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Da Autogestione e politica prima – Si è svolto, dal 18 al 20 ottobre 2023, nell’armoniosa quiete del Monastero di Sezano (Verona), il tanto atteso e desiderato Convegno delle Comunità di storia vivente. Da tempo era stato rinviato, anche a causa della pandemia, e finalmente le appartenenti delle varie comunità si sono riunite in presenza, provenendo da varie città: Milano, Savona, Foggia, Catanzaro, Sciacca, Mestre, Verona, Genova, Pinerolo, Barcellona.

Accomunate dall’impegno di mettere in pratica un modo innovativo di narrare la storia, le partecipanti al convegno, fiduciose nella fecondità del sentire profondo, avevano idee, scoperte, proposte e nuove riflessioni da scambiare in contesto, insieme a dubbi, ostacoli e difficoltà.

Il convegno era stato preceduto da alcuni incontri on line, preparati da Luciana Tavernini e Marina Santini, le quali, assieme alle altre componenti della loro comunità di Savona-Milano, avevano elaborato alcune domande, tra cui: quando un testo può essere considerato di storia vivente? Come distinguerlo da un racconto autobiografico? Come procedere in questa pratica?

Dopo tre anni di relazioni a distanza, si avvertiva il desiderio di un incontro in presenza, per discutere, potersi riabbracciare e comunicare emozioni.

Diventava, a questo proposito, importante trovare un luogo adatto, accogliente e confortevole, per parlare con agio, dare spazio alle istanze di ogni comunità, favorire nuovi incontri e godere anche di un piacevole soggiorno.

Quando è stata fatta la proposta di cercare uno spazio, si è accesa in me una lampada: ho visto il Monastero di Sezano come luogo ideale, per la bellezza della sua architettura, per l’accoglienza riservata alle e agli ospiti, per il clima di pace e serenità che vi si respira e l’ho proposto, assumendomi la responsabilità dell’organizzazione. Così per prima cosa ho contattato Paola Libanti, responsabile amministrativa dell’Associazione “Monastero del bene comune”, per verificare la disponibilità ad ospitare le partecipanti. Con lei ho chiarito fin dall’inizio che non tutte erano credenti. Paola, con molta dolcezza, mi ha risposto che non c’era alcun problema perché il Monastero è uno spazio aperto a tutte e tutti, credenti e non credenti, oltre alle diverse culture e appartenenze religiose.

L’organizzazione richiedeva un certo impegno, ma da subito Luciana Tavernini e Marina Santini mi rassicurarono con la loro presenza affettuosa e attenta, come del resto erano state fin dall’inizio con tutte noi della nuova comunità “Storia vivente in faccia al Monviso”, da quando muovevamo i primi passi a Pinerolo, presso l’antico Monastero della Visitazione, avendo di fronte a noi a ispirarci e sostenerci la spettacolare mole innevata del Monviso.

Da quando mi sono avventurata in questa nuova esperienza mi sono liberata da un peso, un macigno che portavo dentro di me da decenni: ho ripercorso la mia storia, risignificato le relazioni che ho intrecciato nel corso degli anni, riappacificandomi con mia madre e con me stessa. Ho guadagnato una grande serenità interiore e con essa la capacità di comprendere che i nodi si erano formati a causa del mio desiderio di libertà che mi faceva scontrare con chi mi voleva docile e sottomessa. Grazie alta pratica della storia vivente, sono entrata in un percorso vitale e trasformativo e ora provo una gratitudine profonda per le donne che mi hanno aiutata a portare alla luce i nodi irrisolti della mia vita, restituendomi il piacere della scrittura.

Hanno partecipato all’incontro di Sezano la comunità SaMi (Savona-Milano), promotrice del convegno in accordo con Marirì Martinengo, iniziatrice e inventrice della storia vivente, e con Laura Minguzzi; la storica María Milagros Rivera Garretas, già docente all’Università di Barcellona, autrice di testi, saggi e articoli significativi sulla storia vivente; la comunità “In faccia al Monviso”, la comunità di Foggia, la piccola comunità di Venezia-Mestre. In tutto 19 donne, delle 22 facenti parte della rete attuale di comunità e singole. Assenti, oltre a Marirì Martinengo, due amiche della comunità di Foggia.

Eravamo lì per desiderio, emozionate di incontrarci, decise a dire l’essenziale delle nostre storie “incandescenti”, a ragionare sui nodi irrisolti che fanno ingombro nelle relazioni.

Dopo aver verificato nei mesi precedenti l’interesse da parte di tutte di rivedersi, di individuare insieme i temi di approfondimento e di sapere che cosa ogni realtà stava facendo, si è deciso di presentare oralmente in contesto i racconti scritti da alcune e discuterne insieme; di ascoltare le pratiche messe in atto dalle comunità, con i guadagni e le ricadute positive sia a livello personale sia politico e le difficoltà incontrate. Infine, di valutare la possibilità di trasmettere la storia vivente, relazionandoci con le ricercatrici universitarie, le storiche di professione o le docenti di storia delle scuole superiori per far capire loro la necessità di lavorare sulla soggettività per una nuova scrittura della storia.

