Un grande respiro
Sara Bigardi
2 Giugno 2025
da Diotimafilosofe.it
Chiara Zamboni mi ha chiesto di recensire il Quaderno di via Dogana Esserci davvero, invitandomi a prendere uno spazio ampio per la recensione: un grande respiro. Anche Luisa Muraro non ha mai scritto una recensione in senso classico (una semplice recensione o recensione qualsiasi), perché il libro l’ha sempre mostrato come qualcosa da e che fa pensare.
Provo, quindi, a presentare questa intervista di Clara Jourdan a Luisa Muraro sostando sui tagli – ne ho scelti più di uno – che mi hanno fatto meditare, «autorizzandomi a una lettura in grande», che interpreto libera e di attento ascolto.1
Prima di procedere, due brevi annotazioni. La prima sul titolo, l’altra sull’intervista come forma di interazione.
Esserci davvero è un titolo bello, potente, autentico. Lo sento vero e lo sperimento, a partire da me, nella mia esperienza politica attraverso pratiche teatrali: sperimentazione, intima e aperta insieme, di trasformazione e ricerca. In questo contesto, vivo davvero una presenza in ogni tentativo di concentrazione, di attenzione, di cura, di scoperta, di presa di parola, coscienza e responsabilità. Nell’esserci davvero c’è la percezione, il sentire che ci siamo e la capacità di stare in relazione con gli accadimenti. Questa presenza ci porta a non stare nel già dato e nel già noto; esserci davvero è, come dice Muraro, non avere uno schema da riempire,2è coinvolgersi e rimanere convolte in modo non strumentale e non finalizzato alla pura messa in scena. Svelamento di una presenza autentica che staziona in un luogo di verità di osservazione.3Con attenzione interessata. Esserci in prima persona in qualcosa che accade.4
In questa ontologia, c’è un aspetto altrettanto importante da sottolineare. Se esserci davvero è non avere uno schema, è stare nel reale e in quello che ci capita, ciò significa che noi non siamo sempre dentro l’essere e abbiamo la capacità di sentire un vuoto. È la rivelazione della propria passività, come dice María Zambrano.
L’altra annotazione sull’intervista, condotta con stile dialogico. C’è un forte coinvolgimento fra Clara Jourdan e Luisa Muraro. Le domande sono precise e non sono standardizzate; si tratta di una precisione di ascolto in movimento che puntualizza temi, ricordi, intuizioni, precisazioni in un approfondimento di pensieri ed esperienze con delle messe a fuoco.5Una intervista che è anche un pensare in presenza.
I tagli
Facendo un taglio – scrive Luisa – si forma pensiero, cioè tu puoi cominciare a pensare, pensare proprio nel senso di articolare: questa cosa qui e non quest’altra. Il taglio è questo: questo sì c’entra, di questo si tratta, questo no, invece. Sono operazioni di ordinamento di un campo.6C’è una molteplicità di realtà e occorre trovare un taglio o più tagli da mostrare.
Per renderli visibili è necessario innanzitutto sapere cosa ci sta particolarmente a cuore e perché. Questo presuppone avere consapevolezza del sapere di sé e dei propri desideri inventivi, che ci suggeriscono – etimologicamente – di “entrare in un luogo e vedere che cosa troviamo”. Si tratta poi di sostare su quei frammenti di realtà scelti, contestualizzarli dal punto di vista esperienziale e filosofico e rispondere alle domande essenziali.
Molti sono gli aspetti di questa conversazione che mi stanno a cuore, per questo sono diversi i frammenti individuati.
Frequentazioni di parole in luoghi non comuni
Muraro, in un’intervista a il manifesto, ha dichiarato che il meglio del suo lavoro filosofico viene da un niente che si popola di parole comuni. Scrive a questo proposito: A me piace portare parole comuni in luoghi che queste non hanno mai frequentato. È un modo di scrivere potente, a mio avviso, è una sintassi “tagliata” dalla retorica, attenta al contesto e a chi legge: è tenere il sapere alto nella disponibilità comune.7
Quando ho iniziato a studiare filosofia, all’università, i primi due corsi che ho seguito sono stati uno di filosofia del linguaggio tenuto da Chiara Zamboni su Chiari del bosco e i Beati di María Zambrano e l’altro, di ermeneutica, di Luisa Muraro sulla teologia favolosa. Lì ho sperimentato per la prima volta che si possono argomentare cose molto difficili senza fare perdere loro complessità.
