Lei davanti al Re
Maria Castiglioni
25 Marzo 2023
Note a margine dell’incontro di VD3 del 12 marzo 2023
di Maria Castiglioni
A proposito delle nostre pratiche Lia Cigarini ha parlato di trovare i “nessi” tra la politica rappresentativa, istituzionale e quella non professionale (la nostra, quella dei movimenti e dell’associazionismo) e anche Francesca Pasini ha ripreso questo tema dell’uscire dal “tra di noi”. Annarosa Buttarelli ha posto la questione delle “tre scelte”: Antigone che combatte il potere tirannico, Ismene, la sorella, che “non fa niente”, la terza quella di “andare via”, dai partiti, dai dibattiti televisivi, luoghi dove nessuna trasformazione è possibile.
Alla figura di Antigone è stata dedicata molta attenzione da parte di alcune filosofe, molto meno a quella di Ismene. Nel suo La tumba de Antígona Zambrano ci restituisce una Antigone che, dialogando in sogno con la sorella, ricorda che lei era quella che sempre «usciva dalle righe, le calpestava, andando e venendo sulla terra proibita». Per Irigaray (nel saggio contenuto in Essere due, da cui ho tratto il mio titolo) Antigone incarna «la singolarità concreta e i suoi legami con una collettività concreta», contrapposta a Creonte che rappresenta «il passaggio dalla singolarità ad un universale astratto» su cui si fonda il suo potere. Antigone, diremmo noi, “parte da sé”, Creonte dalla coscienza disincarnata. Simone Weil nel suo breve saggio Il racconto di Antigone e Elettra, a partire dalle omonime tragedie di Sofocle, mette a fuoco il dialogo tra Antigone e Ismene. La scelta di Antigone è quella radicale, di opposizione a un potere tirannico, a cui si contrappone quella della sorella Ismene che sceglie di obbedire alle leggi, benché si offra, per amore, di seguire la sorella nella sua terribile sorte. Antigone respinge la sua offerta: «Tu hai scelto di vivere, io di morire» le dice, e aggiunge, quasi un viatico «Fatti coraggio, vivi».
È, quello assegnato da Antigone a Ismene, un fare o un “non fare niente”?
È abbastanza scontato attribuire ad Antigone tutta la parte dell’azione e a Ismene quella dell’inazione, ad Antigone quella del coraggio, a Ismene quella della viltà: una lettura polarizzata che non ci porta molto lontano. Mentre la posizione di Ismene, il suo primum vivere, può essere un invito a pensare altre posture, a trovare altri sguardi, altre prospettive quando ci si trovi “davanti al re”.
Su questo tema ci stiamo interrogando anche nel nostro piccolo gruppo di autocoscienza, così come nell’associazione de “Le Giardiniere” di Milano che da anni lotta contro la speculazione immobiliare su una vasta area militare dismessa.
Devo registrare però che su questo specifico scenario, quello del confronto/conflitto diretto con il potere, specie nella sua versione forte, l’elaborazione femminista segna il passo ed esempi di pratiche concrete (fatta eccezione per alcune, preziose, all’interno della realtà delle Città Vicine) sono davvero rare. Perché un conto è chiedere qualcosa, altro è voler togliere. Uno spazio per svolgere attività di vario genere (flashmob, manifestazioni, eventi culturali etc.) è solitamente concesso, il contendere al potere lo stesso spazio, lo stesso oggetto del desiderio, è invece fonte di conflitto. Se su quell’area noi ci vogliamo fare un parco e gli investitori (anche pubblici) una speculazione immobiliare, è evidente che si entra in rotta di collisione.
Quale allora la pratica, le pratiche?
Abbiamo nella nostra storia femminista messo a punto pratiche fondamentali quali l’autocoscienza, l’affidamento, il partire da sé, la pratica di relazioni. Come metterle in gioco quando lo scenario è il confronto diretto col potere con cui è in atto una relazione conflittuale?
È evidente che non possiamo giocare sulla forza: occorrono allora altri movimenti, altre azioni, altre strategie che evitino il braccio di ferro, la polarizzazione (in cui, come Antigone, o anche Alfredo Cospito, si può perdere la vita).
Come Giardiniere abbiamo messo in campo innanzitutto una considerazione: il potere ha dei buchi, non va sopravvalutato, non è un monolite. Quindi va “accerchiato”, vanno aperte relazioni a 360°, senza alcun preconcetto, oltre gli schieramenti tradizionali e le generalizzazioni, senza dare nulla per scontato o già tentato (ciò che qualche tempo prima sembrava blindato, si può sempre aprire), e senza polemiche, trovando sempre, come ammoniva Ildegarda, la «parola netta, affilata come spada». È un lavoro continuo di dilatazione e di esplorazione (di reti, di relazioni, di prospettive), ma è anche un lavoro che implica un “di più di pensiero” quando dall’altra parte c’è una donna.
Situazione sempre più frequente, nelle amministrazioni locali, come in quelle nazionali o europee.
Noi l’abbiamo sperimentato varie volte, e anche adesso, con l’amministrazione comunale dove l’assessore all’Ambiente è una donna.
Come giocare la politica delle relazioni quando prevale nella donna (e deve prevalere, altrimenti non potrebbe essere in quel posto) il senso di appartenenza al sistema di potere? Come può aiutare uno sguardo che, al di là della contrapposizione, possa comprendere punti di vista radicalmente opposti? Come può un potere “ritirarsi” quando il suo mandato è quello di “occupare”, sempre e comunque?
Occorre trovare un “nome” afferma Vita Cosentino, che non cancelli il “nesso”, occorre una “parola pubblica”, dice Silvia Motta, che crei un diverso rapporto tra politica istituzionale e politica non professionale. Occorre tutto ciò, aggiungo io, ma occorre anche moltiplicare le nostre pratiche politiche su questi scenari conflittuali che andranno sempre più intensificandosi, sia per l’emergenza sociale che per quella ambientale.