Le Vicine di casa in tempo di pandemia
Alessandra De Perini, Désirée Urizio, Carla Turola, Franca Marcomin, Marisa Bettini, Daniela Bettella, Marina Canal
7 Aprile 2020
Sollecitata da Marina Santini a partecipare alla discussione di Via Dogana 3 del 5 aprile 2020, dopo aver letto l’invito della redazione ho deciso di coinvolgere anche altre amiche, invitandole a leggere i primi interventi pubblicati il 30 marzo nel sito della Libreria di Milano. Mi è sembrata una buona idea impegnarmi con altre nella riflessione su come attraversiamo questo tempo, quali interrogativi ci poniamo, quali pensieri e prospettive stiamo elaborando. In pochi giorni, mentre ero impegnata a scrivere il mio, ho ricevuto diversi testi di Désirée Urizio, Marisa Bettini, Carla Turola, Marina Canal, Daniela Bettella, Franca Marcomin, che descrivono le nostre giornate in tempi di pandemia. (Alessandra De Perini)
Alessandra De Perini
Prima di questo strano tempo in cui la dimensione del fuori è contrapposta al dentro e al “contagio” del desiderio viene anteposto il pericolo del contagio da coronavirus, le mie giornate scorrevano veloci, scandite da impegni politici, incontri mensili di riflessione sull’essere donne nel tempo presente, letture e riunioni mirate a una presa di parola in città con l’associazione “Le Vicine di casa”, iniziative, corsi o convegni organizzati da donne dell’associazione “Preziose” con le quali ho stretto il patto di sostenerci nella vita pubblica. Oltre alla politica basata su un’intensa vita di relazione, seguivo nello studio, una volta la settimana, una nipote quasi adolescente, Laura, rimasta orfana di madre a 6 anni; andavo spesso a Rovigo, dove abita mio figlio Nicola con la famiglia, per seguire, in assenza dei genitori, spesso all’estero o fuori città per lavoro, a volte anche per intere settimane, Maddalena e Ariannina, nipoti adorate, una già adolescente, bella e molto studiosa, e l’altra ancora bambina, simpatica e creativa. Un altro impegno quasi settimanale, gesto politico, di cura e di amicizia, era recarmi a Mirano, una cittadina a un’ora di distanza da Mestre, per passare delle ore di felice conversazione – ma a volte anche di semplice ascolto di diversi contrattempi e disagi – con Carla, un’amica con cui ho condiviso alla fine degli anni Ottanta il percorso politico che, attraverso l’esercizio quotidiano delle relazioni e la lettura appassionata di Carla Lonzi, Simone Weil, Luisa Muraro, mi ha portato ad abbracciare senza riserve e con grande determinazione la politica della differenza. Colpita da una grave malattia che l’ha costretta in carrozzina, non potendo più condurre un’esistenza autonoma e non avendo relazioni familiari su cui fare affidamento, da diversi anni Carla si trova ospite in una casa di riposo. La nostra relazione si era interrotta molti anni fa ma, da quando ci siamo reincontrate, quasi per caso, grazie alla mediazione di un’amica comune, tutto è ricominciato e ora c’è di nuovo tra me e lei circolarità di affetti, gioco di relazioni, scambio fecondo di idee, esperienze e progetti.
Oltre a tutto questo, nell’economia delle mie giornate c’era, e non voglio dimenticarlo né darlo per scontato, il lavoro necessario del vivere quotidiano che ho condiviso fin da piccola con migliaia di donne, ma oggi anche moltissimi uomini, impegnate e impegnati a cucinare, fare la spesa, il bucato, stirare, spolverare, pulire e mettere in odine la casa, insomma a mandare avanti l’esistenza materiale su questo pianeta.
A quel tempo, intendo prima della pandemia – sembra tanto tempo fa – avevo due desideri che continuavo a spostare nel tempo, presa da continue e impreviste urgenze politiche o familiari. Il primo era prendermi cura di me, della mia salute. E qui non ho più potuto sottrarmi.
