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L’invito aperto alla Redazione di Via Dogana 3 ci interroga sulla «continuità tra tempo di guerra e tempo di pace», allora io provo a rispondere utilizzando le modalità che ho incontrato nei gruppi della rete Maschile Plurale; provo cioè a osservare da vicino le mie relazioni di intimità e l’esperienza di insegnante di Scuola dell’Infanzia.

Parto da un’osservazione di Marco Deriu che nel suo libro: “Dizionario Critico sulle Nuove Guerre”sottolinea come «la guerra materiale trova un suo fondamento nella dimensione dell’immaginario», ed è qui che troviamo continuità tra la dimensione bellica e la violenza che è uno degli aspetti caratterizzanti il dominio sulle altre soggettività che noi uomini siamo chiamati ad agire. In queste settimane in cui la “chiamata alle armi” degli eserciti risuona prepotente insieme ai richiami alla forza, mi è capitato di incontrare gruppi e associazioni che ci interrogano intorno al fenomeno della violenza degli uomini sulle donne, anche oggi ribadisco di non parlare a nome di nessuno se non mio. In uno di questi incontri un ragazzo ci sollecitava sul dovere di protezione delle donne a lui vicine, che quella “chiamata alla forza” esige da lui in quanto uomo; l’unica risposta che ho trovato, e porto anche a voi qui, è la possibilità di rintracciare nelle mie relazioni intime questa chiamata. In particolare nella mia esperienza di padre, dove si manifesta nella paura che mia figlia sia più debole e fragile di suo fratello; la sua supposta e non reale fragilità mi spinge e autorizza a esercitare quel diritto/dovere di protezione che in realtà nasconde lo squilibrio di potere e di ruoli nella relazione tra i sessi e i generi; squilibrio che muove dal principio per cui io e mio figlio, in quanto maschi, occupiamo un luogo simbolico che parla di una gerarchia di valori. Io però posso evitare di rispondere a questa chiamata riconoscendo quanta forza è necessario evocare nella relazione di cura con mia figlia, una forza diversa da quella che vuole noi maschi duri e incrollabili. Ora posso riconoscere le mie fragilità e vulnerabilità che nascono nell’intimità di quella relazione, e che sono fonte di ricchezza e autenticità. Insieme a questa nuova forza e ricchezza trovo anche nuove fatiche e responsabilità, che sono inevitabilmente intrecciate al desiderio che mi spinge fuori dalla posizione di dominio. Posso scegliere questa cura intima che la posizione di padre tradizionale non vorrebbe mi spettasse. Nei giorni successivi all’uccisione di Giulia Cecchettin molto si è detto e scritto, da destra risuona con arroganza il richiamo al maschio forte nell’idea che Filippo Turetta sia in realtà un uomo debole, un “maschio femminilizzato” che non sa controllarsi e che per questo diviene pericoloso; di nuovo l’idea che il femminile sia degradante, la chiamata alle armi del maschio tutto di un pezzo, la voglia di mettere distanza tra sé e “l’altro”, questa volta non più il mostro instabile ma un nuovo maschio, fragile e quindi non correttamente funzionante. Mi viene chiesto come io abbia riconosciuto in me questa chiamata e di conseguenza come provare a rifiutarla. Forse mi è possibile perché avendo scelto un mestiere tradizionalmente considerato “da femmine” ho incontrato nel mio percorso molte donne autorevoli, che sono state mie maestre e colleghe nel mestiere di insegnante e queste relazioni mi hanno permesso di disinnescare la presunzione di superiorità del mio genere, potendo così scegliere una dimensione lavorativa finalmente non performativa o competitiva. Così come nelle relazioni con amiche e compagne di vita posso imparare cosa non desidero essere e insieme coltivare legami intimi che mi vedono libero di esplorare desideri ed emozioni, libero da gabbie e stereotipi. In tempi recenti l’incontro con gli uomini dei gruppi di Maschile Plurale mi ha mostrato un modo prezioso e trasformativo del prendere parola tra maschi, diverso dalle modalità che avevo appreso in quelle zone oscure dove vengono insegnate le regole delle relazioni: la costante tensione alla performance e alla sopraffazione dell’altro, la distanza del corpo dall’esperienza e dei corpi tra loro, il divieto all’intimità prima di tutto con se stessi e poi con gli altri, la fragilità e la vulnerabilità da evitare a tutti i costi. Infine l’incontro con il femminismo e le sue pratiche mi ha regalato strumenti del tutto nuovi per esercitare il desiderio di rileggere la mia identità e il modo in cui abito le relazioni. Voglio citare anche io l’articolo di Dominijanni su Internazionale2, in particolare il passaggio in cui ci dice che: «Se il possesso di una donna diventa così irrinunciabile e il suo diniego insopportabile, le ragioni vanno ricercate anche nell’economia psichica propria dell’impero della merce e del mercato, che non genera mostri devianti ma figli disciplinati e conformi, perfettamente assoggettati alle sue norme». Lo cito per dire che riconosco appieno la mia origine di figlio disciplinato da un sistema simbolico dal quale desidero emanciparmi, e che anche nel mestiere di Maestro sento intorno a me la chiamata (di nuovo da respingere) a «disciplinare e conformare» bambini e bambine, con voce grossa e paternalistico autoritarismo. Soprattutto sento che questa chiamata alla disciplina mi arriva in quanto uomo, ovvero corpo estraneo, imprevisto, in una istituzione scolastica da sempre abitata per lo più da insegnanti donne. Quella stessa istituzione scolastica in cui, in contrasto con cento anni di esperienze e pensiero sulla scuola davvero troppo poco diffusi, ancora trova spazio uno sguardo degli adulti che vuole che i bambini maschi ripetano ossessivamente il “gioco eccitante”3 della performance, della violenza e della guerra.



1 Deriu M. (con la collaborazione di Tosolini A., Barbieri D.), Dizionario Critico delle Nuove Guerre, 2005, EMI, Bologna

2 https://www.internazionale.it/opinione/ida-dominijanni/2023/11/23/femminicidio-cecchettin-patriarcato-vacillante

3 Qui un testo collettivo su maschile e guerra: https://maschileplurale.it/maschi-e-guerra/



Questo testo nasce dall’intervento alla redazione aperta di #VD3 del 3 dicembre 2023 “È ora di cambiare”, presso la Libreria delle donne di Milano.