Riprendere il filo
Giuliana Giulietti
23 Dicembre 2020
Quando è scattato il primo lockdown io e alcune amiche stavamo lavorando sui testi di “La carta coperta. L’inconscio nelle pratiche femministe”. Il nostro scambio si è così bruscamente interrotto. Ci eravamo ripromesse di restare in contatto ma questo non è accaduto. Il disorientamento di quei giorni, lo sconvolgimento della nostra quotidianità, la tristezza e la paura ci hanno di fatto allontanate.
Ma forse, mi sono detta in seguito, non è stata soltanto la pandemia a bloccarci ma qualcosa di più profondo che era già in atto, quel silenziamento del desiderio di cui ha parlato Ida Dominijanni nella sua relazione e che è uno dei temi affrontati in La carta coperta e di cui si è parlato anche in libreria in occasione della presentazione del libro (30 novembre 2019). È chiaro che lo sforzo emotivo, e non volontaristico, cui Ida ci invita per rilanciare il desiderio, nessuna di noi può farlo da sola ma in relazione con le altre. E questa è una bella sfida. Perché il virus continua a circolare e ancora una volta siamo confinate e ancora si contano i morti. La tecnologia può aiutarci e l’incontro Zoom organizzato dalla redazione di Via Dogana 3 lo ha dimostrato. Certamente non è come pensare in presenza ma a ben vedere, rubo l’espressione a Ida Dominijanni, i corpi parlano, si sentono e contano anche dietro uno schermo. L’ho capito dalla gioia che ho provato rivedendo i volti di amiche che non vedevo da mesi, nell’udire le loro voci, nell’ascoltare le loro parole, nei tanti “ciao” che ci siamo scambiate. La pandemia è un evento che ciascuna di noi ha vissuto, patito, elaborato a proprio modo e che ha preso un grande posto dentro di noi, nelle nostre emozioni e sensazioni, nel nostro sentire. C’è una narrazione ufficiale della pandemia portata avanti dal governo, dalle istituzioni regionali e dai media che non solo produce confusione ma che non corrisponde a quello che io provo e vivo in questa vicenda di cui non si vede la fine. Una narrazione che secondo me va contrastata mettendo al mondo altre narrazioni a partire dal nostro sentire e dalla nostra esperienza. Per me è difficile tradurre in parole le tante e discordanti emozioni e sensazioni che il Covid-19 ha mosso e muove dentro di me. Ogni volta che ci provo viene fuori un balbettio faticoso e che assomiglia allo sforzo delle creature piccole quando imparano a parlare. Uno sforzo che impegna e tiene insieme il corpo e la mente. E forse il punto è proprio questo, che bisogna di nuovo imparare a parlare mettendoci di nuovo all’ascolto, in una realtà completamente sconvolta, del nostro inconscio, del nostro sentire, del nostro desiderio. Lo scambio tra noi può ripartire da qui e mentre scrivo mi rendo conto di avere riagguantato il filo di quelle riflessioni sui temi della Carta coperta interrotte da un accadimento imprevisto e da un desiderio assopito. In modo confuso e balbettante, senz’altro, ma sento che qui c’è per me una verità. La pandemia ha scatenato anche nel femminismo molti conflitti, lo ricordava Ida, tra due diverse interpretazioni del lockdown e, dunque, della libertà. Tra chi, come la sottoscritta, lo ha inteso come un atto di autoconfinamento, come una forma di protezione della vita, la mia e quella delle altre e degli altri e chi invece lo ha interpretato come un atto di obbedienza al governo, come una imposizione autoritaria lesiva della libertà individuale e collettiva. Un conflitto così aspro che alcune relazioni si sono spezzate. Che cosa ci è successo? – mi chiedo. E questo è un fatto che non può essere rimosso. Ma va elaborato, portato alla luce, compreso.