Condividi

Pubblichiamo questo testo uscito sulla rivista Mediterranean n. 2 del 1996 (ed. Mediterranea Media) perché si riallaccia all’argomento di questo numero di Via Dogana Tre, “Sono soldi i soldi?”, trattandolo dal punto di vista della necessità di un mezzo di scambio materiale e simbolico che dia atto degli scambi tra donne per concretizzare una civiltà femminile e tra la società delle donne e gli uomini. Il denaro storicamente ha sempre avuto anche questa funzione di scambio simbolico e riconoscimento e le riflessioni e l’esperienza qui contenute sono un prezioso contributo alla nostra riflessione attuale. Anche la redazione di Via Dogana una volta ha retribuito con la moneta Gea (riprodotta nell’immagine qui sopra) le autrici degli articoli di un numero e il senso di riconoscimento ricevuto è stato forte. (La redazione di VD3)

Relazioni tra donne, patti tra donne, progetti tra donne: fondamento di civiltà.

Significare questo in maniera tangibile.

Il movimento femminista degli anni settanta e ottanta in America e in Europa, pur nelle sue differenti anime e manifestazioni, era venuto a creare qualcosa sentito da molte che lo abitavano come territorio comune, identità comune; un embrione di quel “mondo comune delle donne” della cui necessità aveva parlato Adrienne Rich, il cui pensiero aveva stimolato riflessioni feconde nel femminismo italiano. 

«Le donne hanno e non hanno avuto un mondo comune. Il semplice fatto di condividere un’oppressione non costituisce un mondo comune… La nostra è la storia del genere umano, ciononostante ogni battaglia intrapresa dalle donne per una condizione più “umana” è stata relegata negli spazi a pié pagina, ai margini. Soprattutto è stata negata la forza storica dei rapporti tra donne. […] Per poter avere un’ininterrotta continuità di valori e di tradizioni, abbiamo bisogno di prodotti concreti, di manufatti, di parole da leggere, di immagini da guardare, un dialogo reale con donne di coraggio e di immaginazione che hanno vissuto prima di noi… Le donne del patriarcato non hanno potuto costruire un mondo comune se non in riserve, attraverso messaggi in codice.»1

Stavamo sperimentando la vita nel movimento delle donne come un embrione di nuova socialità che si nutriva di scambi tra noi, e la ricerca di tante, spesso artiste, era volta a trovare o ritrovare la connessione con una “sacralità” che ci fosse propria.

Emergeva la necessità di un Divino Femminile collettivo e pubblico.

Nei primi anni ’70 la teologa americana Mary Daly, dopo aver invano tentato un dialogo “da donna a uomini” all’interno della Chiesa Cattolica, durante una cerimonia religiosa pubblica solenne in cui era stata, prima donna, autorizzata a parlare dal pulpito, con un gesto clamoroso invita le donne presenti ad «uscire dalla Chiesa patriarcale»; molte accolgono l’invito alla lettera e lasciano l’edificio sotto l’occhio “sbalordito” delle telecamere.

Nel 1985 la filosofa francese Luce Irigaray, molto amata in Italia, scriveva: 

«Per accedere ad una organizzazione sociale occorre alle donne: una religione, un linguaggio, una moneta di scambio o un’economia non mercantile… Voler instaurare una nuova socialità non esclude che noi viviamo in quella che già esiste: una società sacrificale, tecnica, tecnocratica, fatta e governata da soli uomini. È tuttora vero più che mai. Come inaugurare fra noi certi riti per abitarvi e divenire lì donne in tutte le nostre dimensioni? Come creare, fra noi, dei sistemi di scambi? Non conosco società che abbiano vissuto nel e dello scambio fra donne. È forse esistito tanto tempo fa? Esiste forse ancora lontano da qui? Ma dove sono le tracce di una moneta fra donne? E di un Dio fra donne?»2

Su questo sfondo, in questa cornice, nel corso degli anni ottanta si era sviluppato a Bologna, a margine o lontano dai circuiti ufficiali, il lavoro di alcune artiste: “Profete e Sibille”, creatrici di immagini e di parole volte a costruire mondo, lanciate come ponte verso altre donne animate dalla stessa passione.

Nascevano nuove Scritture Sacre: Oltre l’Apo-calisse, profezie-metafora in un ipotetico Libro Sacro femminile, che apre un capitolo di nuova civiltà che chiama al superamento del dominio patriarcale:

«E la MADRE mi disse: “Vai, e che il tuo grido echeggi per ogni dove, e sovrasti la voce delle tempeste e sia maggiore dell’urlo dell’Oceano. Si accordi alla voce delle cascate e al canto dei fiumi. Che i vulcani siano muti, a suo riguardo.

Non verserai lacrime se non di gioia da che hai conosciuto la mia potenza. La mia potenza è la vostra potenza. Tua e delle mie figlie dilette. Quelle che non mi rinnegano. Le vostre voci come rivoli dai monti scenderanno, si uniranno tra loro a formare un grande fiume.

Il popolo di Giuditta ascoltò Giuditta e fu salvo.

il Popolo di Cassandra non ascoltò Cassandra e fu distrutto.

Se il popolo della Terra non ascolterà la vostra voce, tutto sarà distrutto […]”»

Genesi per divina fanciulla, la scrittura di una nuova Genesi:

«In Principio era il caos: ma la Madre

era presso la Figlia e il verbo presso di loro

e neppure una delle cose create senza la loro unione è stata fatta:

in esse era la vita e la fine della vita, il moto

così che nella luce l’ombra e ombra è luce

né delle Tenebre nessuna avrà mai più paura […]»

Avevamo una passione per la trascendenza, ma anche l’immanenza ci segnava con il suo peso. Una moneta a significare il valore di questo fondamento di civiltà. Una moneta: Gea*, a ricordare l’origine di tutte e di tutti noi.