Il corso di Muraro sulle fiabe e la teologia favolosa si è concluso con un pranzo con soppressa vicentina e vino rosso. Nell’intervista Jourdan fa presente che Muraro riprende l’allegoria, dove, secondo la visione della filosofa, anche il letterale conta, proprio come aveva fatto durante il corso sulla teologia favolosa. E c’è anche altro. L’allegoria come capacità di vedere nelle cose che si vedono anche dei significati che sono nascosti dalle cose stesse, mostrati e nascosti.8
Le parole sono importanti
Luisa Muraro ha una attenzione particolare per le parole. Scegliere le parole giuste, le parole adatte, capaci di dare vita a un linguaggio preciso, non superficiale, è una pratica politica.
Una modalità che mi piace per scegliere le parole è quella di partire dalla loro etimologia, che è «l’individuazione e la ricostruzione degli etimi, che sono il significato reale, vero di una parola, la ricerca del vero, della reale origine di un termine o di una espressione». Si tratta di una operazione che invece di definire compiutamente una parola, la apre alla possibilità di meditare sulla parola stessa, schiudendola a nuove potenzialità. Questo vale sia per le parole che non conosciamo, sia per le parole che sono diventate usurate a forza di essere usate male: termini che hanno perso la loro forza espressiva. Risalire all’etimologia delle parole non è un esercizio virtuosistico, ma euristico, di scoperta. Significa ritrovarne l’origine, la genesi, la storia; significa, in altre parole, farle rinascere: ricostruirne la genealogia.
In Muraro c’è un continuo lavoro sulle parole, sulla lingua, sulla linguistica. Sono le circostanze, le situazioni concrete che la spingono a interessarsi di qualcosa in particolare. La politica delle donne, ad esempio, essendo una pratica di parole e di presa di parola è stata il movente per lo studio della linguistica.
Occorre che qualcosa muova la connessione tra lei e la realtà per spingerla alla ricerca. È stato così con il pensiero della differenza sessuale, con la psicanalisi, con la linguistica, con la scrittura e la sintassi della scrittura, che è un aspetto della lingua molto trascurato, non nella realtà, perché per scrivere la sintassi è fondamentale, ma nell’attenzione delle persone: la sintassi è un ordine delle parole che si forma nell’incontro e nello scambio tra chi scrive e la lingua.9
Il pensiero nasce proprio in questa connessione tra lei e la realtà: per pensare, bisogna che si muova quello, il tuo dentro e il tuo fuori bisogna che si parlino.10
Per questo la teoria non è mai fine a se stessa: Luisa Muraro prende in considerazione quello che accade, quello che ci capita, i problemi del vivere e lo fa facendo parlare continuamente la realtà ordinaria con la ricerca linguistica.11
Ed è in questo accordo tra chi scrive e la lingua che per Muraro nasce la scrittura.
La scrittura
Le pagine di questa intervista dedicate alla scrittura sono molto interessanti.
Perché scrive – e scrive tanto – Luisa Muraro? Perché pensa: io non penso indipendentemente dalla scrittura.12Solo scrivendo si articola il pensiero. La scrittura per lei non è uno strumento, ma una specie di stampo su cui procedere. Le intuizioni che le nascono trovano poi una vera e propria articolazione solo attraverso la scrittura.
La scrittura per lei è un bisogno quasi fisiologico e una dipendenza simbolica. Quando la scrittura è bene riuscita (accade soprattutto con il femminismo), c’è un godimento, un profondo benessere, uno stato di felicità e di beatitudine.
Il suo esserci è ineludibile dalla scrittura che è strategia esistenziale e pratica: pratica per ordinare il simbolico dentro e pratica per ordinare quello che lei chiama il livello elementare. Di quest’ultimo e del livello sofisticato, a cui dedico un paragrafo dopo, la scrittura costituisce un ponte. Così, come è liminare tra il simbolico e il fisiologico.
Studio, parola e scrittura costituiscono un trittico. Questo trittico, di cui la scrittura è al contempo parte e matrice, crea la sua scena interna, dove perché qualcosa avvenga bisogna che ci sia una relazione in carne ed ossa che assicuri la realtà. È un punto importante questo. Significa più cose. Innanzitutto, che per Muraro non c’è né astrazione, né sintesi. Sono le donne e gli uomini, in carne ed ossa, che aprono passaggi alla realtà del reale, affinché qualcosa avvenga nelle nostre scene interne. È anche il partire da sé che per lei vuol dire rinunciare al punto di vista oggettivo esterno per coinvolgersi nella realtà in questione, e farlo distaccandosi da sé, per mettersi nel movimento della trasformazione di sé e della lingua, una cosa mediante l’altra.13Coinvolgimento nella realtà, quindi, non immersione: stare in sintonia con il movimento dell’essere, in uno spostamento che ci trasforma e ci fa guadagnare il senso di realtà. «A noi le cose, fondamentalmente, non sono ma accadono e non è sbagliato dire che può capitarci di tutto».14
Metafora e metonimia e i due livelli: elementare e sofisticato
Maglia o uncinetto. Racconto linguistico-politico sulla inimicizia tra metafora e metonimia,15dove viene mostrata la teoria del linguaggio non come teoria fine a sé stessa, ma secondo il taglio dell’attenzione al mondo vissuto, è lo sviluppo di una intuizione. Muraro si è fatta e si fa guidare spesso dalle intuizioni, che sono sì, per definizione, forme privilegiate di conoscenza, ma soprattutto – per lei – intelligenti percezioni di un frammento di realtà, sostenute da accadimenti, da fatti.
