Mettere (e lasciare) al centro il “cliente” prostitutore
Massimo Lizzi
24 Ottobre 2019
Sono nato e cresciuto in una famiglia comunista con spirito militante. Da piccolo ascoltavo i racconti che facevano l’orgoglio della sinistra: la Resistenza partigiana; l’occupazione delle terre al sud; la lotta operaia alla Fiat e nelle grandi fabbriche del nord; gli scontri con la celere; i fatti di Genova nel 1960. Tra questi racconti c’era la battaglia per la chiusura delle case di tolleranza. La legge Merlin era (ed è tuttora) una delle bandiere gloriose della sinistra italiana.
Nel mio ambiente familiare, la prostituzione era considerata non tanto una questione morale relativa ai costumi, quanto una questione sociale relativa ai rapporti tra le classi e tra i sessi. La prostituzione era un’espressione dell’ingiustizia sociale, ormai risolta dalla lotta vincente di Lina Merlin. Quel che ne rimaneva era considerato residuale, destinato al superamento nel progresso come il resto della cosiddetta questione femminile.
Così la consideravo anch’io, fino alla fine degli anni ’80, quando la prostituzione è tornata visibile con le donne immigrate e prostituite. Qualche giornale iniziava a pubblicare fatti di cronaca e inchieste sul ritorno della tratta delle bianche, storie di sequestri, inganni e violenza, che riguardavano le ragazze dell’Est costrette alla servitù sessuale, poi in seguito anche ragazze africane. Storie che era molto penoso e inquietante leggere.
Dopo l’impatto delle nuove prostitute straniere, i media hanno continuato a trattare il tema in modo saltuario e marginale, fino a quando è arrivata la rete, con i suoi luoghi virtuali di discussione e i social media. In questo nuovo ambiente di comunicazione e interazione, molte donne e femministe hanno cominciato a parlare della prostituzione come di una istituzione patriarcale; un tema in conflitto con i maschi, identificati spesso a ragione con i “clienti”; o in conflitto tra donne nella opposizione tra regolamentariste e abolizioniste.
In principio, ho creduto che la posizione femminista fosse quella favorevole ai diritti delle prostitute. Era uscito, in Belgio nel 2005, un manifesto europeo per i diritti delle sex worker, mentre già conoscevo il movimento delle lucciole, il comitato per i diritti civili delle prostitute di Pordenone, diretto da Pia Covre. Mi sembrava giusto e sensato voler tutelare sindacalmente le prostitute. L’ho pensata così, finché non ho conosciuto la legge svedese, che ha scelto di tutelare la prostituta e sanzionare il “cliente”, per colpire la domanda maschile, individuata come principale responsabile della tratta e del mercato del sesso. Una scelta che mi è sembrata ancora più sensata, persino illuminante, per lo spostamento della criminalizzazione dalle prostitute ai “clienti”.
A sostegno di questa impostazione, ho curato un blog insieme con una mia amica femminista, per pubblicare testimonianze di ex prostitute sopravvissute, per mostrare che la voce delle dirette interessate non era solo quella delle volontarie che sostenevano la cosiddetta “libera scelta”. Gli articoli ottenevano molte visite e condivisioni, ma dopo un po’ di tempo ho voluto interrompere questo lavoro, perché attraverso le chiavi di ricerca indicate nel pannello di controllo delle statistiche, mi sono reso conto che molti visitatori erano persone alla ricerca di siti pornografici. Dunque, mi venne il dubbio che le testimonianze, invece di sensibilizzare il pubblico maschile, avessero soprattutto l’effetto di eccitarlo.
Peraltro, la diffusa facilità di accesso alla pornografia e la qualità dei contenuti pornografici fanno sì che molti ragazzi e uomini siano presto educati a una sessualità prostitutiva. Molto materiale pornografico è prodotto con il reclutamento di donne prostituite o, per questa via, avviate alla prostituzione. Le due questioni, prostituzione e pornografia, andrebbero sempre più trattate insieme.
Attraverso l’immaginario sessuale pornografico si può vedere come sia velleitario il cavallo di battaglia regolamentarista, che vuole riconoscere e legalizzare un presunto lavoro, per togliere lo stigma alla prostituta. Naturalmente, da parte nostra è giusto rispettare le prostitute. Ma se fosse possibile eliminare lo stigma, dettato in primo luogo dal disprezzo provato dai “clienti”, sarebbe risolta la prostituzione, perché i “clienti” non sarebbero più interessati a frequentare prostitute, divenute donne dignitose e rispettabili al pari delle loro mogli e fidanzate.
Trovo più realistico, secondo la visione abolizionista, che lo stigma collettivo espresso dal pubblico, dalla società, dalle istituzioni, sia spostato dalla donna prostituita al “cliente” prostitutore. A questo fine, come il femminismo ha già iniziato a fare, è importante che tutto il linguaggio che definisce il mercato del sesso e i suoi attori sia riformulato, per mostrare il “cliente” prostitutore, gli uomini che vogliono comprare le donne, come causa propulsiva e decisiva della prostituzione.
Una volta messo al centro il “cliente” prostitutore, non vorrei però relativizzarlo un attimo dopo, con la retrocessione a “ingranaggio” o addirittura a “vittima” (anche lui come lei) di un’entità disincarnata più grande di lui (il denaro, il mercato, il capitalismo, il sistema). La prostituzione, la sua organizzazione, il suo farsi industria, mercato, ordinamento giuridico, esiste per lui, l’ha creata lui. Se pochi “clienti” prostitutori diventano imprenditori dello sfruttamento economico, tutti i “clienti” prostitutori sono e restano i principali attori dello sfruttamento sessuale.
Riconosco, anche per le ragioni dette in apertura, un’aurea di sacralità alla legge Merlin. Meglio non toccarla, fosse pure per migliorarla, perché una volta tentato di migliorarla, sarebbe più esposta a ogni peggioramento. Credo non abbia neppure bisogno di essere migliorata. La legge Merlin è a tutti gli effetti una legge abolizionista: non tocca la prostituta e indica tutti i reati dei soggetti che si muovono intorno a lei. Se assumiamo la svolta simbolica del femminismo e del modello nordico, e impariamo a riconoscere nel “cliente” il prostitutore e quindi uno sfruttatore, un favoreggiatore, un induttore, si può prevedere e sperare che il cliente sia destinato a cadere nel raggio dei reati già sanzionati dalla legge Merlin.