Nel web non abbiamo storia
Betti Briano
31 Ottobre 2016
Quando alcuni anni fa mi sono adoperata perché Eredibibliotecadonne facesse ingresso nel web, inesperta com’ero del mezzo, pensavo che il blog più che un diario potesse rappresentare una specie di vetrina atta a mostrare certamente pratiche e pensieri attuali ma a rendere anche visibile il background della comunità, il bagaglio di esperienze, di competenze e relazioni, il ‘patrimonio’ comune; non nascondo neppure che il desiderio mio e delle altre contenesse anche l’intento pedagogico di trasmettere la storia e il senso del nostro agire politico. Ho però dovuto poco dopo ammettere che l’attenzione di visitatrici e visitatori si concentrava prevalentemente sulle ultime pubblicazioni e neppure qualora vi fosse un esplicito riferimento o il lettore venisse indirizzato a post precedenti con appositi link, si verificava un accesso significativo a questi ultimi; dai commenti raccolti di qualcuno/a dei pochi che si erano applicati ad un lettura completa del blog, ho ricavato l’impressione che il contenuto dei post venisse di norma percepito come contemporaneo a prescindere dalla data di pubblicazione e dai riferimenti a precedenti richiamati per documentare i passaggi più significativi della storia della comunità.
Anche nei social media il meccanismo di schiacciamento del tempo al presente agisce con inesorabilità e semmai con maggiore celerità: accogliamo l’ultima notizia, ci piaccia o meno il contenuto, come attuale, interessante e vera semplicemente perché nuova, per rimuoverla appena compare la news successiva che diviene a sua volta quella attuale, interessante e vera per definizione; anche qualora compare un post che ripropone un contenuto non nuovo, perché già pubblicato o perché evoca un accadimento passato, il messaggio viene ugualmente percepito come attuale, suscita emozioni e genera gli schieramenti pro o contro come fosse appena successo.
Pur non essendomi sottratta alla meraviglia di fronte alla potenza di un mezzo che ti tiene costantemente connessa in una rete che avvolge la terra e ti può mettere al centro di un flusso di comunicazione che arriva ovunque, non ho potuto evitare la delusione nello scoprire che il web essendo governato da regole che obbediscono a una logica degli opposti (vero/non vero, nuovo/non nuovo, piace/non piace, ecc.) è un ambiente adatto a suscitare reazioni, alternarsi di emozioni e sentimenti ma inadatto a significare il perché, il come e il dove quegli stati d’animo prendono origine, eccezionalmente efficace nella divulgazione dei fatti ma inefficace nel rappresentare lo sviluppo delle vicende e dei pensieri dai quali sono originati; per quanto si abbia cura di rendere intellegibile negli interventi lo spessore storico di un accadimento attraverso la concatenazione di eventi che l’hanno reso possibile, l’attenzione di chi legge si concentrerà sui singoli eventi piuttosto che sulla concatenazione, dimodoché il racconto verrà percepito come una sequenza di fatti piuttosto che una storia.
La rete, pur straordinariamente favorevole alla diffusione di messaggi, qualora venga utilizzata come spazio pubblico per riflessioni e approfondimenti e comunque per ragionamenti che vadano al di là del qui ed ora, rivela invece il suo limite strutturale: non è in grado di mostrare ciò che avviene vivendo. Possiamo anche impegnarci a interagire col pubblico attraverso forum e gruppi di discussione, ma non per questo riusciremo a riprodurre l’autenticità e la consistenza che si ricava dalle riflessioni scambiate in presenza; possiamo pensare di ricorrere al mezzo più frequentato da ragazzi e ragazze per mettere a disposizione delle nuove generazioni elaborazioni, pensieri e testimonianze, ma i nostri tentativi andranno incontro a frustrazione di fronte all’evidenza che il web non può sostituire l’insegnamento, il racconto e la trasmissione della memoria dal vivo e neppure l’apprendimento fecondo che si ottiene faticando sui libri. L’ambiente si presenta perciò impermeabile a quanto dell’esperienza femminile avviene nella concretezza del legame con i corpi e non si rivela idoneo a rappresentare quegli aspetti che costituiscono i punti di forza della politica delle donne: la centralità delle relazioni, il costruire pensiero come fare storia in presenza, il passare memoria dal vivo attraverso il racconto a partire da sé.
Non mi convince almeno per il momento la visione di una rete trasformata attraverso pratiche politiche mirate a cambiarne le regole di funzionamento e magari a introdurre algoritmi ‘sensibili’ alla differenza sessuale e non ostili alle donne. Se anche avvenisse una rivoluzione dell’informatica tale da rendere possibile rappresentare quel territorio di mezzo che sta nei passaggi da uno stato all’altro (dal vero al falso, dal nuovo al vecchio, ecc.), internet rimarrebbe comunque uno scenario altro rispetto a quello dove si sviluppano le vicende umane con i loro chiaroscuri e ambiguità e dove la storia nasce dall’esperienza e incarnandosi nella vita orienta le generazioni al futuro. Penso sia invece nell’ordine delle cose possibili che le donne si facciano promotrici di un dibattito finalizzato a individuare e definire misure e comportamenti nel rapporto con la rete tali che, in considerazione delle opportunità e dei limiti del mezzo, consentano di ricavare da essa il massimo guadagno evitando i rischi di depotenziamento e banalizzazione cui vanno facilmente incontro le proposte politiche entrando nel mondo virtuale.
Alla luce dell’esperienza di Eredibibliotecadonne mi sento di concludere che la rete, data la sua potenza nel diffondere annunci e informazioni come nel sollecitare interesse ed emozioni, può favorire l’azione politica nella dimensione attuale e contingente, a patto che gli interventi risultino legati a pratiche in essere e compaiano il più possibile in tempo reale; per quanto riguarda invece i progetti a lungo termine o le pratiche destinate a produrre effetti nel tempo, il mezzo non appare adeguato, non dico a rimpiazzare, ma anche solo a supportare il paziente lavoro di costruzione di relazioni e di sedimentazione di esperienze che svolgiamo nei luoghi dove viviamo e ci incontriamo e neppure la trasmissione di sapere e di memoria, che sarà bene continuare ad affidare alla carta degli archivi e delle biblioteche