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Per ragioni di storia personale sono molto coinvolta nel conflitto israelo-palestinese, che ho sempre seguito negli anni – anzi nei decenni! – talvolta dimenticandone un po’ perché col tempo s’instaura una sorta di “normalità” che copre stati d’animo più profondi.

Ma di fronte al tragico attacco e la carneficina ad opera di Hamas del 7 ottobre e i successivi spaventosi bombardamenti di Gaza da parte dell’esercito israeliano con l’uccisione sistematica di donne e bambini, sono stata colta da un sentimento di disperazione, d’impotenza, sentendomi in qualche modo responsabile in quanto ebrea. Uscivano appelli che non mi sentivo di firmare: troppo neutri, troppo anonimi. Le istituzioni ebraiche difendevano penosamente e in modo univoco l’operato del governo israeliano e ciò mi offendeva, già altre volte in Italia e nel mondo era stato detto “non in nostro nome”.

Nell’approssimarsi del giorno della memoria con alcune amiche ebree abbiamo sentito il bisogno di vederci in presenza per parlare, per condividere pensieri e alleggerire l’angoscia insostenibile delle associazioni mentali tra quello che stava succedendo e quel giorno della memoria. Eravamo in 8 circa, non tutte ci conoscevamo bene e pure si è creato un momento quasi magico di parole e ascolto non esente da conflitti. Volevamo parlare senza pudori, senza reticenze, dire anche cose che qualcuna poteva non condividere, cercavamo di tirar fuori la nostra verità. Ne è scaturita una pratica di autocoscienza emozionante, una partecipazione intensa. “Prendiamo appunti” abbiamo detto. Così è nato l’appello Mai indifferenti con l’urgenza di diffonderlo.  Eravamo troppo poche perché la proposta ai giornali potesse avere una certa efficacia e così ciascuna di noi ha diffuso l’appello ai propri contatti, alle proprie relazioni par raccogliere delle firme. In pochissimi giorni abbiamo ricevuto 54 adesioni di donne e uomini oltre a un gran numero di messaggi dalle persone più diverse: rapper, religiosi, intellettuali, associazioni ecumeniche, persone che ci ringraziavano per le nostre parole. I giornali più importanti lo hanno pubblicato immediatamente: Il Corriere della sera cartaceo e online, Il Fatto quotidiano, l’Avvenire, Il sole 24 ore e molte testate online che non sto a dire. In breve tempo hanno aderito oltre 500 persone, ebrei e non.

Non ci aspettavamo una risposta e una partecipazione così sentita, né l’emozione che alcune lettere hanno espresso nel ringraziarci. È stato il frutto della politica delle donne, una pratica dell’autocoscienza che è scaturita tra noi naturalmente come unica via per poter entrare nel vivo dei problemi politici che stiamo vivendo.

Di fronte a questa calorosa risposta abbiamo sentito la responsabilità di organizzare un incontro pubblico e di raccontare le ragioni che ci avevano spinto a fare l’appello. L’incontro ha avuto luogo alla Casa della cultura Il 14 aprile scorso col titolo Parole e oltre. Jardena Tedeschi Eva Schwarzwald e la sottoscritta hanno aperto il dibattito esplicitando che tutto era nato dal desiderio di un gruppo di donne e ricevendone il riconoscimento. Sono poi autorevolmente intervenuti uomini e donne.