Ritratto della giovane in fiamme (Portrait de la jeune fille en feu), un film di Céline Sciamma (Francia, 2018, 120’)
Silvana Ferrari
17 Dicembre 2019
Con il quarto lungometraggio, Portrait de la jeune fille en feu, Celine Sciamma prosegue nella messa in scena di percorsi di scoperta di sé, di ricerca di identità e di autoaffermazione delle adolescenti e delle giovani donne nell’incontro con la sessualità, le passioni e i desideri.
Dopo le adolescenti di Naissance des pieuvres alle prese con i primi turbamenti d’amore e sessuali, dopo Laure che in Tomboy vuole farsi passare per un ragazzo, dopo Diamante nero con il suo gruppo di giovani della banlieue in esplorazione di una propria via nel mondo, la regista ci porta nel 1770 in un’isola della Bretagna per raccontarci come in un piccolo universo femminile – gli uomini sono semplici comparse o citazioni – possa insinuarsi un’idea di libertà, un sogno di relazioni e di sentimenti veri.
Marianne, una giovane pittrice, giunge sull’isola incaricata di ritrarre Heloïse che, appena uscita dal convento, è promessa a un nobile milanese. La giovane, chiusa nel dolore per la recente morte della sorella e contraria all’obbligo del matrimonio, in un gesto di resistenza rifiuta di farsi ritrarre. La madre allora consiglia Marianne di lavorare al ritratto di notte e di approfittare durante il giorno della compagnia della giovane per studiarne la figura. Lo sguardo di Marianne tutto teso a memorizzare le fattezze di Heloïse (per tentare di riprodurle sulla tela, la notte) si fa man mano più profondo, più attento nel desiderio di andare oltre le apparenze, mentre cresce la confidenza fra loro.
La regista usa la metafora della pittura e della musica per raccontare la nascita di un amore, che, sottolinea, è fra eguali, non inscritto nelle gerarchie dei rapporti di forza e di potere, né nei giochi di seduzione.*
Il film lavora su più piani e più tempi: il piano cinematografico in cui la regista mostra come il cinema possa emulare la pittura con accurate e splendide rappresentazioni di paesaggi, di visi e di corpi in posa, facendosi il suo sguardo pittorico; quello del suo tempo interiore in cui, prendendosi tutto l’agio della lentezza, illustra in dettaglio l’evoluzione della storia d’amore; e il tempo delle due protagoniste che è poco, i cinque giorni concessi dalla madre per completare il ritratto.
L’amore che per entrambe è una delicata scoperta, si fa rimpianto, desiderio dell’ultimo sguardo per portare con sé il ricordo dell’amata. Così il mito di Euridice e di Orfeo si presenta alla memoria, mentre il canto notturno attorno al falò che incendierà il vestito di Heloise, in una scena di grande effetto, avverte: “Non si può fuggire, non si può fuggire”.
Già nelle primissime scene Celine Sciamma dichiara il suo debito al cinema di Jane Campion di Lezioni di piano – il viaggio in barca di Marianne, la caduta in mare, l’arrivo alla spiaggia ripresa in tutta la sua lunghezza –; alla letteratura delle sorelle Brontë – di grande effetto alcune scene in un paesaggio simile alla brughiera –; alla pittura, quella romantica dell’ottocento, e alla musica: indimenticabile la scena finale.
Celine Sciamma ha partecipato al Festival di Cannes fin dal 2007 con Naissances des pieuvres, poi alla Quinzaine des realisateurs con Tomboy e infine a Cannes 2019 nella selezione ufficiale con Portrait de la jeune fille en feu vincendo il Premio per la Miglior Sceneggiatura.
Il film esce nelle sale italiane il 19 dicembre 2019.
*Il gioco del guardarsi, del conoscersi attraverso lo sguardo è parte dell’atto creativo nella pittura: chi dipinge e chi è dipinto, chi guarda e chi è guardato. Uno sguardo reciproco e un reciproco processo di conoscenza. Berthe Morisot, la grande pittrice impressionista, aveva ben raccontato nei diari e nelle lettere, questa esperienza, quando posava per Edouard Manet.