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L’invito alla redazione allargata di VD3 Sono soldi i soldi? ha suscitato in me un piacere particolare poiché fa riferimento a una conferenza di Luce Irigaray del 1984, Les femmes, le sacré, l’argent (Le donne, il sacro e il denaro), pubblicata poi nel volume Sessi e genealogie (Sexes et parentés) nel 1989, tradotto da Luisa Muraro. La storia di questo testo è parte integrante della mia vita personale e politica, avendo contribuito a segnare una svolta irreversibile. Incontrai Irigaray a Parigi, dove mi trovavo per una gita scolastica con le mie classi del liceo sperimentale a indirizzo linguistico di Fornovo Taro, con un preciso mandato della Biblioteca delle donne di Parma e dell’Istituto Gramsci1.

Irigaray era stata invitata come relatrice a una manifestazione pubblica. Avevamo deciso, con alcune della Biblioteca e del Gramsci, di proporre alla famosa filosofa femminista un tema che ci stava particolarmente a cuore e al centro del dibattito in quel momento storico: il rapporto delle donne con il denaro e con il lavoro, che tradotto in lingua materna voleva dire sciogliere il nodo fra emancipazione e libertà femminile. La posta in gioco teorica e pratica era per noi all’epoca la differenza sessuale. 

Alla Biblioteca delle donne2 avevamo costituito nel 1985 un gruppo di lettura mettendo a confronto testi di Simone de Beauvoir e di Luce Irigaray e proponemmo con Teresa Serra la lettura dell’Etica della differenza sessuale3. Noi lo leggemmo in francese perché non era stato ancora tradotto. Quel pensiero mi catturò. Un innamoramento repentino ma duraturo. 

Dare senso a questo assunto comportava un radicale spostamento di sguardo e di scelte di vita: stavamo di fronte a un bivio. Porre al centro delle nostre vite quel tema significava far perdere di senso tutto il resto. Con la baldanza della giovane età, in accordo con le colleghe, lasciai le mie classi in visita a Versailles e andai timorosa all’appuntamento con Irigaray. Ci incontrammo al Bois de Boulogne a casa sua, le spiegai cosa desideravo e lei mi propose appunto per la conferenza di Parma Le donne, il sacro e il denaro. Ripensando oggi a quella situazione e alla mia disposizione d’animo mi sono ricordata dell’allegoria di cui scrive Luisa Muraro in Al mercato della felicità, citando un antico testo mistico persiano. Racconta dell’anziana donna con gomitoli di lana come merce di scambio, che va al mercato degli schiavi e si mette in fila, pur avendo pochissime speranze di partecipare a quel tipo di transazione economica. «Ci sono tanti modi di andare al mercato. Cosa sarebbe infatti la vita senza grandi desideri?»4.

In quel periodo stavo preparandomi al concorso abilitante per il passaggio dalla cattedra di lingua russa, la cui opzione di scelta era stata eliminata dal piano di studi, all’insegnamento della lingua francese. Per me una sfida difficile. Le vicende storiche erano stringenti e io ero a rischio poiché vivevo sola in affitto in una mansarda, avendo lasciato la mia città e la famiglia. Senza le relazioni con le donne cui mi affidavo non so se sarei riuscita ad affrontare, senza perdermi, questo complicato crocevia di strade e a trovare la via giusta, cioè a orientarmi per mantenere l’indipendenza economica e la mia libertà. Mi dibattevo dentro di me mentre mi si presentavano alternative varie come la possibilità di lavorare all’estero, in Unione Sovietica, alla fabbrica di auto di Togliattigrad con buone prospettive di guadagno, ma io intuii, più che sapere con certezza, che mi si stava aprendo una vita migliore, intravidi un orizzonte di libertà, situazioni nuove, forse già viste in sogno, più attraenti del denaro e più promettenti di felicità e di piacere. E così fu che abbandonai la strada dell’emancipazione senza libertà. Un distacco totale dalla mentalità corrente. Un periodo molto fertile che durò dieci anni di intense letture, di passioni, di esperienze, di scambi, di relazioni, di turni alla Biblioteca e andirivieni con la Libreria nel sottoscala di via Dogana, 2.  Superai brillantemente il concorso nazionale a cattedre con approfondimenti alla prova orale su Simone Weil, Marguerite Duras, Colette ecc. Imboccai un nuovo corso, mettendo in atto in pratica il taglio della differenza nel mio lavoro e nella vita. Come scrive Laura Colombo, in questo modo, per quanto mi riguarda, abbiamo dato vita a «un mondo comune delle donne».

E come scrive Irigaray: 

«Un pensiero che misconosce le sue fonti [intende il lavoro non pagato delle donne e il lavoro del pensiero sottopagato, Ndr] e le risorse naturali non è realmente un pensiero o è un pensiero pericoloso per la vita. Parlare o tentare di pensare il sublime vale se il sublime rispetta ciò che ha permesso di pensarlo: la natura, micro e macrocosmo. Tutto il resto è tecnocrazia che separa la testa dal corpo, dai corpi, facendo di noi dei fantasmi da una parte, delle macchine serve dall’altra […]. Il denaro non dato al posto giusto, in una società come la nostra, ne squilibra l’organismo»5.La mia scommessa non è stata una mera utopia. Ho sentito negli interventi dal pubblico così come nei racconti delle proprie esperienze e scelte di vita e di lavoro delle relatrici un continuum del ragionare e dell’interrogarsi sulla realtà, che si nutre del pensiero di una genealogia che affonda le sue radici nel passato e crea futuro.

  1. Vedi più in dettaglio Mia madre femminista. Voci da una rivoluzione che continua, a cura di Marina Santini e Luciana Tavernini, pp. 62/63, Il Poligrafo, 2015. ↩︎
  2. Il ricco fondo della Biblioteca intitolata a una delle fondatrici, Mauretta Pelagatti, è diventato nel 1997 patrimonio consultabile della Biblioteca pubblica comunale U. Balestrazzi della città di Parma.  ↩︎
  3. Luce Irigaray, Etica della differenza sessuale, Feltrinelli, 1985. ↩︎
  4. Luisa Muraro, Al mercato della felicità. La forza irrinunciabile del desiderio, prima edizione Mondadori 2009, pag. 5.  ↩︎
  5. Luce Irigaray, Sessi e genealogie, la Tartaruga edizioni, 1989, pp.101-102. Prima edizione. ↩︎