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Introduzione alla Redazione aperta di Via Dogana 3 La differenza sessuale non è un contenuto. L’ostacolo del gender domenica 10 ottobre 2021

“Ero tornata ad essere me stessa. Ma me stessa non esisteva”. Sono parole di Christa Wolf nel suo romanzo “Cassandra”, pubblicato nel 1983, e oggi sono parole anche mie. Sono parole, forse, di tutte le donne impegnate nella ricerca libera e soggettiva di sé in un mondo profondamente mutato e mutante.

Mi sono affacciata così alla porta della Libreria delle donne per la prima volta lo scorso anno, determinata ad affrancarmi dai contenuti che la società circostante introduce in ognuna di noi e a sciogliere il legame con le mie identità, reali e virtuali.

Ho trovato accoglienza, riconoscimento, autorità femminile animata dal desiderio di esistere e agire. Ho riscoperto l’originalità di essere donna e la differenza come “fonte del pensiero e della creatività”, per dirlo con un’espressione di Luce Irigaray.

La pluralità vitale del mondo, che sento oggi riemergere con forza, non può prescindere dalla pluralità femminile, che è soggettività libera di esistere al di là delle costrizioni di genere, di ruolo e della parzialità dell’universale neutro. Lo stesso terreno comune delle donne è innervato di differenze, differenze che vanno ascoltate, valorizzate, vissute. Come afferma Geneviève Fraisse ne Il mondo è sessuato, che sto leggendo con grande interesse, la differenza sessuale è una categoria vuota, che non definisce la differenza tra sessi e, aggiungo, nemmeno la differenza all’interno dei sessi, un punto che ritengo fondamentale per comprendere la ricchezza, l’attualità e il potere rivoluzionario del pensiero della differenza. 

A questo proposito vorrei citare Cristina Bracchi, docente e membro del Centro interdisciplinare di ricerche e studi delle donne (C.I.R.S.De) dell’Università di Torino, la quale definisce “dissenzienti” le soggettività che si costituiscono a partire da una realtà data con slancio propositivo, e che, partendo dal vissuto sessuato femminile di ognuna, si costituiscono come nuove, in costante mutamento e ridefinizione. 

Questi ultimi due termini, “mutamento” e “ridefinizione”, credo rappresentino sorprendentemente un punto di convergenza tra il pensiero della differenza e gli altri pensieri femministi che hanno abbracciato la gender theory (in particolare la teoria della performatività di Butler), la quale sta rapidamente permeando tutte le sfere della vita sociale con la promessa di liberarci dalle politiche identitarie e dal discorso normativo. 

L’approdo, il riconoscimento di alterità e la volontà di liberarsi dal modello imposto dal patto fallologocentrico, è il medesimo, le modalità differenti. Proprio nello spiraglio che si inserisce tra queste proposizioni intravedo ancora la possibilità di instaurare un dibattito costruttivo, che va oltre il separatismo statico e che mette in moto il “dissenso positivo” citato da Bracchi, attraverso cui il nostro agire si fa politico. 

L’interazione tra femminismo, della differenza in particolare, e le teorie gender e queer è perciò ancora ricca di imprevedibili svolgimenti, previo il riconoscimento della dinamicità e della sovversione del pensiero della differenza nella sfida per l’auto-rappresentazione di sé, per un’esistenza libera malgrado e mediante il corpo sessuato. Il riconoscimento, dunque, della necessità di una costante rivoluzione simbolica femminile attraverso cui le donne possono affermare la propria specificità lungo il cammino della continua ricerca di sé.

Questa interazione mi si è riproposta nelle scorse settimane rileggendo Zero, Uno di Sadie Plant, tradotto e pubblicato recentemente da LUISS University Press; un esempio di come l’immaginario metamorfico cyberfemminista possa intrecciarsi alla differenza e in particolare al pensiero di Irigaray ai tempi di Speculum. Dell’altro in quanto donna. Il corpo sessuato delle donne, anche se deformato, trasformato e in flusso, rimane un punto di partenza imprescindibile. Per questa ragione, come nota Laura Tripaldi in un’interessante analisi del libro su “Il Tascabile”, si potrebbe pensare che “Zero, Uno dimostra molto bene che la giuntura tra queste due correnti del pensiero femminista non è soltanto possibile ma necessaria, perché permette di risolvere le contraddizioni dell’una e dell’altra: permette cioè di superare la visione prescrittiva della differenza sessuale preservando, al contempo, l’autonomia del corpo rispetto alla sua rappresentazione.”

È dunque possibile un dialogo? Quali risposte e interrogativi può offrire il pensiero della differenza rispetto alle sfide che il femminismo sta affrontando e all’incombente indifferenziazione degli individui in un mondo sempre più digitalizzato e tecnologico? Dopo averla rivoluzionata e influenzata, come innestarsi nella realtà che sta cambiando? Quale posto occupa oggi il corpo delle donne, attraverso cui passa inderogabilmente l’esperienza che facciamo del mondo e a partire da cui generiamo differenza? Liberazione dell’io o liberazione dall’io?

Certamente un io che si colloca all’interno di una dimensione collettiva, un io che dobbiamo ripensare assieme, ripensare in quanto donne, in quanto soggetti in divenire.