L’intuizione in questo caso nasce dalla recensione di un libro di un suo amico Corrado Levi e nel dire qualcosa sul testo nasce una intuizione che Luisa aggettiva come consistente. Si tratta di questo: la cultura che spiritualizza è una cultura delle metafore, mentre la cultura materialista, non nel senso ideologico della parola, ma la cultura che tiene conto del nostro essere corpo, non metaforizza, fa accostamenti, fa combinazioni. Era, scrive, un’idea non nuovissima, ma in me è rifiorita con molta forza.
Dalla recensione nasce l’intuizione che viene poi elaborata in idea in un articolo sulla rivista “Aut aut” dal titolo “Maglia o uncinetto? Metafora e metonimia nella produzione simbolica”.
Questa è la gestazione di Maglia o uncinetto. Racconto linguistico-politico sulla inimicizia tra metafora e metonimia, testo complesso in cui convivono, citando Ida Dominijanni, molte questioni «dalla complicità tra ordine simbolico e ordine sociale alla centralità della dimensione linguistica nelle formazioni capitalistiche postfordiste e nella politica mediatizzata delle democrazie di fine secolo». Ma Maglia o uncinetto è soprattutto un libro che si fa strada riscattando l’esperienza vissuta e «l’essere-avere un corpo». Lo fa riconoscendo importanza alla direttrice metonimica.
Le due direttrici, come spiega Muraro, non sono sorelle gemelle. La metafora «ci fa superare il livello descrittivo e la particolarità dell’esperienza», mentre «nella metonimia il rapporto tra senso figurato e quello letterale coincide con un nesso materiale, di tipo spaziale, temporale, causale o altro».16
La metonimia è combinazione di cose, sta nella prossimità tra parole e cose, lavora da contesto a contesto, crea un sapere della pratica per contatto o contagio, superando la falsa distinzione tra l’ordine simbolico e quello materiale. In questo intreccio fra i due ordini, i corpi e i vissuti esperienziali si iscrivono nel simbolico senza sostituzione metaforica.
Muraro non critica la metafora di per sé, ma mette in guardia dall’usare male la direttrice metaforica. Le metafore che nascono da pensate originali, se non rimangono giochi complicati prettamente linguistici, hanno la capacità di inventare collegamenti, facendo variare la realtà in modo indefinito. Questo è un aspetto che Luisa valorizza. Ciò che disapprova è il primato dell’asse metaforico su quello metonimico: supremazia che per lei si è trasformata nella subordinazione della metonimia sulla metafora, in regime di ipermetaforicità. In altre parole, un eccesso di metafora. La sostituzione metaforica rende superflua e scontata l’esperienza, perdendo contatto con il mondo. «Col risultato – come scrive Dominijanni – di una sempre maggiore rarefazione dell’esperienza o di una sua codificazione entro significati precostituiti che assumono valore di norma e di normalizzazione sociale. Astrazione, generalizzazione, razionalizzazione, duplicazione del mondo in parole e immagini».
