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da il manifesto

Fra le figure più rare degli ultimi due secoli per acutezza e libertà praticata, Lou Salomé non si è mai riconosciuta in ruoli prestabiliti, in particolare per una donna, né si è votata a un solo sapere, al punto da muoversi con rigore fra filosofia, letteratura e psicoanalisi senza alcuna titubanza e riverenza di consorteria, tantomeno si è immolata a una causa, neppure a quella della condizione femminile, anche se ha avuto in sorte di essere considerata un’icona femminista. La sua storia dà conto di come l’esistere possa farsi opera spirituale e il conoscere sia unione di pensiero ed esperienza, personale e relazionale. Non a caso è proprio sul piano della reciprocità creativa, di ascendenza romantica, fra vita e spirito che Lou Salomé sfida chiunque voglia occuparsi di lei.

Una sfida accolta con passione da Susanna Mati, studiosa di Nietzsche e del suo mondo, in Lou Salomé – Amare la vita (Feltrinelli “Scintille”, pp. 352, euro 25,00). Si tratta di un volume ben riuscito per ricchezza di documentazione, anche fotografica, oltreché di analisi, in grado di far capire come Lou Salomé sia stata tutt’uno con la sua esperienza della vita. Un tutto aperto all’incontro e, al tempo stesso, in sé compiuto, visto che Salomé fu fedele sempre e solo a se stessa, libera da ogni dover essere, «mai di nessuno e sempre altrove, sia intellettualmente che emotivamente» (p. 110). Cosmopolita e individualista, preoccupata della propria personale liberazione e, per dirla con Mazzino Montinari, del culto della propria personalità (introduzione a S. Freud – L. Andreas-Salomé, Eros e conoscenza. Lettere 1912-1936, Bollati Boringhieri, 1983, p. VII), ebbe di certo una natura felice, priva di risentimento, anche grazie alla sua condizione privilegiata per censo e nascita, fino al punto davvero problematico, e per certi versi poco apprezzabile, di risultare incapace di pensare il politico, di considerare la collettività.

È questa personalità che Mati ricostruisce attraverso gli snodi cruciali del suo divenire, sullo sfondo oltretutto di un inquieto passaggio di secolo, cercando di sottrarsi al genere stilistico. Il suo libro, infatti, non è esattamente una biografia, anche se tiene per forza in conto molte notizie biografiche, né un romanzo e neppure un saggio accademico.

Il punto da cui muove è paradossalmente quello della fine, cioè il fatto che l’anziana Salomé, pochi anni prima della morte, avvenuta nel 1937, decise come dovesse essere consegnata ai posteri la sua esperienza della vita e proprio per questo selezionò e distrusse carte e lettere. Ciò che scelse di conservare sostenne la composizione del suo Lebensrückblick (pubblicato in italiano per la prima volta nel 1975 da Guaraldi con il titolo Il mito di una donna a cura di Ota Olivieri), quasi a sottintendere che la nostra biografia è unitaria solo cronologicamente e biologicamente, al punto che è il modo di metterla in parole e di scriverla a costituirne il senso, l’unica possibile verità. Un modo fra l’altro che non legittima l’immagine di Salomé femme fatale dai famosi amanti, tanto che l’unica relazione sentimentale che decide davvero di sottolineare è quella con Rilke, anche se certo riconosce l’importanza decisiva di Nietzsche e di Freud. In più va considerato che a questa radicale forma di autocensura si sono aggiunte le censure dettate ad esempio dall’ostilità nei suoi confronti, come quelle operate da Elisabeth Nietzsche e dall’Archivio Nietzsche, oppure da un eccesso di protezione, come nel caso di quelle decise da Ernst Pfeiffer, erede del suo lascito letterario.

