Meglio tardi che mai
Alessandra Pigliaru
6 Aprile 2019
di Alessandra Pigliaru
Presentata ieri nella sede della Fnsi, la prima «Indagine sulle
molestie sessuali nel mondo dei media» con dati che fanno riflettere sullo
stato di salute delle relazioni tra i sessi nell’ambito del giornalismo
italiano. L’esito dei questionari (i completati e restituiti in forma anonima
sono stati 1132 su un totale di 2775) è preoccupante e grave: l’85% delle
giornaliste – che lavorano in tv, radio, agenzie, quotidiani e online –
dichiara di aver subito, nel corso della vita, molestie sessuali; negli ultimi
5 anni quasi il 70%. L’intenzione dello studio, pensato dalla Commissione Pari
Opportunità della Federazione nazionale della stampa (in collaborazione con
Casagit, Inpgi, Usigrai e i patrocini di Agicom e Odg con la sapiente
consulenza di Linda Laura Sabbadini) era quella di rilevare quanto accade nel
mondo del giornalismo italiano femminile e in che misura le molestie, fisiche,
verbali o eventuali violenze siano presenti o si siano verificate.
Inviti, richieste e pressioni coprono il 51,9% delle molestie ricevute durante
il corso della vita, l’80,7% sono invece ascrivibili a battute e sguardi,
mentre intorno al 35% risultano i ricatti sessuali con la specifica di chi, tra
le giornaliste, si trovava allora in una condizione di precariato. Altro dato
serio è che, nella maggior parte dei casi, le molestie sono state subite
all’interno della redazione alla presenza di altri colleghi – perlopiù di pari
livello – e da parte di diretti superiori, di età tra i 50 e i 60 anni.
Nell’80% dei casi, chi ha assistito non è intervenuto. Quasi il 100% dei casi
non sono stati denunciati per varie ragioni, perché l’episodio era isolato
oppure per «l’inutilità» di rivolgersi alle vie legali. A leggere le 44 pagine
dettagliate, emerge un clima almeno connivente in cui vengono sdoganate
pratiche di prevaricazione ai danni delle donne. Una «questione maschile»
piuttosto ingombrante da discutere e prendere in considerazione al più presto,
ci si augura.
(il manifesto, 6 aprile 2019)