L’altro desiderio era raccontare il mio percorso politico. Anche se ogni tanto ero presa da forti dubbi che mi portavano a ridimensionare drasticamente il valore del lavoro politico fatto da me in questi anni, ero convinta di avere qualcosa di importante da dire. Sono tra quelle, infatti, che nei primi anni Settanta hanno operato il taglio del femminismo, da cui è nato un nuovo mondo, “il mondo comune delle donne”. Prima della pandemia, mi spaventava l’idea dell’enorme lavoro da fare per realizzare questo mio desiderio di un racconto politico significativo e coerente, esitavo ad aprire gli innumerevoli quaderni di appunti, album di fotografie, diari, cartelline di scritti, scatole di lettere, scatoloni di volantini e documenti che, con il trasloco nella nuova casa, dove dal 2017 abito insieme alla mia amica Désirée, ho deciso di “salvare” da un’insana furia distruttiva e di cancellazione e ho portato con me.
Adesso ho finalmente tutto il tempo necessario per aprire il libro della storia viva dentro di me ecominciare a scrivere, un’occasione straordinaria che posso e voglio cogliere, anche se non sono sicura della qualità del risultato finale. Care amiche, sono ancora qui, il mio corpo-pensiero è in fermento, sto seguendo il flusso di un desiderio che è stato risvegliato molti anni fa ed è ancora in movimento.
Désirée Urizio
All’inizio di questa pandemia io e le mie colleghe della biblioteca Centro Donna di Mestre non sapevamo come comportarci: le indicazioni che ricevevamo erano continue e contrapposte. Prima dovevamo solo ricevere i libri restituiti senza poter effettuare prestiti, poi potevamo dare libri in prestito ma solo se venivano presi “al volo”, lungo il percorso (2 metri) dalla porta al banco prestiti. Poi dovevamo mantenere la distanza di un metro anche tra di noi e in cinque, in un ambiente piccolo, non è facile. Il tutto aspettando le mascherine e il materiale igienizzante che doveva esserci fornito dall’Amministrazione e che non è mai arrivato. Per fortuna io e le mie colleghe condividiamo molte idee di base e quindi ci siamo attrezzate, a nostre spese, per pulire e disinfettare ogni mattina il luogo di lavoro e i materiali che usavamo, computer, telefoni, libri compresi e ci siamo comprate le mascherine. Alla fine è arrivata l’ultima disposizione: tutte a casa e si lavora con lo Smart Working.
Ognuna di noi ha presentato un progetto di lavoro inerente la biblioteca e ora lavoriamo da casa, ma non è stato subito facile organizzarci per mille motivi, a cominciare dalle linee internet da usare e dai collegamenti con il sito del Comune, oltre al fatto che non tutte hanno il computer di casa sempre disponibile e connessioni illimitate. Ci siamo aiutate tra noi colleghe con telefonate e scambi di mail. I nostri capi si sono limitati a dare le indicazioni, ma siamo state noi bibliotecarie che abbiamo saputo metterle in pratica dimostrando la nostra capacità e serietà professionale. Certo che vivo una situazione un po’ strana: dal rapporto diretto con le colleghe siamo passate a quello unicamente telefonico.
Oltre alle colleghe, ho ricevuto e risposto a messaggi delle operatrici del Centro anti violenza che hanno gli uffici situati sopra la biblioteca e con cui siamo in contatto diretto. Ho pensato spesso a loro che continuano a lavorare, ma non so in che termini, in questo tragico periodo di aumento di casi di violenze domestiche: già sono pressate nella quotidianità, ora saranno ancora più in tensione.
Una volta realizzato che dovevo stare in casa e lavorare al computer, ringraziando il fatto che non sono sola ma vivo con Sandra, mia cara amica, mi sono dedicata all’ordine, materiale e mentale, di documenti, film, vecchi ricordi cercando di liberarmi del superfluo e di alleggerirmi il più possibile. Ho infatti la tendenza ad accumulare e, nonostante conosca benissimo i 10 suggerimenti di Marie Kondo per fare ordine, ho sempre troppa roba. Ma mi serve tutta.
In questo periodo, poi, dove mi sembra di avere tantissimo tempo a disposizione, ho sentito più spesso amiche che abitano lontane e alcuni parenti. Ma è soprattutto un continuo e simpatico rapporto con le amiche Vicine di casa che mi fa compagnia in questi giorni: uno scambio di foto di stanze delle nostre case, di angoli di lavoro e di scrivanie, davanzali fioriti e racconti, poesie e pensieri ci unisce idealmente e mi incoraggia a pensare a iniziative future da fare insieme.
