Una libreria sulla strada e online
Laura Minguzzi
19 Giugno 2021
Nel silenzio, che non sia mutismo o reticenza ma pensiero, inconscio in azione, c’è l’ascolto dell’altro che è in sé. Per questo è necessaria la stanza della tessitura (Ina Praetorius), un luogo aperto ad altro. Apertura all’altro, ad altro per accogliere, ascoltate l’altro da sé. Il fatto imprevisto che capitò nel 2001, la nascita del sito della Libreria, fu preceduto da momenti di silenzio, emergenza dell’inconscio che ruminava pensiero.
In cerchio al Circolo della rosa, nelle riunioni del giovedì in cui abitualmente si confrontavano le pratiche, i progetti, accadevano questi momenti di lunghi silenzi. Momenti di essere. Silenzi creativi, non grevi, non pieni di non detto. Un certo tipo di silenzio che valuta, soppesa, riflette su di sé, in rapporto al mondo. Al nuovo, all’ignoto che sta per accadere, che sta per nascere dalle nostre viscere o che è già in fieri, cui io sto partecipando o che io stessa ho messo al mondo, con cui sono sia in relazione sia in contraddizione. Uno spazio/tempo necessario, un tempo di libertà. Un fare pensiero assieme. Era in atto un’apertura al mondo virtuale. Era in gestazione il sito della Libreria. Un desiderio espresso da alcune giovani donne, oggetto da qualche tempo di accese discussioni e che stava prendendo forma. Desideri forti che suscitavano sentimenti contrastanti: aspettative di rilancio, paure, incertezze, incomprensioni, entusiasmi, mutismi, reticenze. In quegli anni di fine/inizio millennio, si stava producendo una svolta anche a livello europeo, si parlava di un’Europa casa comune e allora io ricordo che pensavo ci fosse bisogno di una casa interiore, generata dalla libertà femminile, la madre interiorizzata che ti dispone all’ascolto e a farti delle domande, altrimenti sarebbe stata un’Europa meccanica, astratta. “Il momento di emergenza dell’inconscio porta sempre a qualche trasformazione e le pratiche portano a modalità di pensiero differente”, dice Chiara Zamboni. Si trattava di una sfida di cui ci assumevamo consapevolmente i rischi. Paura di perdere la parola viva, l’ascolto? La posta in gioco era alta. Affidarsi, avere fiducia fu il passaggio chiave. Io, come altre, accettammo la sfida, ci affidammo alle webmater ed ebbe inizio l’avventura nel luogo virtuale della Libreria, condotte dalle navigatrici che ci coinvolgevano attivamente. Un fervore e un’energia contagiosa. Uno scambio riuscito e ricco di conflitti sul senso da attribuire, sulla finalità, sulla modalità di questa nuova esperienza di libertà femminile. Una genealogia imprevista nella sua forma ma che accolse e generò idee, nuove pratiche, nuove parole.
La riunione fissa del giovedì in presenza continuò e questa è stata ed è una garanzia: un orizzonte comune restava, come un paletto, un punto fermo inamovibile e necessario. Una svolta ma accanto alla redazione carnale del sito dal 2001 c’era e c’è il salotto della conversazione. Due stanze della tessitura in un intreccio, trama e ordito, materiale e virtuale. Prese vita un’inedita pratica di confezione di parole, immagini, algoritmi, sguardi, risate, scrittura, divergenze, contraddizioni, il tutto tenuto insieme dalle relazioni di disparità e dal piacere di condividere un’impresa di esistenza simbolica. Un contesto relazionale e un punto di vista originali, che attingono alla fonte primaria della politica. La Libreria aperta sulla strada da quel momento era anche online.
A più di vent’anni di distanza, dopo la pandemia e dopo un uso bulimico di piattaforme zoom e webinar mi sento in sintonia con quanto affermato da Antje Schrupp, invitata da Traudel Sattler, che queste modalità virtuali per la politica delle donne funzionano a una condizione ineludibile: una pratica di solide relazioni. Non aiutano a sciogliere situazioni di seri disaccordi. A me è capitato questo. Ho promosso un incontro zoom nel primo lockdown per desiderio di restare in contatto e non rinunciare a un appuntamento collettivo deciso da qualche tempo. Purtroppo le questioni erano talmente incollate alla pratica in presenza, dipendenti da questa, che sono stati più i fraintendimenti e le ansie che i guadagni. Il silenzio che ne è seguito è stato più parlante di qualsiasi scambio attraverso uno schermo. Sono necessarie analisi più approfondite di queste tecnologiche comunicative, non scelte, ma dettate dalla gravità della situazione sanitaria mondiale. Nel contempo sono anche convinta che l’intelligenza umana e la pratica di relazione duale non abbiano surrogati e non possano essere sostituite dall’intelligenza artificiale. La paura di essere dominate dall’artificiale si può vincere affidandosi alla competenza di un’altra che ha più esperienza e ama le macchine ma non più della politica delle donne, dei corpi in presenza e nel presente, del piacere di esserci, à part entière, citando Luce Irigaray. Una relazione vivente in cui possiamo ridere, toccarci, mangiare insieme, scrivere ecc. litigare se è il caso e riappacificarci se occorre, grazie a una visione che ci supera e ci sovrasta, l’amore femminile della madre.