Report di presentazione di “Guerre che ho (solo) visto” di Rosella Prezzo, Moretti & Vitali, 2024
Laura Minguzzi
14 Giugno 2025
«Nella notte più buia il linguaggio ci chiede di che cosa siamo fatti». Questa frase lapidaria e acuta come una freccia di Han Kang mi ha fatto riflettere sul senso del libro di Rosella Prezzo Guerre che ho (solo) visto. È il secondo libro di Rosella Prezzo di cui discutiamo in Libreria. Il primo che ho proposto è stato Trame di nascita e non è un caso. Siamo ai fondamenti della vita.
Di questo libro mi ha colpito la forza simbolica della nominazione che Rosella conduce, cioè la precisa disamina linguistica dei nomi delle guerre a noi contemporanee. Una semantica della guerra: guerra giusta, umanitaria, intelligente, pulita, etnica, preventiva, cibernetica, tecnologica. Ossimori che sanguinano. Ogni guerra ha il suo fine, il suo scopo, il suo nome: la guerra umanitaria fu una guerra pulita con le bombe intelligenti. Cito: «Noi vedevamo sugli schermi scie luminose nel cielo. Nessun morto fra chi la dichiarava». Scorrendo il sommario ecco due titoli che mi hanno fatto riavvolgere il nastro del tempo di ciò che abbiamo visto e vissuto:
– Ciò che di noi non abbiamo visto nella guerra della ex Jugoslavia
– Guerra all’origine
L’autrice si sofferma su una guerra dimenticata, quella dell’ex-Jugoslavia, alle porte dell’Europa, molti anni prima dell’Ucraina. Riprende il tema della posta in gioco con riferimento a Simone Weil, Non ricominciamo la guerra di Troia. Quando l’oggetto del contendere svanisce nell’indeterminato, qualsiasi composizione del conflitto diventa impossibile. La posta in gioco diventa il tempo, nella forma fantasmatica delle origini. Cito a p. 67: «Il tempo mitizzato delle origini da occupare e da detenere è stato il fantasma di quella guerra, come di molte altre guerre: lì dove, sottratti al tempo e alla parola della storia, desideri allucinati di onnipotenza vagano senza fine nella loro non negoziabilità […]. Un mito di per sé dis-umano».
Perché ci riguarda oggi e ci aiuta a pensare? Vediamo il protrarsi della guerra in Ucraina per l’impossibilità di porre sul tavolo un oggetto trattabile. La posta in gioco si sposta continuamente da entrambe le parti. È l’ideologia della purezza, la paura dell’altro da sé. Per esempio in Polonia nel febbraio del 2022 sono arrivati tre milioni di profughi, anzi profughe, soprattutto donne con bambini, e sono state accolte perché di pelle bianca. I polacchi non accolgono migranti di altre etnie, così come in Bielorussia e nei paesi Baltici e oggi questo processo sta contaminando anche altri paesi europei. Non a caso le basi dei droni che controllano il Mediterraneo sono a Varsavia e a Malta. Quelli guidati a distanza che sorvegliano il Mare Nostrum per intercettare i migranti che partono dalla Libia per portarli indietro e non farli arrivare da noi. Sono alla base del sistema Frontex.
«In realtà la prima guerra guerreggiata in Europa dopo il ’45 è stata proprio quella jugoslava» (p. 69). L’intervento della Nato in Serbia e il bombardamento di Belgrado per 78 giorni nel 1999 «ha segnato la rottura violenta del tabù della guerra sancito dalla Corte di Helsinki nel 1975 che prospettava un’Europa di dialogo e di pace, dopo gli orrori della Seconda guerra mondiale» (p. 69).
Maria Luisa Boccia e Danilo Zolo hanno denunciato l’inganno di definirla “umanitaria”. Con la potenza della semantica sono stati alimentati la metabolizzazione e l’oblio del passato. Si tratta sempre di una battaglia della narrazione e oggi sempre più di fake news e di propaganda.
Capitolo III, pp. 75/76. L’autrice si/ci chiede: «Di cosa parliamo quando parliamo di pace? Il fatto è che se, da sempre, abbiamo racconti, discorsi e retoriche [di guerra] […] niente di tutto ciò è accaduto per la pace. Come se, qui, ci trovassimo di fronte a un vuoto teorico e di visione». E, più avanti: «Per questo, pensare e dire la pace significa, anzitutto, pensare l’impensato della pace. […] È un compito arduo, la cui prima mossa è la fuoriuscita dalla dualità pace/guerra in cui la pace si dà semplicemente in negativo, come assenza di guerra o come sua conclusione. Dove essa è per di più confusa, da un lato, con la sicurezza, che un regime securitario garantirebbe; e, dall’altro, con il sogno del desiderio incantato della “pace nel mondo” […].» Qui sono indispensabili le pensatrici e le scrittrici del Novecento, che si sono spinte a ripensare le radici della nostra cultura per uscire dal cul de sac in cui ci troviamo. Cosa significa pensare l’impensato della pace? È il titolo del III capitolo, in cui Rosella Prezzo riprende il pensiero di Simone Weil sulle istituzioni da inventare. “Una filosofa in prima linea” il titolo del paragrafo, e il testo di riferimento è La Prima radice (L’enracinement). Continua poi con Virginia Woolf, Pensieri di pace durante un’incursione aerea in cui l’autrice si propone di «combattere con la mente» la sua lotta per liberare la mente dalle idee acquisite che le impediscono di immaginare altro. Conclude, nel paragrafo intitolato “La pace, un’intima rivoluzione”, con l’Antigone e l’Agonia dell’Europa di María Zambrano, la quale auspica una «“discesa agli inferi” della propria storia», per svelare «l’implicito immaginario che ha portato ai regimi totalitari», operazione indispensabile a non riprodurre «l’identico, pur camuffato» (p. 87).
Segue una breve ma significativa antologia di testi scelti dall’autrice che vale la pena di leggere o rileggere.