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Da Il passaggio in altro, in Bianca R. Gelli (a cura di), Voci di donne. Discorsi sul genere, P. Manni, Lecce 2002, pp. 41-46, brano finale, pp. 45-46

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Partire dall’esperienza femminile può essere un modo per capire donne e uomini. Proprio perché le donne hanno più presente l’altro, mentre gli uomini prima si chiudono nella loro compiutezza e poi si relazionano con l’altro. Per le donne l’altro è già acquisito. Quando dico l’altro, non voglio dire solo l’altro sesso, ma l’altro che è anche in me. Può essere il mondo, Dio, ecc. Ma come è possibile, partendo solo dalla mia esperienza di donna, capire qualcosa che riguarda donne e uomini?

Nell’universale Aristotele ha ideato un qualcosa che si guadagna per astrazione, astraendo da tutto quello che è concreto ed empirico. L’uomo ad esempio diventa un animale che ragiona, con tutte le caratteristiche della vita animale e del ragionare: questo è l’universale astratto. Un altro universale, molto più vicino a noi, è l’universale come mediazione, l’atto di abbracciare il tutto trovando le mediazioni. La dialettica di Hegel sta proprio nel trovare universali attraverso mediazioni. La formula è stata coniata da Luce Irigaray. L’universale del “taglio“, invece, lo possiamo chiamare l’universale del passaggio in altro, che si guadagna con la pratica della relazione e che rivela che l’essere consiste nel passaggio ad altro. Nell’innamoramento si fa l’esperienza dell’essere che passa in altro, questa formula del passaggio in è il tipo di movimento del pensiero che ci permette di fare dell’esperienza femminile un’esperienza umana perché l’altro in quanto altro era già presente. Questa mia idea, non ancora approfondita, ha delle applicazioni per esempio nella critica della psicopedagogia, e in tutto quello che è puericultura pedagogica, discipline o ambiti organizzati secondo una concezione scientifica astratta. Ogni venti o trenta anni si affacciano nuove teorie, perché sono scienze che tentano di codificare in un universale astratto situazioni che sono tra le più vicine al cuore dell’essere che è quello della generazione, della messa al mondo di una nuova vita. E tentano d’imbrigliarle così. Questo sapere del passaggio in altro di preferenza è stato praticato da donne. Comunemente le donne hanno praticato questa forma di conoscenza e di esperienza che però non ha mai trovato uno schermo che lo intercettasse e ne facesse un sapere riconoscibile. In questo momento si può tentare, forse perché la differenza femminile comincia a impressionare la società intera. Sarebbe un guaio che questo di più femminile, inteso come originalità del pensiero femminile, fosse apprezzato unicamente dal mercato del lavoro, dall’economia, dal capitalismo. Bisogna farne intelligenza libera, perché altrimenti resta lo spreco dell’invisibilità di questo sapere, col rischio di mascolinizzarci per trovare riconoscimenti dalla società. Proprio perché siamo donne che vogliono fare delle nostre vite qualcosa che conta. Proprio per questo il rischio è quello di adottare forme simboliche del maschile, un modo cioè di tipo fallico. Una ricerca delle forme originali del sapere femminile può aiutarci a salvare la nostra originalità.