MeToo, Quella volta che…, WeToo, Pay meToo: pratiche di autocoscienza contemporanea
Silvia Motta
20 Aprile 2018
Definirei il movimento di presa di parola contro le molestie e la violenza sulle donne – dilagato in tutto il mondo in questi ultimi tempi – un’invenzione politica (delle donne) ‘contemporanea’, una sorta di ri-edizione dell’autocoscienza adattata ai giorni nostri.
Dico questo perché ho l’impressione che la presa di parola di alcune abbia scatenato la presa di coscienza di molte. Lo dico anche a partire da me che, a seguito di quel che leggevo e sentivo (dalle attrici americane, da Asia Argento, da donne meno note), ho rielaborato il mio personale MeToo. Mi è accaduto infatti di ripercorrere la mia storia e di veder riemergere inaspettatamente, da qualche profondità, episodi trascurati o sottovalutati. Molestie lievi, si potrebbe dire, ma in passato subito archiviate come ’normalità del comportamento maschile’ e per questo buttate dietro le spalle soffocando il senso di fastidio e l’umiliazione. E lì, dietro le spalle, erano rimaste. Il MeToo me le ha fatti rivivere, con lo sconcerto di allora, con l’emozione negativa di allora, con l’inaccettabilità e la ribellione che adesso è esplosa.
Per questo sono grata a chi ha svelato non solo i grandi soprusi, come la violenza sessuale che approfitta di una evidente disparità di potere, ma anche quelle molestie che – con il linguaggio, con i gesti, con le allusioni, con i furti di competenza e di intelligenza, con la sleale competizione – accompagnano come punture di vespa la vita di ogni donna. Sintomi, anche questi, di una volontà maschile – per qualche uomo, forse, un’abitudine non portata alla coscienza – di assoggettare le donne.
Nella riunione di Via Dogana del 18 Marzo Maria Nadotti, pur riconoscendo la portata rivoluzionaria del MeToo (“non lo ferma più nessuno”) è molto critica verso le prese di posizioni collettive avvenute in Italia da parte delle giornaliste e delle attrici con i manifesti “Dissenso comune” e “Noi ci siamo”. Dice Maria Nadotti: “È curioso che i documenti nascano attraverso le categorie professionali. Non è politicamente rilevante dire ‘anche noi ci siamo’ senza dire ‘dove e in che modo ci siamo’, Chi sono queste giornaliste? Cosa hanno fatto finora?”.
Il mio approccio invece è stato di apprezzamento. Non si tratta di documenti che “nascono attraverso categorie professionali”, ma di prese di posizioni che partono da ambiti lavorativi, come peraltro è stato anche per le protagoniste del MeToo americano.
Possono esserci venature corporative? Può darsi, soprattutto se la protesta sfocia in rivendicazioni paritarie e nulla più. Ma è possibile vederci anche dell’altro… dei primi passi, come è avvenuto per me/per molte di noi tanti anni fa. Senza trascurare il fatto che confrontarsi e accordarsi tra donne nel/sul lavoro è oggi piuttosto raro e anche particolarmente difficile. Di questo, finora, si è parlato poco.