Nessuno si basta da solo
Daniela Santoro
6 Luglio 2022
Mediazione e vulnerabilità: messe così potrebbero sembrare due parole lanciate a caso nel vuoto, eppure durante la riunione del 12 giugno hanno echeggiato a lungo nelle mura della Libreria. Mediazione. Quattro sillabe, piana, sostantivo deverbale di “mediare”. Si potrebbe continuare nella sua analisi morfolessicale e sarebbe più semplice, infatti come possiamo parlare di mediazione nel secolo della solitudine?
Questa è una domanda che in primis pongo a me stessa e che poi voglio allargare ai miei coetanei, tra generazione zeta e millennials. In una società che ci ha sempre di più educato all’individualismo, riusciamo davvero a parlare di mediazione? Ho molte remore a rispondere affermativamente a questa domanda: con chi si può mediare in una cella di isolamento? Non c’è mediazione dove non ci sono le relazioni. E queste, in una sorta di divide et impera del ventesimo secolo, sono osteggiate sotto tutti i fronti. Il neoliberismo ci vuole soli e isolati, educati alla solitudine, disimparando il gruppo. Senza dimenticare il catalizzatore di questa reazione: i social network. Quanto si crea nell’ecosistema virtuale non è altro che una cassa di risonanza, di opinioni sempre uguali, discorsi sempre uguali, facce sempre uguali. Tutti belli, imperturbabili, perfetti, forti, senza macchia e senza paura. Alle relazioni si sostituiscono le connessioni momentanee, il dialogo si trasforma in un misero commento e siamo sempre più soli.
Riflettendo su questo nuovo paradigma sociale, ho trovato una risposta alla domanda che qualche mese fa mi era stata posta da Vita Cosentino e Laura Giordano in relazione al progetto Le Compromesse: «È possibile creare un gruppo come il vostro o è stato puramente un caso fortunato?». Sì, stato un caso fortunato ma mosso dalla necessità di trovare una risposta a questo vuoto. Da Facebook siamo riuscite ad andare oltre le singole infinitesimali interazioni e siamo riuscite a creare un gruppo, a creare delle relazioni forti, ad aprire un canale di dialogo intenso e continuo. Ma come? Ci siamo spogliate della fittizia perfezione del virtuale e ci siamo tese la mano a vicenda, ne avevamo bisogno: l’istinto primordiale del fare gruppo in un momento difficile come la pandemia ha prevalso, abbiamo messo davanti le nostre vulnerabilità e le nostre mancanze. Così, ciascuna con le proprie difficoltà è stata utile alle altre, e viceversa, in uno scambio continuo seppur virtuale. Siamo riuscite a ribaltare l’individualismo tipico dei social e a creare un gruppo di mediazione che ci ha permesso (e tutt’ora ci permette) di crescere. Abbiamo scoperto le nostre carte e riflettuto sulle nostre divergenze e differenze. Come in un grande puzzle ci siamo completate nell’autocoscienza e nel dialogo, senza paura di mostrare ogni lato di noi. Quando penso alla parola “mediazione” penso proprio a tutto questo, alla riscoperta delle relazioni e delle proprie vulnerabilità, senza le quali questa non vi sarebbe. Dunque tutte queste parole in libertà vorrei che fossero per le mie coetanee una spinta, una spinta verso la ricerca del gruppo, lasciandosi alle spalle la solitudine forzata. Le Compromesse sono state per me una luce verso l’ignoto, in un periodo di forte incertezza. Ho trovato delle mani tese, pronte ad accogliermi, e io stessa ho teso la mano: per la prima volta mi sono sentita parte di qualcosa. Qualcosa che è nato come semplice gruppo di scambio e poi, proprio grazie alla sua conformazione “collettiva”, è diventato politica contro la società e il patriarcato che vogliono le donne isolate e nemiche. Da qui è nata la community di Instagram e del Blog, che cresce sempre di più, dove cerchiamo di fare spazio ad altre donne che vogliono lasciarsi alle spalle la solitudine neoliberista ricevendo delle mani tese ad ascoltarle, accoglierle, a non farle sentire più sole. Le Compromesse sono per me una risposta all’isolamento, sono un modo per gridare, finalmente, «Non sei sola».