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dal Corriere della Sera

Mirella Serri indaga per Longanesi le fonti del pensiero meloniano

Se presero un abbaglio Gramsci e Croce liquidando il fascismo degli albori come una breve «parentesi senza fondamenti culturali e ideologici», immaginate in quali errori di interpretazione possono incorrere gli intellettuali di sinistra di oggi quando sostengono che «gli esponenti di questa destra di destra insediata a Palazzo Chigi sono solo una rozza espressione del sovranismo e del populismo». Così Mirella Serri, che in molti dei suoi libri ha scandagliato i rapporti tra fascismo e cultura, torna in libreria con un saggio sferzante nel quale sostiene che l’immagine dell’“underdog” tenuto sempre a distanza (che poi si dimostra più bravo degli altri) è solo una narrazione dietro alla quale «esiste un consistente bagaglio di ideologie e di ritualità elaborate per decenni dal movimentismo neofascista italiano». Prova allora con Nero indelebile. Le radici oscure della nuova destra italiana, Longanesi editore ad aprire gli armadi di famiglia dai quali emergono, oltre a cimeli del ventennio che fu, padri che negli anni della Repubblica hanno rielaborato in chiave «rivoluzionaria e sociale» il pensiero fascista.

Testo sacro della nuova destra sarebbe la monumentale Storia del fascismo in sei volumi, firmata da Pino Rauti e Rutilio Sermonti, dove tutto ruota intorno al «sentimento dell’onore». «Non siamo una forza conservatrice né un filone del socialismo – ammoniva Rauti –. Abbiamo una filosofia originale», che contempla sentimenti antiegualitari e antidemocratici «in nome di una visione eroica e spirituale della vita». Definirlo fascista di sinistra è però un azzardo, avendo attinto a piene mani alle dottrine di Julius Evola, teorico ultra-elitario e simpatizzante del nazismo, definito da Almirante «il nostro Marcuse».

Secondo Mirella Serri, Rauti diventa «il burattinaio del pensiero di destra più radicale» quando la sua visione del mondo si salda con quella dei «cattivi maestri» della Nouvelle Droite Française. All’epoca, Rauti lavorava a “Il Tempo” di Roma, giornale nato il giorno stesso in cui gli Alleati liberarono la capitale e quindi di forte impronta antifascista e anticomunista. Il connubio con la destra francese nacque per l’intenso rapporto con il corrispondente del giornale a Parigi, Giorgio Locchi, che pubblicamente si mostrava conservatore moderato «ma in manifestazioni semiclandestine celebrava il rito del solstizio d’inverno e una serie di altre carnevalate occultistiche». Locchi “allevò” Alain de Benoist, infondendogli la parola d’ordine: «Il mondo non sarà salvato da studiosi stanchi, ma da chi ha fatto, da sempre, leva sull’aspetto essenziale del pensiero che si fa azione».

Negli anni Ottanta, de Benoist frequentò l’Italia proponendo una «strategia metropolitana», seguendo le indicazioni di Gramsci, per la conquista dell’egemonia culturale. Insieme all’altro “cattivo maestro” francese Guillaume Faye, teorizzò la «convergenza delle due catastrofi»: da un lato la colonizzazione da parte dei popoli del Sud del mondo e dei Paesi islamici; dall’altro il declino economico a causa dell’invecchiamento della popolazione continentale e della denatalità. Unica strategia per salvarsi è sviluppare una «filosofia dell’identità», una critica radicale al multiculturalismo, al politicamente corretto, alla tendenza all’autocolpevolizzazione e alla retorica dell’alterità. Secondo Serri, quando la destra in Italia si è insediata al governo de Benoist è diventato l’astro del nuovo corso meloniano.

In anni più recenti, a Colle Oppio, fucina di elaborazione del pensiero di destra, la biblioteca si è arricchita di libri da cui attingere a piene mani citazioni a dir poco eclettiche. Così Jünger viene fatto convivere con Gramsci, il conservatore Roger Scruton con Bertolt Brecht e Pier Paolo Pasolini, Yukio Mishima con i Cantos di Pound e Saint-Exupéry con il Signore degli Anelli di Tolkien.

Infine i campi Hobbit. Fu sempre Rauti a ideare il primo, perché «la gioventù ha bisogno di idee-forza». E da lì Atreju, nome derivato dal «figlio di tutti» ne La storia infinita di Michael Ende, anche se Ende era un convinto antifascista costretto ad arruolarsi nella Gioventù hitleriana che disertò per raggiungere i gruppi di resistenza bavarese. Ma appropiarsi di personaggi che nulla hanno a che vedere con il loro progetto politico sembra lo sport prediletto delle nuove destre, sostiene Serri: Marine Le Pen si è appropriata di Olympe de Gouges, Simone de Beauvoir ed Élisabeth Badinter e Meloni, nel suo discorso di insediamento, ha evocato Nilde Iotti, Tina Anselmi e Rita Levi-Montalcini.