Nel mio percorso femminista, l’esperienza è un primum di verità. Come insegna Chiara Zamboni, essa non si fonda solo sui fatti e sullo stare in rapporto a essi. Si fa esperienza di un grado diverso di realtà quando ci si pone in ascolto e si esprime anche la parte più enigmatica che i vissuti portano con sé, sottraendosi ai linguaggi dominanti che interpretano in modo dominante la realtà nostra e altrui. L’esperienza, infatti, non è mai solo soggettiva. Parlare dei nostri vissuti con verità significa stare sull’irrinunciabile del nostro esserci e saperlo al contempo metterlo in condivisione con altre e altri in una trasformazione anche dei contesti sperimentati da noi e da altri. Partire dal nostro vivere qui e ora, dalla posizione che abitiamo, è una pratica di trasformazione politica per tutte. Le donne filosofe studiate e amate, come Zambrano per me, non parlano per assoluti perché sanno che «l’esperienza è frutto del tempo e non ne prescinde: lo innalza piuttosto senza distruggerlo, lasciandolo essere nel suo accadimento, nel suo essere e non essere». L’esperienza «non esige e non invita a sfuggire l’istante ma neppure l’abbandona con mera irrazionalità».17
E ora un breve accenno ai due livelli. Muraro riprende Winnicott sull’ipotesi dei due livelli, spiegandoli a partire da sé e facendo leva sulla pratica di rigiocare tutto. Per vivere […] – scrive – quello che consapevolmente o inconsapevolmente facciamo è di rigiocare tutto. Rigiocare tutto significa rigiocare qualcosa che domanda di essere. E questo avviene sempre su due livelli, quello elementare e quello sofisticato. Bisogna tenere conto che ci sono due livelli, avverte infatti Muraro.
Il livello sofisticato è dove le cose sono, il piano elementare è invece bisogno di esistenza simbolica. Occorre tenere assieme quello che è e il senso di quello che è. Il livello sofisticato è di una sofisticatezza insulsa se non si considera che lì si tenta di rigiocare qualcosa che domanda di essere. L’elementare è il qui e ora, il rudimentale, ciò che richiama l’infanzia, ciò che invita la risposta delle persone a un livello più profondo. È la scrittura in Muraro che, praticamente, fa da ponte tra i due livelli.
Cosa significa portare la questione elementare nel livello sofisticato? Significa esserci intensamente. Che effetto ha? Per chi cerca di mette l’elementare nel sofisticato una sensazione viva di forte mediazione; per chi ascolta/legge sentire che non è una lettura convenzionale e che c’è qualcosa che rimanda a un livello profondo dove circola verità, dove non è tutto fasullo o adulterato. Muraro tiene il sapere sofisticato nella disponibilità comune, legando divulgazione e sapere sofisticato.
Come scrive Chiara Zamboni, «le più grandi creazioni culturali come le più modeste sono frutto di un giocare con gli elementi più essenziali e comuni della nostra esistenza».18
Infanzia, fratelli e sorelle
Tra i tagli che mi piacerebbe affrontare ci sono anche l’oggetto di studio che cattura, la questione dei passaggi/variazioni degli interessi di ricerca e il tema della narrazione. Alla fine, però, mi soffermo sull’infanzia. Come intuisce Jourdan, l’infanzia e la consapevolezza della sua importanza è molto forte nel pensiero di Muraro. Lì c’è la relazione materna, il suo rapporto con la storia, con la mistica, con la teologia favolosa e, soprattutto, c’è il legame con i fratelli e le sorelle. Roberta De Monticelli dice che il livello più profondo di quello che noi viviamo e sentiamo – che lei chiama il sentire originale di ciascuno – si risveglia nella relazione con altre persone. Per me questo è avvenuto in prima battuta nell’infanzia con i miei fratelli e sorelle, poi il risveglio profondo è stato di nuovo con altre donne, nella pratica politica del movimento delle donne.19 E ancora, con forza: Per me, l’importanza dell’infanzia è perché è stata il regno dei rapporti con i fratelli e con le sorelle. Sì, tutto, tutto si può trovare con i fratelli e le sorelle, tutto.20
Anche io sento forte il legame con le mie sorelle. La sorellanza è una relazione intensa di per sé e al contempo intensifica le altre relazioni.
Tenendo insieme i due livelli di cui parla Luisa, avevo studiato il legame tra María Zambrano e la sorella Araceli. “Che gioia avere una sorella; con lei scoprii ciò che è più importante nella mia vita, la sorellanza, la sorellanza, più della libertà, la sorellanza”, afferma Zambrano.21Questa relazione orienta anche il modo in cui Zambrano concepisce la sizigia,22in quanto è a partire da questo legame di sangue, e non solo, con Araceli, che si delineano gli aspetti che connotano altre relazioni.
Per questo si può parlare del legame con le sorelle in termini di una pratica politica e spirituale che, partendo da un percorso di radicalità femminile, ha dato vita alla condivisione di esperienze di vita e di pensiero con altri/e, formando comunità trasversali di amici e amiche e su cui potere contare in modo intelligente, gioioso, accudente, passionale e anche conflittuale.
E questo prende vita nell’infanzia, essa stessa, parafrasando Zambrano, punto di partenza di un sentire originario in cui andranno a cadere tutti gli altri sentire.
