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Introduzione alla Redazione aperta di Via Dogana 3 Sulla maternità, domenica 2 ottobre 2022


«Curiosamente mi accorgo di voler stare dalla parte dei bambini, e da quella delle madri; […] non voglio fare parte di un movimento politico che mi porti a guardare il mio stesso corpo con sospetto e terrore. A prescindere da quello che pensiamo o temiamo del futuro della nostra civiltà, in ogni parte del mondo le donne continueranno ad avere figli, e io sono una di loro, e qualunque figlio potrò avere sarà uno dei loro.» (Sally Rooney, Dove sei mondo bello?)


Nel suo ultimo romanzo, Sally Rooney – che potremmo definire la scrittrice più affermata della mia generazione – porta tra le sue pagine il tema della maternità. Sono voluta partire da questa citazione (alla quale io aggiungerei “figlie”) perché è così che viene fuori, agli sgoccioli del romanzo e senza alcun precedente accenno, come se un riflettore improvvisamente si puntasse su questa parola, che alla romanziera (e anche a me, fino a qualche tempo fa) sembrava oscura e lontana: la madre.

La scoperta improvvisa che si percepisce dalle parole di una delle due protagoniste del romanzo, può tranquillamente rappresentare una copia carbone di come io stessa mi sono approcciata al tema della maternità. Ovviamente, essendomi avvicinata alle politiche femministe da pressoché adolescente, ha occupato una posizione defilata, anzi un po’ condizionata da quanto vedevo propagandato in rete. Ho sempre visto la maternità come l’“anti-femminismo”, come simbolo per eccellenza del patriarcato e dei ruoli di genere. Certo, bisogna anche dire che questo sentimento “anti-materno” non è nato per caso: le pagine femministe più “pop” non ne parlano e inoltre sui social network negli ultimi anni impazza una nuova forma di ironia – ben lontana dalla definizione ariostesca del termine – che vede le madri al centro di battute misogine, nascoste sotto l’egida del progressismo.

Mombie – crasi di mamma e zombie –, mamme pancine: derise, messe alla berlina per il solo motivo di essere madri, avere dei dubbi e (orrore!) confidarsi con altre mamme su Facebook. Sulla definizione di “mamme pancine” un famoso signore ha basato tutta la sua carriera (se così la vogliamo chiamare) da “personaggio pubblico” e “comico”: i suoi post con più click sono infatti condivisioni di screen presi dal gruppo Pancine, cuori e bimbi (di non ben chiara autenticità, visto che più volte è venuto fuori che si trattasse di screen creati ad hoc dal nostro signore di cui sopra) in cui queste donne vengono derise dagli avventori della pagina per il loro basso grado di istruzione e per le loro condizioni sociali di “mamme e casalinghe”. Infatti, piuttosto che indagare sul perché queste donne abbiano un basso grado di istruzione, sul perché si trovino in relazioni non spesso appaganti e perché siano abbandonate nella cura dei figli, si preferisce prenderle in giro e creare un vero e proprio circolo di bulli misogini che guardano il dito quando gli viene indicata la luna. Questi post sono il sintomo di una grande problematica, che i commentatori dell’ultimo minuto sembrano ignorare: la solitudine delle donne, la solitudine delle madri.

I gruppi, i forum per mamme sono sempre esistiti, ed è giusto che sia così, soprattutto è giusto che siano spazi sicuri per dubbi e confidenze e ora, con questo nuovo trend di misoginia, non lo sono più. Le comunità di mamme in rete sono luoghi meravigliosi, luoghi che negli ultimi anni ho avuto modo di approfondire anche in controtendenza con quanto accadeva intorno a me sui social network. Soprattutto, ritornando su un tema che è a me molto caro, ovvero quello della solitudine e dell’isolamento, tramite questi gruppi alcune mamme riescono a creare intorno a loro una vera e propria rete di ascolto e aiuto, in un momento molto delicato della loro vita in cui però sono spesso lasciate sole, da una società che si aspetta che “se la sbrighino da sole”.

Così, anch’io, osservando da lontano questi piccoli ingranaggi di supporto ho iniziato ad avvicinarmi alle madri e alle loro voci. Forse a questo fa anche capo l’abbandono dell’adolescenza e del tetto familiare, che mi ha permesso di mettermi maggiormente nei panni della prima madre con cui ho avuto a che fare: la mia. Ho visto il suo sudore nel mio, la sua fatica nella mia e ho pensato alla nostra vicinanza, che fino a poco tempo prima mi sembrava una distanza insormontabile. È come se avessi aperto davvero gli occhi su quanto la maternità sia ormai passata in sordina nel discorso politico, eccetto quando si vogliono attuare politiche di controllo sulla maternità e di conseguenza sul corpo delle donne, come aborto e GPA. E in questo contesto perde voce l’esperienza materna – che diventa solo un modo per accaparrarsi consenso politico a destra e sinistra – e le madri vengono relegate a figure di secondo piano, sole.

Da un lato abbiamo gli attacchi misogini di chi ritiene che queste donne abbiano voluto la bicicletta e dunque debbano pedalare, cito testualmente da un commento in merito: «Ovunque incrocino un altro essere umano, devono far notare che hanno il bambino, come se non fosse qualcosa che accade da quando è nato il mondo. Fare figli è naturale, ma soprattutto una scelta di vita che riguarda te e non il resto del pianeta. Eppure, queste ritengono di aver creato qualcosa di unico, mentre si tratta di un normalissimo bambino, che a dire il vero fa pure un po’ pena […] ma perché accade questo? Probabilmente queste donne, non essendo state capaci di concludere nulla nella vita e ritenendosi sistemate per aver trovato un uomo che le mantiene, si attaccano all’unica cosa che hanno creato nella vita: il figlio».I figli sono un problema loro – casualmente solo delle madri – loro li hanno voluti e loro li devono crescere. Dall’altro queste donne, come sempre, hanno trovato il modo di starsi vicine anche se lontane, anche se le tutele sono poche e le porte in faccia parecchie. E non c’è niente di più femminista di questo, a mio avviso: per me, e mi permetto di parlare a nome di tutte Le Compromesse, questa luce di sorellanza non è altro che sintomo di quella forza femminile di cui tanto abbiamo parlato in questa sede il 12 giugno. E se all’inizio del mio percorso alla scoperta del femminismo (in cui ancora ho tanta strada da fare) vedevo le madri come un qualcosa di completamente distante da me, un’alterità quasi problematica, adesso allo specchio vedo una madre, mia madre e tutte le madri del mondo, donne, perché – proprio come dice Sally Rooney – «io sono una di loro».