo pensiero e ha capito che il conflitto era in lei. Aveva idealizzato la politica delle donne e metteva il progetto al di sopra delle relazioni. Quando ha smesso di pensare a come realizzare al meglio il progetto e si è dedicata a curare al meglio le relazioni, il conflitto si è risolto.
«Portate delle esperienze di agire politico per arrivare a costruire figure di scambio, e siate precise nell’indicare quali sono i conflitti e quali le scelte», invita di nuovo Lia. «Il punto debole che può generare conflitti fra donne è la questione dell’autorità femminile, messa sull’altare e poi sempre stracciata. Affrontiamola.»
Per esempio, riguardo all’Expo lei si è sentita spinta a fare qualcosa in più di un banchetto di libri alla Cascina Triulza quando ha visto che Vandana Shiva ha accettato di andarci come ambasciatrice.
«Vandana Shiva, che è impegnata dal 1975 nella sua lotta, per me è un riferimento di autorità su temi di cui, personalmente, so ben poco. Mi sono affidata alle ragioni che sicuramente Shiva avrà meditato per decidere di esserci». È la mancanza di autorità che crea conflitti. Nel rapporto col mondo, non si tratta di schierarsi di qui o di là solo perché le donne “c’entrano”, ma di passare attraverso una relazione, a volte di prossimità, in altri casi come con Vandana Shiva, di competenza, dove non si hanno conoscenze dirette.
«C’è molto in quanto ci siamo dette, ci sono questioni di grande importanza per una politica che consiste nell’esporsi in prima persona dove ci si trova a vivere – conclude Luisa – Abbiamo lavorato bene; il seguito è affidato a singole, gruppi, circostanze, occasioni. Quello che non avete detto e che avete pensato qui dentro è di enorme importanza, è quasi più prezioso di quello che è stato detto.»
… È il momento di passare alla “seconda battuta”, alla scrittura: scrivete, allora, e mandate i vostri preziosi pensieri, inespressi o già palesati, o i racconti delle vostre pratiche e delle vostre esperienze, con oggetto “Via Dogana 3”, all’indirizzo del sito della Libreria delle donne: info@libreriadelledonne.it
Abbiamo già ricevuto un contributo di Vita Cosentino, in cui approfondisce il tema dello spostamento simbolico dato dal FuoriExpo: http://www.libreriadelledonne.it/dal-fuori-salone-al-fuori-expo/ e due dalla Spagna: uno di Milagros Rivera, su nazionalismo, donne politiche e prostituzione, e uno di Ana Mañeru, sul conflitto tra donne, che trovate qui, nella sezione #ViaDogana3 del sito.
Aspettiamo anche i vostri!