Sotto l’ombrellone con “Una donna” di Annie Ernaux
Franca Fortunato
28 Giugno 2025
da L’Altravoce il Quotidiano
Una donna è uno dei primi libri di Annie Ernaux, scritto dopo la morte della madre solo dopo aver superato il terrore di scrivere «mia madre è morta» e aver potuto guardare le sue fotografie. È sulla donna che era sua madre che vuole scrivere, sull’unica donna che abbia davvero contato per lei. Lo fa per sottrarla all’oblio e restituirle una storia, una vita, tornando con la scrittura a vivere con lei, insieme a lei, in un tempo e nei luoghi in cui era ancora viva, per restituirle “verità” e, a sua volta, “metterla al mondo”. «Vorrei cogliere la donna che è esistita fuori di me, la donna reale, nata in un quartiere contadino di una piccola città normanna, Yvetot, e morta nel reparto geriatrico di un ospedale dell’hinterland parigino». Ricompone la vita della madre attraverso ricordi, memorie, immagini, gesti, parole, fotografie, episodi dentro il tempo storico e i luoghi che l’hanno vista protagonista della sua storia, iniziata con sua madre nel 1906 e conclusa con la figlia nel 1986. Una storia lunga che parla anche della figlia e del suo desiderio di libertà, lontana dallo “sguardo” materno. Storia comune a molte donne della generazione mia e di mia madre. Una madre che la figlia identifica con l’ambiente in cui è cresciuta. Rifiutare quell’ ambiente, ribellarsi alle convenzioni sociali e alle pratiche religiose, averne “vergogna”, come fa la figlia da adolescente, vuol dire allontanarsi dalla madre, “vergognarsi” di lei e lasciare il “mondo dei dominati” per quello “dei dominatori”, grazie allo studio a cui l’ha introdotta la madre. «Con l’adolescenza mi sono allontanata da lei e tra noi c’è stato soltanto conflitto».
«Mi vergognavo della sua maniera brusca di parlare e di comportarsi». «Sognavo soltanto di andarmene […], lontana dal suo sguardo». Scrivere della madre, della “bambina di campagna” a cui «piaceva leggere tutto ciò che le capitava sottomano», riconoscere la grandezza e la bellezza della donna che è stata, è un modo per riscattare quella vergogna e pagare il debito di riconoscenza e gratitudine verso la madre, del cui amore non ha mai dubitato. «Mi chiedo se scrivere non sia una maniera di dare». La ragazza giovane, bella, dagli occhi grigi, a cui piaceva leggere tutto ciò che capitava sottomano, cantava e rideva, anche molto, cui piaceva truccarsi, uscire in gruppo per andare al cinema, a teatro, divenuta madre non ha nemmeno un momento per sé e riversa le sue aspettative e desideri sulla figlia, facendola studiare. «Il suo desiderio più profondo era darmi tutto ciò che non aveva avuto lei». «Pronta ad ogni sacrificio per farmi avere una vita migliore della sua». Non c’è rancore, né alcun rimprovero verso la madre nella scrittura della figlia, ma orgoglio e ammirazione per la donna forte, energica, generosa, vivace, col sogno di «prendere in gestione un negozio di alimentari», che realizzerà e ne farà un luogo di «piacere di parlare e ascoltare». «Quante vite si raccontavano in negozio». Non idealizza la madre. «Scrivendo, vedo ora la “buona” madre, ora la “cattiva”», quella per cui «ogni occasione era buona per regalarmi giocattoli e libri», e quella che «mi dava della cagna, della stracciona, mi picchiava con facilità e cinque minuti dopo mi stringeva forte e mi chiamava la sua “bambolina”». Cerca di dare un senso a quella violenza.
«Non considero la violenza, i rimproveri, gli eccessi di tenerezza come tratti del suo carattere ma li situo all’interno della sua storia e della sua condizione sociale». È la scrittura che infine le dà la possibilità di unire la «donna demente che è diventata con quella forte e luminosa che era stata».
Un libro bello che, come tutti gli altri di Annie Ernaux, fa pensare e apre la mente. Buona lettura sotto l’ombrellone.