Chiusura
Da Luisa Muraro e da Chiara Zamboni ho compreso l’importanza e la bellezza di “fare pensiero”, il lavoro del pensiero, proprio della filosofia,23ho imparato a cogliere – perlomeno cercare di farlo – il momento esatto in cui qualcosa di importante si muove, ho appreso a provare timore, tremore e piacere nel pensare.
Per significare l’esattezza, Chiara invita a sottrarsi al meccanismo per cui a una domanda c’è solo una risposta giusta, questo sottrarsi ci apre a processi creativi che implicano diversi rapporti tra sé e le altre; per Luisa c’è l’esattezza di seguire il processo e del sapere narrare, come atto simbolico, il senso dell’accadimento storico.
Se dovessi indicare una parola per chiudere questa recensione designerei “schivata” che Luisa adopera per indicare una liberazione, «la liberazione della mente nel senso del suo aprirsi all’attività simbolica che fa cadere il finto parallelismo tra mondo reale e mondo ideale delle parole. Tra le parole e cose cessa l’inerte rapporto di esteriorità reciproca e torna a stabilirsi quel rapporto ambiguo per cui si deve dire che le parole sono e non sono le cose, di cui facciamo esperienza sensibile leggendo la poesia e prima ancora, nell’infanzia, giocando».24 Quello che è «il grande gioco fra il linguaggio e l’essere».25
Note
1 Le parti in corsivo sono le frasi di Luisa Muraro dell’intervista. “L’ascolto è la pratica simbolica di chi ha il senso dell’autorità della parola”, in Luisa Muraro, Lo splendore di avere un linguaggio, cfr. https://puntodivista.libreriadelledonne.it/lo-splendore-di-avere-un-linguaggio/
2 Invece queste donne, che erano donne del partito che cercavano il contatto con noi, a me sembrava sempre che avessero uno schema da riempire, Quaderni di via Dogana, Luisa Muraro, Esserci davvero, a cura di Clara Jourdan, Libreria delle donne di Milano 2025, cit. p. 80.
3 Ivi, p. 19.
4 Ivi, p. 18.
5 Ivi, p. 76.
6 Ivi, p. 59. 7 Ivi, p. 91.
8 Ivi, p. 92.
9 Ivi, p. 52.
10 Ivi,p. 30.
11 Secondo il punto di vista che dà attenzione al mondo comune: non è mai sviluppata la teoria fine a sé stessa, continua a essere nutrita dalla considerazione di quello che capita ai bambini, alle donne, alle varie categorie che si dibattono con i problemi del vivere. Ivi, p. 30.
12 Ivi, cit., 52.
13 Parole di Luisa Muraro riprese per invitare alla redazione aperta di VD3 “La scommessa di partire da sé”: https://www.libreriadelledonne.it/incontri_circolodellarosa/invito-alla-redazione-aperta-di-vd3-la-scommessa- del-partire-da-se/.
14 Luisa Muraro, “La Schivata” in Diotima, Immaginazione e politica. La rischiosa vicinanza tra reale e irreale, Liguori Editore, Napoli 2009, cit., p. 12.
15 Luisa Muraro, Maglia o uncinetto. Racconto linguistico-politico sull’inimicizia tra metafora e metonimia, nuova edizione, Manifestolibri, Roma 2017.
16 Ivi, pp. 53-54.
17 María Zambrano, Verso un sapere dell’anima, edizione italiana a cura di Rosella Prezzo, Raffaelo Cortina Editore, Milano 1996, cit., p. 67.
18 Chiara Zamboni, “Immaginazione giocosa e l’altra faccia del mondo, in Diotima, Immaginazione e politica. La rischiosa vicinanza tra reale e irreale, Liguori Editore, Napoli 2009, cit., pp. 13-14.
19 Ivi, p. 11.
20 Ivi, p. 10.
21 Mandata in onda nel programma “Muy personal” della Televisión Española. Trascrizione di María Milagros Rivera Garretas, Duoda. Revista de Estudios Feministas, n.° 25, 2003, traduzione di Clara Jourdan in Diotima, Archivio “Per amore del mondo”.
22 Piccole comunità nate per amicizia, affinità metafisiche (la metafisica sperimentante di Zambrano) e i sogni condivisi. Cfr. Sara Bigardi, Sizigia, Spazio relazionale e simbolico, in Aurora n. 18, 2017, pp. 18-24.
23 “La filosofia nasce dal senso della necessaria mediazione, è un impegno per la dicibilità dell’essere, guadagnata con lavoro simbolico”.
24 Luisa Muraro, “La schivata”, in Diotima, Immaginazione e politica. La rischiosa vicinanza tra reale e irreale, cit., p. 25 Ibidem.
(Per amore del mondo n. 20 2024/2025)