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Lia Cigarini indica in tre citazioni i passaggi che sono a suo parere importanti nella storia della politica della differenza e io volevo riprendere le affermazioni del gruppo del Martedì della Camera del Lavoro di Brescia nel testo pubblicato nel Sottosopra intitolato “Filo di felicità” (1989).

La mia pratica politica il sindacato è riassumibile nelle parole citate: «Noi non abbiamo rivendicazioni o richieste da avanzare nei confronti del sindacato. Noi vogliamo essere il sindacato di donne e uomini, il sindacato che tiene presente la differenza sessuale a tutti i livelli».

Con altre donne, in conflitto con le scelte dell’organizzazione sindacale e diversamente dal femminismo rivendicativo, non ho accettato di ridurre la differenza sessuale a un semplice calcolo matematico, a un riequilibrio di presenza.

Non ho chiesto spazi nei quali farmi confinare in una condizione di debolezza né ho chiesto risarcimenti ma ho provato a muovermi con e in libertà.

Oggi, a differenza del dicembre del 1989, non trovo difficile analizzare come nasca la forza perché so che nasce dalla relazione con altre donne, dentro e fuori il sindacato, e ho guadagnato forza e sapere dal femminismo della differenza, ne ho esperienza, ne ho fatto tesoro.

Questa premessa però non risponde alle domande degli interventi di Lia Cigarini e di Vita Cosentino.

Io sono nel sindacato – la Cgil – da molti anni e, con maggior o minore efficacia a seconda dei momenti e dei periodi, ho ricoperto ruoli di responsabilità e di direzione per il mio sindacato, ho svolto e svolgo un lavoro di contrattazione con le controparti.

Ho lavorato e lavoro con molte donne con le quali realizzo ogni giorno buoni risultati per donne e uomini, risultati qualche volta riconosciuti e altre volte no.

Molte di loro non si dichiarano femministe, forse lo sono o forse no, ma io vedo che nelle loro scelte e «nella realtà sociale che pensano e organizzano» emerge autonomia, autorità e libertà femminile. Non è un’esperienza solo mia perché sempre più spesso le abbiamo incontrate sulla scena pubblica; le donne sono ovunque e ad ogni livello e con la pandemia ce ne siamo davvero rese conto.

Sono convinta che hanno preso consapevolezza e forza dal femminismo, che non hanno l’ideale di diventare uguali agli uomini e che mettono in gioco, più o meno consapevolmente, la differenza femminile.

Vedo e so che hanno molta competenza e sapienza del mondo e hanno strategie e pratiche per non soccombere nel rapporto con gli uomini, per «tenere insieme vita e politica, corpo e mente».

Si districano nei rapporti e fanno i conti con i sentimenti, l’amore e la solidarietà ma anche con quelli che provocano sofferenza come la rivalità, l’invidia, l’isolamento.

La fatica, che riconosco, è sostenuta dalle relazioni che rendono praticabile questa scommessa ed è ripagata dai risultati concreti, ma soprattutto è la fatica necessaria per rispondere al loro desiderio di fare quello fanno.

Forse è necessario discuterne: queste esperienze le conosciamo? le vediamo? ci sono utili?

A me sembra di sì, sembra di aver guadagnato competenze e capacità ma soprattutto di aver guadagnato, in relazione con queste donne, libertà nel mondo con le mie compagne e con le donne che sono dall’altra parte del tavolo di trattativa. Non solo, sono convinta che molte volte, tante, abbiamo pure fatto le cose per bene per tutti, certo dentro un quadro realistico di quello che, secondo noi, era possibile fare.

Vita Cosentino nel suo intervento offre questa opportunità e ci dice che dalla pratica politica del movimento di autoriforma abbiamo un guadagno per tutte e per tutti perché si può agire in qualunque luogo ci si trovi «il massimo di autorità con il minimo di potere».

La discussione sul potere e i danni che provoca riguarda tutti gli ambiti della vita, pubblica e privata, non solo la politica o il sindacato. Il meccanismo del potere, delle burocrazie che soffocano e sovrastano gli scopi, si ripete in ogni struttura organizzativa, nelle scuole, negli ospedali, nelle aziende; sono convinta che le burocrazie hanno limiti e colpe in ogni ambito, ma ci sono e si riproducono con una forza che ad ogni giro aumenta. Serve discuterne perché la politica, per avere senso, non può esaurirsi in lotta per il potere e per la distribuzione delle cariche, ma deve migliorare la condizione delle donne e degli uomini. Deve trovare le migliori soluzioni possibili, portare a casa risultati, non deludere; deve svolgere un faticoso lavoro di mediazione che non consente scorciatoie e richiede capacità di relazione e tanta concretezza. Sono cose che sappiamo fare bene se conosciamo il luogo del nostro agire ma nonostante questo sapere possiamo trovarci, e spesso ci troviamo, nei pasticci.

Come stare quindi con le nostre pratiche nella realtà di quello che accade intorno a noi, in qualunque luogo ci si trovi ad agire? La mia risposta alle domande poste da Lia Cigarini e da Vita Cosentino è che per rendere evidente e far emergere con forza che la politica delle donne è politica ci serve pensiero e pratica politica.