Il lavoro in contesto si è articolato nel modo seguente: per due mattine e un pomeriggio tre partecipanti hanno coordinato a turno i lavori e nove hanno proposto all’attenzione comune il proprio racconto. L’ultima mattina è stata dedicata ai progetti e alle proposte o a ulteriori riflessioni. L’ascolto del testo di un’altra è gesto di relazione: ognuna ha messo nelle mani delle presenti il suo racconto, fiduciosa nella cura del loro giudizio, consapevole che di quel giudizio ha necessità come un nutrimento che l’aiuta a fare passi avanti nel percorso di conoscenza di sé e della storia entro cui si è articolata e si sta articolando la sua vita.

Diventare “autrici” della propria storia, “storiche” appunto, richiede dei cambiamenti, vuol dire mettersi in discussione, uscire dalle gabbie patriarcali, scoprire i nostri intoppi, riconoscere e sbrogliare i conflitti del vissuto personale e far emergere la propria soggettività, trovare insieme alle altre «il nodo profondo che ha fatto di ciascuna di noi quello che è diventata», «ritornare alle origini, all’antica relazione con la madre, alle grandi pretese dell’infanzia per trovare il filo della propria vita unica e irripetibile».

La storia vivente ti fa capire che la tua storia è importante perché solo da qui puoi conoscere e guardare il presente; ti porta indietro, in un percorso a spirale fino a recuperare i «frammenti luminosi e oscuri» del sentire originario.

I racconti di storia vivente sono testi “in movimento”, in continua formazione, che non cancellano le emozioni, richiedono un lavorio su vari livelli, una scrittura di scavo interiore che parte dalle “viscere” (termine utilizzato dalla filosofa spagnola María Zambrano).

I nodi irrisolti ritornano, si ripresentano in forme sempre diverse nella vita ed è difficile, quasi impossibile rimuoverli, tenerli nascosti perché, prima o poi, riemergono e a volte esplodono in modo selvaggio. L’indagine sui nodi irrisolti esige la verità di un confronto vero e sincero, un lavorio teso a comprenderne il significato profondo, altrimenti restano chiusi in un «passato che non passa». Parlarne con altre è il primo passo per sciogliere quei nodi e andare oltre, in un percorso autentico di libertà.

Dai vari racconti sono emersi degli elementi comuni come il legame fortissimo e spesso conflittuale con la madre con cui ciascuna prima o poi deve fare i conti, ma anche il rapporto difficile con il padre e il maschile in generale, quando il proprio desiderio di libertà si manifesta e inizia a prendere forma. Sono emersi anche il nodo della sessualità e della maternità non libera, di cui si parla poco.

A Sezano abbiamo praticato «l’autorità in contesto», ognuna ha fatto in modo che ci fosse uno scambio vivo di autorità circolante, ha riconosciuto a sé e all’altra autorità sulla propria storia. Non c’è stata sempre sintonia e alcune critiche sono state aspre e taglienti. A volte sono mancate quella pazienza e capacità d’ascolto necessarie per venirsi incontro da grandi distanze. Era comunque chiaro a tutte il valore delle critiche per andare avanti nella ricerca comune.

Milagros Rivera Garretas ha posto la domanda sul possibile rapporto fra l’ispirazione e la storia vivente e ha indicato l’importanza di non parlare solo del dolore, ma anche delle esperienze di felicità che ci hanno segnato, raccontandole in maniera ispirata, lasciando spazio al mistero, alla possibilità di aprirci all’infinito. Le nostre storie, iniziate nella seconda metà del ’900, cominciano nel patriarcato, ma portano con sé la fine di quel regime. I nodi che ci portiamo dentro sono il modo in cui il patriarcato ci voleva imbrigliare, imprigionare. Se riusciamo a scioglierli, si entra in un tempo in cui c’è spazio per il piacere femminile e l’ascolto dei propri desideri. Per questo, ha sottolineato Laura Minguzzi, è necessario iscrivere nella storia il cambiamento simbolico portato dall’invenzione della storia vivente, collocandola tra gli «eventi memorabili» che hanno trasformato la storia perché ha messo in luce la fecondità del sentire profondo e creato un altro tempo.

A Sezano c’è stata un’apertura, un nuovo respiro nelle relazioni. L’incontro preziosissimo di Sezano – scriveva a tutte Marina Santini un mese dopo il convegno – è stato l’occasione per alcune di incontrarsi per la prima volta, per altre di ritrovarsi e sentirsi ancora più vicine, favorite anche dalla tranquillità del luogo. Sono circolate emozioni forti e parole di verità. A distanza di tempo, ognuna sta verificando la ricchezza che quel momento le ha donato e che continua a circolare nelle relazioni.

Anna Turri Vitaliani, interessata ai temi del ‘sacro’ e del divino femminile, fa parte dei gruppi donne delle Comunità di base con cui fa ricerca e della Comunità di storia vivente “In faccia al Monviso” di Pinerolo. Con Doranna Lupi e Sandra De Perini si è confrontata per la stesura di questo report.

(Autogestione e politica prima, n° 2/3, aprile-settembre 2024 – anno XXXII)