Senza fiducia non c’è una politica trasformativa
Traudel Sattler
21 Febbraio 2020
Introduzione alla Redazione allargata di Via Dogana 3, domenica 9 febbraio 2020, La differenza sessuale alla prova del presente
Voglio cominciare spiegando la mia motivazione, la mia urgenza per cui ho proposto di dedicare questo incontro di Via Dogana 3 alla questione della differenza sessuale alla prova del presente: recentemente sono rimasta molto turbata dalla lettura di un libro la cui autrice, con l’intento di aprire la strada per un nuovo ordine simbolico al posto dell’ordine patriarcale in declino, partendo dalla differenza riproduttiva non parla più di donne e uomini, ma di “persone con/senza utero”, di “persone gestanti”, e dichiara parole come “madre” e “mamma” “parole consumate”.
Questo libro mi ha messo in uno stato di allerta perché l’ha scritto Antje Schrupp, politologa e giornalista di Francoforte che stimo molto e che da anni è in un rapporto di scambio con le filosofe di Diotima. È una voce importante nel panorama mediatico e ha contribuito molto a far conoscere il pensiero della differenza in Germania. Io vivo in Italia da tanti anni, naturalmente seguo anche ciò che capita in Germania ma la questione che si pone riguarda noi qui. In un altro articolo, infatti, Antje si chiede: “Le discriminazioni contro le donne ormai sono cadute, quindi che senso ha ancora distinguere tra i sessi? Praticamente nessuno”.
Sì, 50 anni di movimento delle donne hanno prodotto molti cambiamenti. Viviamo in un presente abitato dalla libertà femminile, io vedo con gioia che le donne sono ovunque, e i movimenti più significativi si richiamano al femminismo: «La battaglia per l’ambiente è il movimento femminista più grande del mondo» (Malena Ernman Thunberg, madre di Greta). Vedo ragazze che prendono la parola con disinvoltura, ministre, sindache, presidenti che chiamano altre donne per gestire insieme il corpo sociale. Non come neutre, cooptate o fedeli esecutrici di un ordine prestabilito, ma con un atteggiamento in cui vedo felicità e naturalezza di essere sulla scena pubblica con un corpo di donna.
Ho sperimentato però che nominare questa bravura “eccellenza femminile” in alcune ha suscitato imbarazzo, come mi è successo ultimamente in un incontro pubblico: mi è stato obiettato “le donne non sono esseri umani migliori”. E la differenza sessuale, che io considero un punto di leva, oggi spesso viene letta come ingombro, mi viene restituita come significato ridotto ai minimi termini: “binarismo o eteronormatività”, o addirittura negata. Il pensiero della differenza da alcune viene visto come espressione di un vecchio femminismo conservatore, come teoria ormai superata.
Insomma, mi sono sentita come se la realtà mi sfuggisse, in una situazione di incomunicabilità, e mi sono chiesta: ho vissuto in una bolla? mi sono adagiata in una posizione che credevo sicura e acquisita una volta per tutte? Le nostre pratiche come il partire da sé, la pratica della disparità e dell’affidamento e le figure che sono state inventate riescono ancora a parlare al presente?
A me pare di sì, perché senza fiducia non c’è una politica trasformativa per me. Anche per mettere a fuoco i miei pensieri per questo mio intervento ho sentito la produttività della relazione. E ho visto che queste idee hanno fatto breccia anche in posti lontani, ispirando le pratiche anche là. Basta pensare al collettivo di giovani francesi che hanno scoperto Non credere di avere dei diritti e che nel processo del tradurre hanno sperimentato la forza trasformativa di queste parole su di sé.
Ma non voglio stare in una posizione difensiva. E così continuo a cercare delle modalità, parole e pratiche all’altezza di “un presente segnato dal crollo del patriarcato di cui noi stesse siamo state le prime agenti e dalle cui conseguenze noi stesse siamo attraversate e investite”, come scrive Ida Dominijanni nel libro La carta coperta.
Ed è stata proprio la lettura di questo volume collettaneo (La carta coperta. L’inconscio nelle pratiche femministe, a cura di Chiara Zamboni, Moretti&Vitali 2019) e poi la presentazione-discussione qui in Libreria delle donne lo scorso 30 novembre che mi ha dato strumenti importanti per la lettura del presente e per capire la situazione di scacco in cui mi sentivo. Lì ho ritrovato le mie preoccupazioni per la cancellazione della differenza sessuale, per via di un ritorno del tutto nuovo e imprevisto – post-patriarcale – al neutro, come scrive Chiara Zamboni.
Non voglio e non posso qui riassumere le analisi profonde e illuminanti dei contributi, ricchissimi di spunti, che mostrano che è in corso un cambiamento di economia psichica e sociale rispetto agli anni in cui è nato il femminismo con il quale siamo cresciute noi, come emerge dai testi soprattutto di Ida Dominijanni e di Cristina Faccincani. Vorrei invece sottolineare come in vari contributi e da varie angolature viene fuori la necessità di rinnovare la pratica, rinnovare l’originaria alleanza fra pratica politica e pratica analitica che, secondo me, ha reso il femminismo italiano così inventivo e originale. Rilanciare quel connubio non è facile “in un’epoca che non ci aiuta in questa impresa, perché non è amica né dell’inconscio, né del simbolico, né della differenza sessuale” – diagnosi azzeccatissima di Ida Dominijanni. Anche Cristina Faccincani, che analizza come la differenza sessuale viene cancellata perché testimonia l’incompletezza dell’umano, conclude che è di fondamentale importanza tenere vive e feconde tutte le pratiche di relazione che accolgano la dimensione inconscia dell’essere, che lascino spazio alla meraviglia delle differenze […], pratiche generatrici di apertura al futuro.
Tenere attive le tracce della pratica dell’inconscio, osserva anche Lia Cigarini, infatti, preserva la differenza femminile dal diventare una teoria definita una volta per tutte. Certo, bisogna tener conto dello scenario cambiato: l’idea della trasformabilità del sé che ha avuto una risonanza politica non piccola negli anni ’70, oggi è stata scippata dal neoliberismo e dalla biopolitica, tuttavia Lia lancia la scommessa di risignificare la differenza sessuale e di “rinegoziare i rapporti tra i due sessi, per trovare altre figure di scambio, cioè altre mediazioni con il mondo”.
Rinnovare, rilanciare, risignificare, rinegoziare – in queste parole ho trovato un invito forte a interrogare le nostre pratiche. Con noi abbiamo Chiara Zamboni, filosofa di Diotima, curatrice e coautrice del libro La carta coperta che era già venuta a presentare, insieme ad altre. Ringrazio Chiara di essere tornata, dandoci l’occasione per riprendere anche questo punto cruciale delle pratiche che l’ultima volta non ha potuto essere approfondito a sufficienza.
Ringrazio anche Stefania Ferrando per essere venuta da Parigi dove vive e insegna filosofia politica. Dai primi anni di università è coinvolta con Diotima, ogni tanto partecipa ai ritiri e ai seminari. Nelle sue ricerche, dedicate soprattutto all’Ottocento, ha seguito le tracce di pratiche politiche di donne, le loro invenzioni: luoghi, riviste, associazioni che hanno creato per agire la loro libertà.