Naturalmente, ascolto spesso i telegiornali per tenermi informata sull’andamento del virus. Alle notizie contrastanti sull’economia e sulla sanità, preferisco le interpretazioni delle ricercatrici e delle economiste perché mi sembrano più sensate e attuabili. Alle notizie sulla crisi dei grandi centri ospedalieri ho pensato a quando in Romagna ogni paesino, anche piccolo, aveva il suo ospedale: pochi reparti ma ben organizzati e con personale preparato. Spesso sono andata a trovare amiche o parenti ricoverate lì, dove ho sempre respirato un’aria di umanità che non ho sentito nei grandi ospedali. Peccato li abbiano chiusi perché ora sarebbero serviti moltissimo. Speriamo ci sia un ripensamento anche su questo.
Carla Turola
Sono un soggetto considerato “ad alto rischio”. Soprattutto perché vado in dialisi tre volte alla settimana e vivo in una casa di riposo dove gli spazi sono ristretti e non è possibile mantenere le distanze. Inutile nascondere la paura che si avverte anche da parte delle assistenti per mancanza di protezioni adeguate. Quando arrivo dalla dialisi mi disinfettano la carrozzina, ruote comprese. Quando mi lavano, si infilano due paia di guanti. Eppure io sto bene e sono di buon umore. Ogni mattina mi lavo accuratamente, mi massaggio con creme idratanti, mi spruzzo in po’ di profumo. E mi sorrido allo specchio, augurandomi una buona giornata, felice di essere viva. Mi chiedo cosa posso fare per le altre e gli altri che condividono questa clausura (molti, molte con problemi di demenza). Il sorriso fa bene. Quindi sorrido, anche se ho dormito poco e male per il mal di schiena. Mostro interesse alla salute altrui, chiedendo: come stai? Hai riposato bene? C’è qualcosa che posso fare per te? A volte, può essere il regalo di un pacchetto di fazzoletti per chi non ha nessuno che glieli procuri.
Purtroppo sono molto limitata dall’uso della carrozzina ma, grazie a una ginnastica da distesa che mi sono inventata e alcuni esercizi da seduta che faccio tutte le mattine, mantengo una discreta autonomia. Ho anche problemi di udito e dovrei far regolare gli auricolari, ma non posso uscire, quindi devo farmi ripetere più volte le parole, soprattutto quelle delle assistenti che usano la mascherina. E tuttavia ogni mattina mi alzo all’alba e mi godo il momento più bello perché posso raccogliermi in preghiera nel silenzio. Qui ogni piccola cosa è un godimento: il caffè del mattino presto, la pulizia degli occhiali, la colazione con le fette biscottate spalmate di marmellata di amarene.
Questa difficile prova che mi priva delle amiche carissime mi fa sentire ancora di più il valore delle relazioni di vicinanza, dello scambio di pensiero e di parole scelte con intelligenza. Approfitto di questo tempo per leggere, quando non ho più materiali per dipingere, un bel romanzo sulla storia delle Beghine (La notte delle beghine di Aline Kiner) o le poesie di Alda Merini o per studiare il Vangelo di Giovanni, che è di una bellezza sfolgorante, aiutandomi con un ricco commentario ordinato su Amazon. Vedo un filo conduttore tra luce e tenebre.
Questo tempo è una porta stretta da attraversare. Nella mia vita ne ho attraversate molte e ogni volta ne sono uscita migliore, con più fiducia. È anche un esercizio di libero arbitrio: ci costringe a scegliere se uscirne con risentimento o con amore rinnovato. Questo è il momento di invocare lo Spirito Santo e i suoi doni. Tra i tanti doni che ho ricevuto nella vita, oltre alle relazioni privilegiate con alcune donne, c’è la pittura di icone che, pur con difficoltà, riesco ancora a praticare.
Questo è il momento delle piccole cose che si fanno grandi e importanti come non mai. Auguriamoci di ricordarcelo poi, quando finalmente l’epidemia sarà finita, potremo riabbracciarci e festeggiare sedute a tavola nella nostra trattoria preferita!
Franca Marcomin (Associazione Preziose di Mestre e Mirano)
Lavoro in un punto nascita della provincia di Venezia che è stato chiuso a fine febbraio e aperto solo per le emergenze, quindi il contatto con le donne gravide e le puerpere è stato limitato. Dopo un mese il punto nascita è stato chiuso definitivamente perché il mio ospedale è stato destinato a ricoveri di persone positive al Covid 19, così tutte noi ostetriche siamo state trasferite in un altro ospedale vicino. È stato un cambiamento che ha fatto attivare le mie risorse di adattamento a una nuova situazione. Tra l’altro andrò in pensione tra sei mesi, se non la bloccano, come sono state bloccate le ferie a tutto il personale per farlo restare a disposizione delle necessità che potrebbero presentarsi.
