Un vulcano di nome Matilde
Nuccia Nunzella
21 Novembre 2024
Da Maremosso
Il 14 dicembre 2024 sarà presentata in Libreria delle donne di Milano la graphic novel di Francesca Bellino e Lidia Aceto Matilde Serao. La voce di Napoli, edizioni BeccoGiallo (Ndr).
«Donna Matilde ha il giornalismo nel sangue» scrive Anna Banti nella sua biografia. «Passa la Signora» bisbigliano i napoletani quando, nei pressi del Mattino, appare la sua carrozza trainata da un cavallo bianco. Qualcuno allunga anche il collo per spiarne la figura goffa eppure carismatica, sempre vestita di scuro e con lunghe collane di perle, con la segreta speranza di essere notato da lei.
Lei, la Signora col giornalismo nel sangue è Matilde Serao (ne abbiamo già scritto qui), pioniera del genere in Italia e scrittrice da Nobel (mancato nel 1926 solo perché antifascista).
Al tempo della carrozza e del cavallo bianco è già una personalità nota e influente: tutti sanno, a Napoli, che La Signora ha occhi per vedere sia lo splendore della città, sia la sofferenza della sua gente, e che in più ha quel “supplemento d’anima” indispensabile, secondo Henri Bergson, per comunicare quello che ha visto e che ha capito.
Greca per nascita ma napoletana per temperamento, Matilde Serao è una donna appassionata, scaltra e intelligente tanto da inventarsi un destino eccezionale per una donna di fine Ottocento. È arrivata a Napoli subito dopo l’Unità, quando il padre, giornalista antiborbonico in esilio, ha potuto farvi ritorno e, ancora molto giovane, è stata costretta a contribuire al bilancio di casa con un lavoro da ausiliaria presso le Poste e Telegrafi della città.
È andata a scuola tardi, ma a quindici anni ha già un diploma da maestra di cui peraltro non si servirà mai, e legge, legge di tutto e voracemente, a cominciare dall’opera completa di Shakespeare e di Balzac, dal quale erediterà anche la fragorosa risata con cui taglia corto i giudizi e le lungaggini che non le garbano.
Oltre a leggere, Matilde scrive instancabilmente, con identica passione. «Io appartengo alla gente da tavolino» afferma in un’intervista e in una lettera alla figlia (rinvenuta da poco) arriverà a dire: «Sono grafomane e la carta, la penna e il calamaio sono le sole cose che mi avvincono, fra tutti gli oggetti di questa terra». Forse esagera, anzi esagera di certo, se si può chiamare esagerazione quella che è una vera, esigente vocazione a cui Matilde si concede senza risparmio, per tutta la vita.
Anche per l’influenza del padre, Matilde si misura fin da subito con il giornalismo, mondo in prevalenza maschile, dove può mettere a frutto la particolare combinazione di intelligenza e sensibilità femminile verso i temi della vita quotidiana, dal cibo alla moda allo sport, inquadrati nel contesto storico dell’epoca.
Con prorompente creatività, inventa supplementi letterari e la Piccola Posta dei lettori; scrive per la neonata pubblicità e per il cinema; fonda quotidiani locali e infine imprime per sempre il suo nome nella storia del giornalismo italiano con la fondazione del Mattino di Napoli e del Giorno.
Come stregata dalla sua stessa abilità, e dal bisogno incessante di esprimersi, Matilde si dedica contemporaneamente alla narrativa con racconti spesso incentrati su figure femminili che, oppresse da miseria e pregiudizi, lei guarda e valuta con una empatia di stampo quasi materno.
«Il femminismo non esiste», scrive, ma non dimentica di aggiungere: «Esistono solo delle questioni economiche e morali che si scioglieranno quando saranno migliorate le condizioni generali della donna e si sarà assicurato alla donna il diritto di vivere».
Due i romanzi che, tra gli altri, segneranno la vicenda esistenziale e la fama di Matilde Serao: il primo è Fantasia che, pubblicato nel 1883, narra la storia avventurosa e patetica di due amiche ed è molto apprezzato dal pubblico, non così dalla critica. «Ha uno stile tutto suo, aspro, rotto», scrive infatti Edoardo Scarfoglio, il giornalista sulla cresta dell’onda, bello e ammirato dalle donne che quando poi incontra l’autrice ne è tanto colpito da innamorarsene e sposarla. «Mi piace troppo, troppo, troppo», scrive a un amico, anticipando in qualche modo l’ammirazione che di lì a poco Matilde riscuoterà ovunque, dai salotti aristocratici ai circoli culturali più esclusivi, a Napoli e a Roma, come a Londra o a Parigi.
A dispetto della sua figura tutt’altro che aggraziata, Matilde è magnetica, vulcanica, fuori da ogni canone (anche stilistico), capace di imporsi per intelligenza e libertà di pensiero all’ammirazione di personalità di indiscusso valore intellettuale, come Henry James o Edith Warton che, in un memoir del 1934, scrive: «La viva immaginazione della narratrice (due o tre dei suoi romanzi sono magistrali) era alimentata da vaste letture e da una varia esperienza di classi e di tipi che le veniva dalla sua carriera giornalistica; e la cultura e l’esperienza si fondevano nello splendore della sua poderosa intelligenza».
Non sappiamo a quali romanzi si riferisca Edith Wharton, ma di certo non può mancare il secondo dei romanzi di cui si diceva, ossia Il ventre di Napoli, analisi minuziosa, commossa, scandalizzata, delle reali condizioni di Napoli dopo che il colera del 1884 aveva causato 6000 morti e la fuga di molti tra gli abitanti più abbienti.
E mentre da Roma il ministro tuonava «Bisogna sventrare Napoli» Matilde ne visita di persona i bassifondi più bui e miseri dove la povera gente si accalca e muore in condizioni disumane, e dopo averla ancora una volta guardata, osservata, compatita, scrive: «Efficace la frase. Voi non lo conoscevate, onorevole Depretis, il ventre di Napoli. Avevate torto, perché voi siete il Governo e il Governo deve sapere tutto», dando inizio a un’opera tuttora insuperata per realismo e forza morale.
Gli stessi caratteri che poi ritroveremo in molti aspetti della vicenda esistenziale di Matilde Serao, come: l’accoglienza materna che riserva alla bambina che, in un giorno di agosto del 1894, l’amante respinta da Edoardo Scarfoglio aveva depositato sulla sua soglia prima di suicidarsi; o il viaggio in Palestina, sola e sempre con una pistola a portata di mano, sulle tracce di una spiritualità solo all’apparenza in contrasto con la disinvoltura con cui Matilde ha conquistato il mondo dei salotti più esclusivi dell’epoca, o il nuovo patto sentimentale e professionale che dopo la separazione da Scarfoglio la lega a Giuseppe Natale, giovane giornalista romano col quale fonda Il Giornoe, a quarantotto anni, dà alla luce Eleonora, la quinta figlia così chiamata in omaggio all’amicizia che la lega alla Duse.
Impareggiabile fino all’ultimo istante di vita, Matilde muore il 25 luglio del 1927 per un infarto mentre, al tavolino, è intenta a scrivere l’ennesima opera. «Amabile», pare sia l’ultima parola digitata sulla macchina da scrivere.