Da tutto questo fermento vitale, che rimaneva invisibile a chi non vi fosse immersa direttamente, derivavano lente trasformazioni, ricchezza per le nuove generazioni, che ne fruivano non consapevoli della sua origine, ricchezza talvolta sottovalutata e dimenticata dalle stesse che l’avevano prodotta.

Capitava infatti alla realtà del movimento femminista lo stesso “oscuramento” che, come per destino ineluttabile, cancella sistematicamente dalla coscienza collettiva di donne e uomini la presenza e il valore delle attività femminili dalle quali ha origine e sulle quali si sostiene ogni società umana, sottraendo così alle donne stesse la consapevolezza delle proprie potenzialità, avvolgendo la percezione che esse hanno di se stesse e del proprio agire, in un limbo senza tempo e senza peso.

Come, allora, rendere visibile e tangibile l’esistenza degli scambi preziosi che avvenivano e avvengono tra noi donne, come mettere in luce il loro valore?

Noi abbiamo scelto la lucentezza del rame, dell’argento e dell’oro modellata dal conio in moneta di segno femminile: nel 1990, a Bologna, viene coniata la Gea. Secondo alcune statistiche dell’Unesco del 1983, «le donne rappresentano il 50% della popolazione mondiale e un terzo della forza lavoro ufficiale, però effettuano quasi i due terzi delle ore totali di lavoro, ricevono solo la decima parte del reddito mondiale e possiedono meno della centesima parte della proprietà immobiliare mondiale». Per la maggior parte di noi donne il rapporto col denaro è difficile; l’esigere di essere pagate, il contrattare denaro per noi stesse è sentito come la rottura di un tabù sociale.

Il danaro infatti è sotterraneamente percepito come “attributo sessuale secondario” del maschio, quasi simbolo del suo atavico diritto a stabilire la gerarchia dei valori sociali.

Mettere in campo una moneta femminile implica il riconoscimento dell’esistenza di un mondo di valori stabiliti e concordati fra donne e dare a questo mondo uno strumento di dialogo e di scambio con il mondo dei valori stabiliti e concordati fra uomini.

Fare che questo significato tangibile circoli ovunque e potenzi l’azione delle donne.

Così la moneta ha incominciato a circolare, segnando simbolicamente scambi avvenuti tra donne o con uomini che riconoscono e rispettano il “nostro territorio”.

Con gee d’oro abbiamo pagato simbolicamente donne che con il loro lavoro teorico e politico hanno contribuito in maniera determinante alla nascita dell’Associazione Gea. Abbiamo pagato simbolicamente con gee d’argento e di rame donne e anche uomini che hanno sostenuto la nostra associazione in vari modi. Abbiamo donato gee ad altri gruppi per sostenere loro iniziative. Donne e anche uomini hanno comprato monete per sé o per pagare simbolicamente altre.

La gea, così, ha incominciato a segnare l’appartenenza a (o il riconoscimento di) un “mondo comune delle donne” ancora frammentario e poco visibile, e gli scambi che avvengono in questo e tra questo e il mondo fatto e governato dagli uomini. Ne viene un senso di identità che rafforza i legami tra donne.

Nate da un piccolo gruppo di “visionarie”, le gee hanno la vocazione di appartenere a tutto il genere femminile.

Nel “villaggio globale” esse aspirano a divenire simbolo e sostegno di quell’economia libera, informale, praticata soprattutto dalle donne che, assieme all’economia di natura, è alla base della qualità della vita e che, come sottolinea l’ecologa femminista Vandana Shiva, è in via di sistematica distruzione per far posto alla crescita dell’economia di mercato mondiale, quella definita da Hikka Pietila «economia incatenata»3 (in contrasto con la definizione di economia libera, aperta, che ne dà la maggior parte degli economisti) distruttrice dell’ambiente, generatrice di fame e malsviluppo, in cui «il dollaro è eletto a misura estrema del valore»4.

Così nell’autunno del ’94 ha incominciato a costituirsi la Rete Gea, della quale possono far parte gruppi, associazioni o donne singole, attive nella creazione di società femminile, che desiderano fare proprio l’uso della moneta.

Ogni appartenente alla rete può incominciare a “sentire” la moneta e ad usarla secondo il proprio sentimento nei limiti del rispetto di alcune regole concordate anno per anno.

Nasceranno proposte per nuovi modi di utilizzo? Si aggiungerà invenzione ad invenzione, tale da aiutarci a costruire un mondo più vivibile per ognuna e per ognuno? 

(*) Dea primigenia della Terra, uscita dal Caos.

(Mediterranean, n. 2/1996) 

  1. Adrienne Rich, Segreti, silenzi, bugie, citato in “Sottosopra”, gennaio 1983. Gruppo n. 4, Libreria delle donne, Milano. ↩︎
  2. Luce Irigaray, Le donne il sacro e la moneta, in “Luce Irigaray a Parma”, supplemento di “Un posto al centro della Biblioteca delle donne”, Parma 1985/86. ↩︎
  3. Hikka Pietila, Tomorrow begins today, ICIDA/ISIS Workshop, Nairobi. 1985. ↩︎
  4. Vandana Shiva, Organizzazione mondiale del commercio. donne e ambiente: un’analisi ecologica e di genere del “liberismo”, Research Foundation for Science, Technology and Natural Resource. Policy, A60, Hauz Khas, New Delhi-110 016, India. Traduzione italiana: Pianeta Donna, campagna Nord/Sud.  ↩︎