Non abbiamo avuto finora casi di gravide e puerpere positive al virus in entrambi gli ospedali, quindi non abbiamo avuto situazioni di operatrici/ori sanitari infettati. Di fatto, prestare servizio nel materno-infantile ci ha protetto dal lavorare in reparti di terapia intensiva, medicine e geriatrie dove vi sono stati i ricoveri delle persone malate o positive.
Ho potuto osservare che le donne da noi assistite non sono angosciate dal coronavirus; sicuramente sono preoccupate, come tutte e tutti, ma le sento fiduciose verso le operatrici/operatori sanitari a cui si rivolgono e, a mio avviso, sono molto più proiettate nel futuro con il proprio bambino o bambina.
È comunque faticoso andare a lavorare in ospedale. A volte penso ai pericoli con cui vengo in contatto ogni giorno, ma questa è stata la mia scelta di lavoro e sento fortemente il richiamo a prendermi cura delle donne che stanno per partorire, ma anche del benessere lavorativo delle ostetriche e infermiere che coordino. È una fatica che ha un senso: quello di continuare a costruire civiltà nel mondo attraverso il lavoro di cura, civiltà che si basa principalmente sulle relazioni e non sul potere.
Marisa Bettini
Quando Sandra ha lanciato l’idea di scrivere per Via Dogana 3, avevo appena letto un interessante articolo che riguardava l’emergenza attuale nella nostra città: Venezia, isole e terraferma. Una frase in particolare mi era rimasta impigliata nei pensieri: «non mettere tutte le uova nello stesso paniere». Mi divertiva e mi risultava estremamente condivisibile. Così come la sollecitudine di Sandra a scrivere qualcosa partendo dal fatto che godo della presenza di un cortile/giardino nella mia abitazione «fortunatamente», come spesso dicono le amiche e che dico io stessa.
Perché accostavo le due cose? Sono affermazioni accomunate dal fatto che una SCELTA era avvenuta prima. In una, in maniera più consapevole e nell’altra meno, ma entrambe mi ricordano che non c’è “fortuna” o “caso” (perlomeno non solo e non sempre) nel trovarsi in una data situazione. Testimoniano che l’oggi è frutto delle ambizioni di ieri, l’oggi è anche il risultato di una SCELTA operata ad un certo punto del percorso dato. Buon senso e buone norma di vita vanno sempre considerate, sia nelle vicende individuali sia in quelle collettive, sono precauzioni utili alle persone come alle politiche.
Questa riflessione mi riporta a me, alla mia vita di donna, qui e ora.
Mi rende urgente sottolineare l’importanza dei due termini messi in chiaro prima: POSSIBILITÀ e CAPACITÀ di SCELTA. Voglio farne tesoro perché sento vitale procurarci e non sciupare mai possibilità di scelta e coltivare capacità di discernimento nelle nostre vite personali e collettive.
È solo un lampo ma mi pare consono a questi strani giorni.
Una luce che vorrei conservare per non dimenticare domani che non è “fortuna” dipendere o no da prodotti fatti a mille miglia lontano da noi; per ricordarmi di dare priorità anche in futuro a quei negozi di vicinato che mantengono viva la mia strada.
E per la mia città vorrei che non continuasse a bruciare ogni slancio in quell’unico precario “paniere” che è il turismo di massa, la ruota del divertimento, l’ebbrezza dei grandi numeri che la divora. Forse i limiti e i lutti di oggi ci hanno fornito qualche suggerimento… chissà!? Magàri!
Daniela Bettella
La giornata in tempo di quarantena.
Mi alzo prima delle otto, la mattina. Mi piace bere il primo caffè davanti alla finestra e guardare in alto, sopra le case che mi circondano, il cielo che in questi giorni è luminoso, senza foschia. Una volta contavo due, tre aerei che passavano nei due minuti in cui bevevo il caffè. In questo periodo no, c’è silenzio, niente traffico, né sirene di navi che entrano in porto, non sento passare i treni.
