Mettersi in gioco e cambiare le cose
Michela Spera
12 Ottobre 2018
Parto dalla considerazione di Giordana Masotto, quella che apre e chiude il suo articolo: «Il lavoro oggi, con tutte le sue micidiali trasformazioni, ha bisogno di più femminismo». Anch’io non ho scelto di identificarmi nelle discriminazioni e nelle minacce delle violenze. Questo non significa che non ho subito discriminazioni o non ho affrontato, quando l’ho incontrato, il tema delle molestie. Quando mi sono trovata in queste situazioni mi sono messa in una posizione diversa: non mi sono messa in difesa, non ho scelto la denuncia; per cambiare le cose sono andata all’attacco. Le discriminazioni non mi hanno fermato, alle molestie ho fatto intorno terra bruciata.
Mi ritrovo nelle parole di Giordana Masotto: ho voluto e voglio di più. Lavoro e sono in relazione con molte donne che vogliono di più.
Donne che per realizzare questo di più si mettono in gioco e cambiano le cose; per le quali il lavoro è necessità e autonomia economica ma anche affermazione di sé; il luogo e il mezzo che hanno scelto per realizzare l’espressione di se stesse.
«Farsi spazio nel lavoro vuol dire imparare a fare più mestieri, a fare più lavori», dice Stefania Filetti, segretaria della Fiom di Varese parlando della sua esperienza di operaia alla catena di montaggio dell’Alfa Romeo di Arese.
E Anna Poggio, segretaria della Fiom di Alessandria, parla cosìdel suo lavoro di sindacalista: «È sicuramente faticoso, questo sì perché prende tante ore della giornata, però è un modo di vivere alla fine, quando lo fai per tanti anni così. È la tua vita, fa parte della tua vita».
Quando le donne aprono la porta degli uffici e delle officine per entrarci, mettono in discussione il posto che si vuole loro assegnare.
Credo possa accadere in molti modi, io conosco meglio come accade quando le donne incontrano il sindacato, quando le donne fanno sindacato, quando le donne sono il sindacato.
Giordana Masotto la chiama “espressione creativa di sé”, io ho in testa i racconti e le vicende di tante lavoratrici, delegate e funzionarie sindacali che, proprio perché al lavoro ci vanno intere, hanno fatto sistematicamente saltare gli argini entro cui le si voleva incanalare e contenere.
Questo è accaduto con tanti incidenti di percorso, scivoloni, cadute, arresti, ripartenze, spesso anche con la scoperta che un passaggio era impraticabile e che si doveva tornare indietro e ricominciare da capo, prendere un’altra strada.
Si procede per tentativi, “una grande fatica”.
Per la nostra libertà.
Dobbiamo allargare, arricchire il nostro bagaglio, fare esperienza di questa fatica per poterla ridurre, per avere più possibilità di successo.
Dobbiamo riconoscere il conflitto e conoscere il campo di battaglia, dotarci di qualche strategia, adottare la tattica migliore.
Difficile per me dire della violenza e delle molestie. So che ci sono; credo siano in aumento ma non sono oggi, nel mondo del lavoro che conosco, un terreno di iniziativa che va oltre la denuncia generale del fenomeno.
Non c’è in campo esperienza personale e gesto pubblico come MeToo.
Nulla di paragonabile a quanto sta accadendo in altri ambiti del mondo del lavoro (difficile per me anche pensare a questi mondi come altri ambiti del mondo del lavoro).
Quello che sta accedendo apre però la possibilità di allargare questa discussione al mondo del lavoro che conosco e di svelare i ricatti sessuali, le molestie e la diffusa sopraffazione che frena il riconoscimento al di più che portano le donne.
Il nesso sesso/potere e il cambiamento che riguarda la natura stessa del potere per me interessa il mondo del lavoro che conosco in altri termini.
C’è la violenza e la bestialità di un lavoro ridotto in schiavitù rappresentato da una parte dalla violenza di padroni e caporali delle campagne di tutta Italia e dall’altra dalle braccianti straniere che subiscono violenza.
L’esperienza della Cgil di Ragusa e del sindacato dei braccianti in altri territori mette insieme la denuncia delle violenze con quelle degli altri soprusi, della negazione dei diritti elementari che queste lavoratrici subiscono ogni giorno.
In altri luoghi di lavoro e nel sindacato vedo una presenza meno ostentata di questo “costume” del potere maschile e dellasopraffazione sessuale che il potere maschile esercita.
Forse perché socialmente meno accettato, forse perché più contrastato politicamente.
Mi sembra, quando è presente, più uno scambio reciprocamente condiviso; liberamente cercato più che preteso o imposto.
È forse un terreno meno esposto? È un potere limitato che, nel suo campo di azione e nel tempo, ha margini e disponibilità economiche esigue; può offrire progressioni di carriera poco remunerate e poco riconosciute come status.
Proprio perché il sindacato esprime una soggettività, quella del lavoro, e la organizza, perché il sindacato interviene nei rapporti sociali tra uomini e donne nel mondo del lavoro, credo sia più difficile esercitare questo ricatto e più “socialmente sostenuto”l’atto di ribellarsi.
Il rapporto di lavoro nella mia esperienza è un rapporto normato, contrattato, tutelato.
Introduzione alla Redazione allargata di Via Dogana 3 Il lavoro ha bisogno di femminismo, del 7 ottobre 2018