Pensare assieme
Chiara Zamboni
25 Giugno 2021
Quello che mi interessa è comprendere come siano le pratiche di pensare assieme quando siamo in presenza e quando siamo lontane e per video attraverso le piattaforme della rete. Sono pratiche diverse ed è importante capire come abitiamo e facciamo vivere le due pratiche e quale guadagno politico si possa avere sia dall’una sia dall’altra.
Vorrei riprendere l’intervento di Sara Bigardi del 6 giugno, introduttivo all’incontro, per due aspetti. Il primo riguarda il desiderio di Sara di aggirare il muro di procedure formali informatiche ad esempio per acquistare un oggetto per il dipartimento per cui lavora, andando a trovare di persona le donne e gli uomini coinvolti nel processo formale che lei avvia con la richiesta di acquisto. In questo modo riesce a conoscere il percorso della procedura passo passo, ma soprattutto le donne e gli uomini coinvolti nel processo, dove ognuno fa la propria parte. Non solo la pratica politica che lei propone per allacciare relazioni sul lavoro è interessante, ma è interessante anche come dalle sue parole si capisca come i processi formali amministrativi siano sminuzzati in parti separate, dove ognuno è responsabile della parte che deve compiere, ma non del processo in generale di passaggi, che non conosce. Gli manca la visione complessiva del processo.
Questo assomiglia molto alla logica che guida la governance, cioè il metodo di governo neoliberale della società, che richiede ad ognuno di essere compente nel proprio campo secondo una divisione di aree di responsabilità. Viene richiesto di sapersi autogovernare nello spazio del proprio lavoro, ma non viene resa visibile l’organizzazione dell’insieme. Anzi, viene offuscata la complessità in cui si inserisce il nostro singolo lavoro. In questo modo non solo non vengono dati gli strumenti per capirla – e infatti ci manca una visione d’insieme –, ma tantomeno, ovviamente, viene data la possibilità di contrattare politicamente il quadro generale nel quale noi siamo.
La scomposizione di passaggi formali nelle procedure burocratiche del lavoro è parte integrante di questa organizzazione della governance. È significativo che nell’amministrazione, là dove è possibile, chi lavora venga spostato ogni due o tre anni dall’ufficio in cui lavora ad un altro, affinché non si creino relazioni significative. Rapporti di fiducia. Esattamente il contrario della politica delle donne.
Il digitale fa parte di questa logica della governance, che disincentiva e ostacola la consuetudine di incontrarsi di persona. Giustamente dunque Sara Bigardi ha compiuto il gesto politico di allacciare relazioni in presenza con chi partecipa ai processi di cui lei stessa fa parte. Ma occorre tenere anche contemporaneamente presente la visione d’insieme. Saperla in ogni momento ricostruire, collegando i diversi aspetti.
Parto ora dalla mia esperienza per quanto riguarda il pensare assieme attraverso le piattaforme come zoom, meeting o altro. Aiuta ad incontrarsi nella impossibilità materiale di farlo. Permette di regolare molto gli interventi perché se una si sovrappone a un’altra, una delle due non si sente. Rende molto difficile aprire conflitti. E questo nel bene e nel male. Da questa difficoltà di stare nei conflitti in video ho capito qualcosa di più della presenza e del ragionare in uno spazio vicine. In presenza gli scontri di pensiero tra noi sono reggibili: il lato inconscio del corpo per sua natura relazionale mantiene legami, fa da ponte, fa sentire il contatto nella divergenza di idee. Infatti i fili che ci legano sensibilmente agli altri continuano la loro tessitura, anche quando tutto sembra separarci sul piano delle parole. Mentre è evidente che nel video le immagini non hanno sensualità e quel che vediamo – l’immagine dell’amica lontana – provocano un sottile senso di nostalgia e mancanza.
Per capire la differenza tra le due pratiche sintomatico è il silenzio. Nelle discussioni in presenza c’è la possibilità di stare in silenzio. Ho imparato molto lentamente la ricchezza di questi silenzi e a non riempire con parole qualsiasi un momento di vuoto, in cui ognuna lascia il pensiero sospeso perché si sente che solo così può affiorare altro. Qualcosa prende forma. Al contrario il silenzio è molto difficile in video. Di fronte ad un silenzio prolungato un’amica allarmata chiedeva: si è spento l’audio?
Vorrei arrivare al secondo punto che mi interessa della relazione di Sara Bigardi. Lei racconta di aver imparato molto da sua sorella Francesca, per la sua competenza informatica. Ha imparato vedendo come fa e anche facendosi spiegare e prendendo appunti passaggio per passaggio. Anch’io mi faccio insegnare per quanto riguarda i passaggi informatici da chi ne sa di più. Sono in ansia rispetto a procedure che non conosco. Ma è molto diverso se chi mi insegna è una donna o un uomo. Molti uomini sono volonterosi e gentili. Ma sento che se mi insegna una donna la mia dignità non è incrinata, anzi viene rafforzata. Con un uomo, mi sento sfasata, fuori posto, o mi mostro troppo bisognosa di aiuto o faccio finta di essere più capace di quanto non sia. Non a caso il femminismo ha ragionato proprio su questo: sul circolo di potenziamento reciproco nell’affidarsi a una donna.