Sull’incontro nazionale a Bologna del 4-5 febbraio convocato dal coordinamento “Non una di meno”
Donatella Franchi
15 Febbraio 2024
Ero andata a questo incontro con l’atteggiamento dell’osservatrice, come altre mie coetanee.
In quei due giorni tantissime donne, di tutte le età, si erano date appuntamento a Bologna, la città in cui vivo, dal nord al sud d’Italia, per organizzare uno sciopero globale l’8 marzo contro la violenza maschile. Mi interessava vederle, sapere cosa pensavano.
Ed è stata una sorpresa felice.
Sono uscita dall’assemblea generale, che presentava le sintesi dei lavori di gruppo del giorno e mattina precedenti, con una sensazione di contentezza, per la passione, l’entusiasmo e l’energia vitale che le giovani organizzatrici avevano comunicato nei loro resoconti a tutte le donne presenti, e penso anche, forse, ai diversi uomini che, con discrezione, avevano partecipato ai lavori.
Dal mio punto d’osservazione nell’aula magna dell’università, stipata fino all’inverosimile, ho avuto dei flash back di riunioni storiche del femminismo sorgivo degli anni ’70, dove la politica si comunicava attraverso un sentire, un modo anche gioioso di esserci, che si può solo vivere in presenza.
Nell’assemblea generale della domenica pomeriggio, sono stati riportati i temi discussi nei lavori di gruppo ai tavoli. Gli argomenti erano: Educare alla differenza, all’affettività e alla sessualità, e la formazione come prevenzione nei confronti della violenza; Femminismo migrante; Sessismo nei movimenti; Diritto alla salute sessuale e riproduttiva; Narrazioni della violenza attraverso i media; Piano legislativo e giuridico; Percorsi di fuoriuscita dalla violenza; Lavoro e salute.
Nei lavori di gruppo ai tavoli si parlava di pratiche e di esperienze molto concrete, avendo come filo conduttore il tema della violenza maschile come parte integrante del sistema politico patriarcale, e gli strumenti politici e culturali necessari per prevenirla e contrastarla.
Questi temi sono stati declinati nei modi più diversi, come diversissime e variegate erano le partecipanti e i loro percorsi. Erano rappresentate le varie condizioni di lavoro. C’erano molte lavoratrici, precarie e non: insegnanti, sindacaliste, migranti, attiviste sociali, ricercatrici universitarie, avvocate, pensionate, studenti … Si andava dalla riflessione sulla trasformazione di sé e la crescita personale, nel gruppo su Educazione e formazione, alle azioni di aiuto alle migranti da parte delle attiviste sociali, nel gruppo Femminismo migrante. Non ho sentito da nessuna parlare della violenza maschile in tono vittimistico: “non ve ne faremo passare una”, ha detto la giovane che riferiva sul gruppo “sessismo nei movimenti”.
Penso che le riflessioni e le dichiarazioni uscite dal convegno siano andate molto oltre la preparazione per la scadenza dello sciopero dell’8 marzo e che la necessità di reagire alla violenza contro le donne sia stata trasformata in consapevolezza politica, in energia propulsiva e desiderio di cambiamento. Ho sentito da più parti affermare con entusiasmo che un nuovo movimento internazionale trasversale sta nascendo, è partito dall’Argentina, coinvolge le donne di più di trenta nazioni come la Polonia e la Russia, e le reti di collegamento si stanno sempre più allargando.
Per me, femminista dagli anni Settanta, è stato vivificante sentire le giovani, che riportavano in assemblea con intelligenza e competenza i temi discussi in gruppo, affermare con orgoglio di essere femministe, e dichiarare il loro desiderio di mettere a frutto la ricchezza dell’elaborazione femminista che le aveva precedute. Comunicavano la consapevolezza di avere una genealogia alle spalle, ci stavano restituendo parte del nostro investimento di energie e di vita.
Voglio accogliere con fiducia la loro scommessa.