Lo sciopero delle donne, i fantasmi del patriarcato
Umberto Varischio
2 Marzo 2017
Sin dai tempi di Aristofane i fantasmi evocati da uno sciopero delle donne turbano profondamente l’universo maschile. La proclamazione, da parte di donne di tutto il mondo, di uno sciopero della produzione e della cura per il prossimo 8 marzo (cui, a differenza di quello evocato dal commediografo ateniese, si possono aggiungere gli uomini), sembra aver risvegliato questi fantasmi.
Nel mio posto di lavoro, un’università milanese, le reazioni degli uomini sono le più diverse ma ripercorrono sentieri ben conosciuti.
Qualche giorno fa un uomo scrive alla mail del collettivo che gestisce l’attività della FLC-CGIL in ateneo, chiedendo cosa si pensa di fare per l’8 marzo: aderire e sostenerlo o no?
La discussione è subito rovente: c’è chi riduce lo sciopero a un illusorio “vogliamo tutto”, chi lo ritiene uno svilimento dello strumento, altri (e qualche altra) vogliono mettere in primo piano lo sfruttamento di tutte/e tutti. Si riaffaccia nel dibattito la priorità della contraddizione di classe sulle altre, in primis quella di sesso. Queste reazioni mi sconcertano e tutta la discussione rischia, come spesso accade, di degenerare in uno scontro tra uomini.
Alcune donne della FLC-CGIL ripercorrono la trama di relazioni, da loro stabilite nel tempo, per sostenere lo sciopero, o almeno per discuterne civilmente e non farlo diventare una nuova occasione di guerra tra uomini. E cercano di valorizzare, come dice una mia collega e amica, l’impresa che le donne sono riuscite a realizzare: far convergere, su rivendicazioni non strettamente “sindacali”, organizzazioni che quasi non si parlano.
Questa scadenza e la discussione che ne è scaturita mi appassionano ma, allo stesso tempo, m’interrogano: come agire? Riconoscendo l’autorevolezza di queste donne, lasciando parlare la loro competenza nelle relazioni, autolimitandomi nelle discussioni e cercando più di porre domande che di affermare. Perché nella mia vita e nelle mie pratiche, sindacali e non, mi rendo sempre più conto che sono le donne, non l’insieme indeterminato ma, per dirlo con Angela Putino le singolarità incarnate e sessuate, a saper leggere quello che succede aprendolo verso un possibile cambiamento.