Mi piace ascoltare il silenzio. E mi piace il mattino, sapere che ho tutta la giornata intera davanti a me. Non ascolto più la lettura dei giornali alla radio, credo che non mi serva la somma delle cattive notizie. Leggo qualche articolo sul cellulare, ascolto un solo telegiornale a metà giornata, guardo il sito della Libreria di Milano. Dopo aver fatto colazione con il mio compagno, quasi per scaramanzia, pulisco tutti i davanzali con un detersivo disinfettante, le maniglie delle porte, il pavimento dei bagni e della cucina, i vetri, metto al sole le coperte. Quando ritengo di essere stata sufficientemente brava, finalmente vado nel mio studio e riprendo i lavori che mi appassionano.
Da un mese il tempo è ritornato ad essere il mio tempo. Mi mancano mia nipote Daria e suo fratello Matteo, sono in ansia per le figlie, una che deve andare al lavoro a giorni alterni e l’altra che vive in Germania, ma nel mio tempo liberato trovo i materiali per poter lavorare con le mani: colorare la carta, tagliarla, cucirla, prendere pennino e inchiostro e scrivere…
Oggi ho finito di rilegare un piccolo libro con le pagine di velluto blu che ho stampato a mano con una vecchia matrice xilografica. A volte per concentrarmi e trovare ispirazione rileggo pagine di libri che amo di Simone Weil, Luisa Muraro oppure guardo immagini di lavori della mia artista preferita Maria Lai. Ultimamente ho ascoltato le sue riflessioni sull’arte, non solo visiva, ma anche poesia, musica, teatro, danza. Riflessioni sul percorso che si deve fare per diventare esseri umani, secondo lei l’arte fornisce strumenti per allargare il proprio orizzonte e andare verso l’infinito che infine è dentro di sé…
Mani operose e parole che nutrono sono la mia forza giornaliera.
Carica di questa energia, intanto che lavoro chiamo le amiche, le ascolto, a volte ridiamo insieme delle nostre situazioni o ci consoliamo delle paure.
Mi piacerebbe molto stare insieme, ho nostalgia della possibilità di vederci. Per fortuna riesco ad essere contenta delle possibilità che comunque ho anche in questo momento. Così al telefono in videochiamata posso vedere e stare insieme a chi mi è caro.
Con questa possibilità al martedì sera, con le amiche riunite in una chat, mi collego a un sito della Royal Academy dove si può fare disegno guardando la modella dal vero. La sessione dura un’ora e mezza, durante la quale ci scambiano le foto dei lavori che stiamo facendo e anche qualche commento. Una vera gioia. Mi piace ascoltare.
Marina Canal
In questo periodo del tutto straordinario per le nostre vite (e mi limito a considerare la parte di mondo in cui ci troviamo, la nostra Italia), mai prima d’ora ci era stato dato di sperimentare in forma diretta e consapevole (anche per me che, nata a metà guerra, l’ho attraversata del tutto inconsapevole), un tempo di vita così allentato e sovvertito.
Da un lato, la nostra prospettiva temporale appare totalmente trasfigurata: alterata nel passo, procede a singhiozzo, mediamente di dieci giorni in dieci giorni (tanti quanti sono quelli che intercorrono tra un provvedimento e l’altro), ponendo il possibile compimento del tempo dell’attesa in una sorta di concezione astratta, in un limite indecifrabile.
Nel mio caso, d’altro lato, a questa sospensione dilatata pare corrispondere una concreta accelerazione: sono impressioni, sensazioni, emozioni, frustrazioni che di momento in momento si affollano, si scompongono, si frammentano, si ricompongono a una velocità incredibile.
A questo punto devo riferire un vissuto personale che bene rappresenta, a mio parere, quanto il dettame del distanziamento sociale, che tanto sembra penalizzarci nel momento presente, possa tradursi in una ricchezza di contatti e scambi sicuramente differenti dall’essere in presenza ma ugualmente intelligenti, creativi, gratificanti. Con alcune dell’associazione Le Vicine di casa in questo tempo di reclusione lo scambio di saluti, immagini, notizie, pillole di saggezza, spunti di riflessione, inviti al dibattito e tanto altro è quasi quotidiano.
Per me, che vivo in solitudine, un contatto così frequente significa veramente molto. Mi dà energia, fiducia, serenità e sicurezza. Mi dà la possibilità di conoscere meglio le abitudini di ciascuna, di condividere la gioia di nuovi fiori sbocciati in giardino o sui balconi, di assaporare una ricetta speciale in un ideale convivio, di spartire il piacere di una nuova lettura o il ripescare dalle librerie di casa vecchi tesori accantonati. Sono piccole e grandi scoperte quotidiane che danno ad ogni giornata una parte di luce.