Per cambiare il lavoro ci vuole femminismo
Giordana Masotto
12 Ottobre 2018
Quello che so del lavoro deriva dai lavori che ho fatto. Ne ho fatti molti, molto diversi tra loro, per poco o molto tempo, guadagnando poco o tanto, in posizioni differenti. Dunque ho una ricca esperienza di lavoro. Nonostante ciò, quello che so del lavoro mi deriva soprattutto dal pensiero fatto con altre. L’esperienza ha potuto diventare pensiero perché è stata ragionata, ripercorsa insieme ad altre. Questo è avvenuto nel gruppo lavoro, negli incontri e nella scrittura fatta insieme, nell’esperienza allargata dell’Agorà, nelle pagine dell’inserto di Via Dogana, Pausa lavoro.
L’età e la mia esperienza mi fanno dire che non è facile tenere insieme lavoro e pensiero/agire politico. Io temo di esserci riuscita poco. Ma adesso mi pare che il panorama stia cambiando e ho fiducia che per le donne si stiano aprendo più possibilità. È questa l’emozione di fondo che spero trasmetta l’articolo che ho scritto per Sottosopra. Ho fiducia che questo cambio di panorama apra più possibilità per ogni donna di tenere insieme il desiderio di starci alla propria misura e un agire politico che consenta di modificare il contesto in cui si muove, non solo di trovare un precario e spesso anche doloroso equilibrio personale.
Pensare con altre è fondamentale e per questo sono molto felice che Luisa Pogliana e Michela Spera – con cui abbiamo recentemente avviato un progetto comune che vuole dare voce e connettere in maniera inedita esperienze di manager e sindacaliste – siano venute qui oggi per farlo insieme, portando il punto di vista delle realtà in cui si muovono.
Concludo questa premessa ribadendo che due cose sono importanti nel panorama di oggi: è importante fare della buona teoria, mettere lì pensiero, perché altrimenti non si sa che gambe dare a quello che ognuna vive. L’altra cosa è tenere relazioni forti, valorizzanti, che riescano a dare forza a quel pensiero.
Come valuto la situazione presente. Di recente ho letto una frase che mi ha colpito. “Nei prossimi 100 anni gli esseri umani cambieranno più di quanto siano cambiati nel corso di tutta la storia dell’umanità.” È la valutazione di un autorevole studioso di biotecnologie e intelligenza artificiale.
Ho pensato che anche la posizione delle donne sta cambiando, sta diventando una posizione come non c’è mai stata nella storia dell’umanità. Una bella sfida.
Ho voluto titolare l’articolo per Sottosopra “Il lavoro ha bisogno di femminismo”. Ho messo la parola femminismo per segnare come sta cambiando il panorama.
Infatti in “Immagina che il lavoro” avevamo detto: “il discorso della parità fa acqua da tutte le parti e il femminismo non ci basta più”. Adesso dico: la critica alla parità è una battaglia obsoleta. Nell’esperienza che le donne hanno del lavoro non è più la parità il punto di riferimento, anche se magari usano quella parola perché non ne trovano altre. La propria differenza, il bisogno di starci intere, ci parla invece di una consapevolezza diffusa da cui non si torna indietro, anche se fatica a trovare parole e gesti adeguati.
Penso anche che sia il momento di ritirare fuori la parola femminismo. C’è bisogno di femminismo per affrontare con strumenti adeguati il livello del conflitto che oggi emerge in maniera più nitida. Un femminismo come lo possiamo dire oggi, cioè che tenga conto di tutto quello che abbiamo già detto sul lavoro. Quando abbiamo detto che le donne vogliono stare nel lavoro alla loro misura, questa interezza che le donne portano al lavoro – dolorosa, faticosa, a volte forte, a volte soccombente – quel tipo di consapevolezza rimane il punto di partenza: che cosa vogliamo dal lavoro. Abbiamo detto cose limpide.
Per cambiare il lavoro ci vuole femminismo perché solo così possiamo leggere in maniera adeguata, e senza cedimenti vittimistici, i vecchi e nuovi segnali di sopraffazione e maschilismo che abbiamo imparato a vedere. Credevamo che bastasse starci nel mondo e portare la nostra interezza. Ma l’avvento della libertà delle donne mette in crisi il patriarcato. La misoginia, che si esprime in modi e livelli diversi, si colloca nel disordine della crisi del patriarcato. Ho parlato di “rantoli di patriarcato” per esprimere la forza trasformista di quello che rimane un campo di battaglia imprescindibile e che ci riporta alla radice del nesso sesso/potere.
Il secondo motivo per cui per cambiare il lavoro ci vuole femminismo è perché nelle trasformazioni micidiali che sta subendo il lavoro i diritti si appannano per tutti, ma questo non vuol dire fare un discorso neutro. Non entro nel merito, faccio un solo esempio: si parla di neet (Not in Education, Employment or Training) ma se guardiamo alle ragazze dobbiamo parlare di “doppio no” né lavoro né maternità. Oppure la tendenza donne single. La singolarità ha una connotazione forte perché le donne si sottraggono a una normatività di tipo patriarcale, ma ci sono dentro anche limiti che andrebbero indagati. In conclusione, quello che sta accadendo al lavoro oggi non è neutro e va continuamente sessuato. Dobbiamo continuare a mostrare come il soggetto complesso che sono le donne sta oggi nel mondo del lavoro mettendo in campo differenti strumenti di resistenza e di cambiamento, ben ancorate in quel nesso corpo/parola che è la nostra forza.
Introduzione alla Redazione allargata di Via Dogana 3 Il lavoro ha bisogno di femminismo, del 7 ottobre 2018