Per tutto questo Mati può affermare che è la stessa Lou Salomé a orchestrare e scrivere la sua vita «interpretando, esaltando, correggendo, rimuovendo, passando accuratamente sotto silenzio: insomma creando» (p. 15) e costringendo chiunque decida di occuparsi di lei a stare alle sue regole. La pulizia finale sarebbe di conseguenza segno non tanto di riservatezza e discrezione, ma di poesia (Dichtung): una vera e propria creazione, inalterabile, dettata dalla consapevolezza che la vita, se spinozianamente la si ama, è di necessità scrittura, cioè «un tracciare segni attraverso i quali la vita diventa conscia di se stessa», come affermerà nell’articolo Allo specchio del 1911, che ordina amorosamente, sottraendosi cioè alla violenza della ratio, gli episodi capaci di mostrare l’essenziale che, nel caso di Salomé, può emergere in primo luogo nell’incontro con anime sorelle, vale a dire con anime che cerchino di essere, come lei, spiriti liberi e per questo tese verso la comunione, non il possesso. A loro, infatti, si lega, senza però mai darsi totalmente, sempre salvaguardando la propria autonomia pur nel vincolo della relazione. Ed è proprio attorno agli incontri decisivi di Salomé, gli stessi che si riverberano nei suoi scritti in tutta la loro polarità di emancipazione e subordinazione, che Mati sviluppa le tre parti del suo libro. Sono tre come i saperi a cui Salomé si è dedicata, cioè filosofia, letteratura e psicoanalisi, significativamente associabili alle tre grandi figure maschili della sua vita: Nietzsche, Rilke e Freud.

La prima parte, infatti, è dominata dalla figura di Nietzsche, quindi dal progetto e dall’esperienza scandalosa della Trinità, cioè la convivenza a tre con lo stesso Nietzsche e Paul Rée, cui Salomé giunge dopo l’innamoramento adolescenziale nei confronti del pastore Hendrik Gillot. È proprio la frequentazione di quest’ultimo ad alimentare il suo sviluppo intellettuale, che muove dal fare i conti con la perdita, avvertita quale tratto caratteristico della sua vita, che certo rinvia in primo luogo alla perdita determinata dalla nascita, intesa come distacco originario sul quale sono destinate a modellarsi le angosce a venire, quindi alla perdita del padre e della fede in Dio, che lascerà in lei una inesauribile vocazione religiosa. Il rapporto con Gillot, mantenuto da Salomé su un piano ideale, come molte delle sue relazioni, verrà di fatto meno nel momento in cui Gillot chiederà di sposare «la sua figlia spirituale», cioè nel momento in cui il loro incontro sarà negato dalla volontà di possesso. Uno schema destinato a ripetersi nella vita di Salomé, tanto che pure la Trinità con Nietzsche e Rée fallirà soprattutto a causa di analoghe proposte di matrimonio.

Nonostante ciò, la triangolazione resterà il modo privilegiato da Salomé di dare forma ai suoi incontri, forse la maniera che meglio le permise di fare esperienza, a un tempo, di conoscenza, amicizia e libertà. Questo accadde anche negli anni berlinesi del suo sodalizio con Rée, aperto ad amicizie importanti come quella con Tönnies, e nonostante il misterioso matrimonio bianco con Andreas, che non fu di alcun impedimento all’amore – forse davvero il più importante della sua esistenza – con il giovane Rilke, conosciuto nel 1897. È la stessa Salomé a definire romanticamente la sua storia con Rilke come Ergriffenheit, cioè una possessione, nella quale riescono a completarsi corpo e spirito, che tuttavia non può frenare il suo bisogno di tornare a se stessa e proprio tramite il congedo dall’amante. L’abbandono amoroso di Rilke pare poi inseparabile dall’apertura di Salomé all’altra sua grande passione, la psicoanalisi, quindi all’incontro con Freud frequentato inizialmente proprio insieme a Rilke, non più amante ma sempre amico.

È questo gioco mai pago di chiusure e dischiusure, in cui sono comprese anche importanti amicizie femminili come quelle con Frida von Bülow e Anna Freud, a scandire il ritmo dell’esistenza inesauribile di vita e di pensiero di Lou Salomé e anche gli scritti che l’accompagnano, fra tutti Nietzsche in Seinen Werken (trad. it. Vita di Nietzsche, a cura di E. Donaggio e D.M. Fazio, Editori Riuniti, 1998), uno dei saggi più convincenti sul pensiero del filosofo tedesco.