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da la Repubblica

Carla Lonzi non è mai stata così letta. Un’attenzione che in vita Lonzi non ha avuto: «Tutte noi che l’abbiamo letta da giovani ci siamo imbattute in lei per caso», dice Durastanti. L’ha celebrata Elena Ferrante nella sua tetralogia L’amica geniale, facendola leggere a Lenù, un capitolo diventato una scena della serie televisiva: «Com’è possibile, Lonzi, scomoda, irriverente, fuori da qualsiasi schema; Lonzi che è stata a lungo un segreto da sussurrarsi all’orecchio; Lonzi che oggi, mentre il femminismo finisce al centro di polemiche spinose, vedi le chat dell’attivista Carlotta Vagnoli sotto indagine per stalking con Valeria Fonte e Benedetta Sabene, chissà cosa avrebbe da dirle».

Durastanti, però, sul caso delle ultime settimane, vuole intervenire interpretando il pensiero della saggista e attivista animatrice di Rivolta femminile: «Riguardo agli episodi di recente attualità, devo pensare che Carla Lonzi, per quanto fosse anti-ideologica e non volesse trasformarsi lei stessa in un megafono, guardando con enorme sospetto quello che oggi definiremmo femminismo della presenza, ci ha proposto sia anticorpi sia antidoti per far sì che un femminismo radicale e separatista non discendesse nell’esercizio della violenza – dice. – Leggendo i suoi diari (chiaramente si tratta di qualcosa su cui aveva il controllo e voleva rendere pubblico, la precisazione qui è indispensabile) si trova tanta rabbia e conflitto quanto amore e tenerezza, era tutt’altro che pacificata o risolta nei rapporti di amicizia all’interno del femminismo stesso, ha scritto cose molto dure su figure come Dacia Maraini o Natalia Ginzburg per esempio. Ma sempre con una postura rigorosa, leale, profondamente critica, a costo della solitudine e dell’isolamento».

E aggiunge: «Lo studio, la pratica e la competenza, soprattutto se avulsi dal discorso pubblico mainstream sul femminismo, hanno un costo. Il costo può essere la solitudine e l’isolamento, come dimostra la stessa vita di Lonzi, e non tutte sono interessate o obbligate a tenerlo presente. Ma dinanzi a simili degenerazioni e superficialità, non posso fare a meno di pensare alla fatica e al lavoro che il femminismo chiede e a rivolgere un pensiero grato a tutte le donne che sono disposte a farlo. Sono la maggioranza, sia chiaro».

L’ultimo volume appena uscito per La Tartaruga è “Vai pure”, il suo straordinario dialogo con Pietro Consagra: una radiografia senza sconti delle relazioni di coppia, dell’incomunicabilità nonostante la volontà di capirsi, nonostante l’amore. Prima erano stati pubblicati “Sputiamo su Hegel”, “Taci, anzi parla. Diario di una femminista”, “Autoritratto”, e altri volumi seguiranno.

La filosofa Annarosa Buttarelli sta curando l’intera riedizione delle opere di Lonzi, che erano state pubblicate dalla casa editrice di Rivolta Femminile. Ed è lei a spiegare come leggere Carla Lonzi oggi. E perché: «Consiglio di leggere i testi di Lonzi come testi di trasformazione che nascono dall’esperienza. Anche se all’inizio sembra di non riuscire a capire, bisogna continuare a leggere fiduciosamente. I testi di trasformazione sono eterni, in un certo senso, ed è importante lasciarsi guidare. Ci si accorgerà, a un certo punto, che la nostra mente sta trasformandosi».

In un momento in cui un nuovo dibattito sulle relazioni uomo-donna è più che mai urgente, sulla scia di sangue dell’emergenza femminicidi, per Buttarelli i testi di Lonzi “sono necessari”: «Accompagnano a un livello di comprensione della realtà dei rapporti uomo-donna a cui oggi pochi e poche arrivano. Ma sono necessari anche perché producono energia per ritrovare la forza di lotte creative e costruttive che vediamo sparire, sostituite oggi da rabbia e disperazione». Ma perché è rimasta così a lungo nell’ombra? «Ha viaggiato sempre sottotraccia, in molte tesi di laurea in tutto il mondo, e nelle elaborazioni del femminismo filosofico della differenza sessuale. Se non ci fosse stata Carla Lonzi non ci sarebbe stata la ricchezza di lavoro della mia Comunità filosofica Diotima dell’Università di Verona. È vero però che in Italia per parecchi anni non è stata nominata e studiata come si sarebbe dovuto sempre fare. Per fortuna, sono riuscita a costruire il Fondo Carla Lonzi alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma, grazie al sostegno dell’allora direttrice Cristiana Collu. E poi con Claudia Durastanti siamo riuscite ad avviare le riedizioni dei testi fondamentali con La Tartaruga».

Buttarelli invita a rileggere anche i suoi testi più scomodi, come le riflessioni sull’aborto: «Carla Lonzi ci fa capire che l’aborto non deve essere considerato come un diritto tra i diritti, perché non lo è. Questa è la sua posizione. Quello da difendere è un altro diritto, questo sì reale: il diritto delle donne all’accesso gratuito alle strutture ospedaliere per la propria salute».

Ma cosa ci dice del femminismo oggi? «Questa parola è un presidio di civiltà ovunque venga pronunciata e testimoniata: si chiama femminismo ogni azione e comportamento che si spendano a favore e a sostegno delle cause delle donne, intese come strada verso la libertà femminile. Dovremmo onorare questa parola per la lunga storia che ha creato e che sta continuando a creare nel mondo. La femminista radicale Carla Lonzi avrebbe voluto alzare i rapporti umani allo stato d’amore, come scriveva nel suo “Diario di una femminista”».

Durastanti rivendica la scelta di riportare l’opera di Lonzi in libreria: «Carla Lonzi – dice – è un motivo di ispirazione su cosa si può fare con la scrittura. Lei si è confrontata con generi veramente diversi, dalla saggistica d’arte al pamphlet filosofico, dal dialogo con Consagra ai diari. Forse non si è mai confrontata con il romanzo, però in un certo senso tutti questi scritti vanno a costruire un grande romanzo sulla vita di una donna nel Novecento italiano, nel momento in cui si prende di petto la questione del femminismo e del femminismo radicale. Lonzi poi scriveva poesie. C’è anche questo aspetto della sua scrittura, forse non il più maturo, il più riuscito, ma per lei molto importante».

Il primo libro pubblicato dalla casa editrice è il suo testo più famoso, “Sputiamo su Hegel”: «Uno scritto nato dall’esperienza collettiva del gruppo di Rivolta femminile. Ma soprattutto un testo che si rinnova e si rigenera sempre nel tempo. Credo sia veramente una riflessione filosofica, oltre che politica: si parla di violenza di genere, di strutture patriarcali, di aborto. Lo leggi con la consapevolezza che ha segnato un prima e un dopo nella storia del femminismo italiano e allo stesso tempo come un’opera che c’è sempre stata e sempre ci sarà. Perché ti dice tutto della tua esperienza e sul tempo che stai vivendo. La sua è una scrittura immanente».

Durastanti consiglia di cominciare dai diari nei quali c’è qualcosa «di lancinante e implacabile: sono un’esperienza che non si può attraversare senza esserne profondamente trasformati». Mentre in “Vai pure” suggerisce quello che di fatto inizia a pensare a un certo punto, e cioè che l’autocoscienza femminista richiede un lavoro collettivo: deve essere autocoscienza di tutti, travalicando il genere». Questo è proprio il momento di Carla Lonzi.