Le donne, Aldo Capitini e me
Elisabetta Chiacchella
11 Dicembre 2015
Forse l’ultima, in ordine di tempo, ad esserne permeata è la poetessa Anna Maria Farabbi, la quale conclude la sua guida letteraria di Perugia conducendo i suoi lettori al cimitero nuovo, alla tomba di Capitini (Perugia, Unicopli, 2014). Fra le altre cose, Anna Maria ha rilasciato un’intervista dal titolo Il mio sguardo su Capitini il 22 aprile 2014 alla rivista online “Risonanze” in cui evidenzia “la sua quotidiana creatività nel tessere modalità democratiche per accendere e scuotere la coscienza degli altri, portando frutti all’intera comunità. Consapevoli delle differenze e delle possibili condivisioni”.
E prima di lei l’ha incontrato Adriana Croci, che lavorò insieme a lui presso la cattedra di Pedagogia di Perugia per due anni, gli ultimi della vita del filosofo perugino: “NESSUNO SI ESAURISCE NEI LIMITI CHE HA è una delle sue espressioni che utilizzo di più. Non è una frase ad effetto: è un programma e una prospettiva di vita”. Parimenti all’esercizio della nonmenzogna, che “di fatto significa: impegnati con la nonviolenza a lottare per la realtà liberata”.
Luisa Schippa nel 1992 con infaticabile cura ha dato alle stampe un’edizione dei suoi scritti sulla nonviolenza; Patrizia Sargentini all’inizio degli anni 2000 si è dedicata alla ricerca del Capitini poeta, e ha pubblicato un libro su questo.
Emma Thomas, una educatrice quacchera inglese, si trasferì a Perugia nel 1944 all’età di 72 anni per lavorare con Capitini, condividendone l’orientamento libero religioso e la scelta vegetariana. Ora Emma Thomas è sepolta nella tomba rettangolare di pietra grigia, posata a terra, insieme ad Aldo Capitini, a Luigia Vera Piva e a Riccardo Tenerini. Senza essere parenti, sono insieme, nel legame.
Sarebbe però sbagliato immaginare di trovare nell’opera di Aldo Capitini una meditazione diffusamente articolata sulle donne e sul femminismo, italiano e/o internazionale. Poche sono infatti le pagine in cui il filosofo riflette su questo argomento, e anche i titoli dei suoi scritti sul tema appaiono scopertamente basati su un approccio piuttosto tradizionale: La donna nel suo posto sociale, L’educazione della donna in Italia, Le donne per la pace.
Nato nel 1899 e morto nel 1968, Capitini indirizzò i suoi interessi e il proprio impegno totale alla noncollaborazione col regime fascista, all’organizzazione reticolare dell’opposizione politica durante il ventennio, all’approfondimento teorico-pratico della nonviolenza, alla lotta per l’obiezione di coscienza al servizio militare in Italia, alla costruzione di una spiritualità libero-religiosa. E a molte altre cose ancora, come la messa a fuoco della definizione di omnicrazia (il potere di tutti) e del concetto di compresenza dei morti e dei viventi.
Nelle brevi tracce del suo pensare le donne, il punto maggiormente ribadito è la necessità che non si guardi al femminile solo come dimensione privata (madri e persone amate) ma che alla sfera familiare si aggiunga “la donna sentita come amica, collaboratrice di opere, compagna sociale, essere umano autonomo” (La donna nel suo posto sociale, in Aggiunta religiosa all’opposizione, 1958). La disparità nella responsabilità pubblica “deve essere superata dagli uomini nel considerare le donne, ed essi potranno fare questo tanto più, quanto più le donne stesse lo faranno dentro di loro e nel vario loro operare”.
Un paragrafo in Le donne per la pace ricorda gli anni successivi alla Liberazione, anni in cui “la freschezza e la dedizione con cui ho visto agire le donne dell’UDI, per esempio di Perugia, la modestia e la costanza con cui hanno partecipato alla vasta opera di assistenza, di controllo amministrativo, di propaganda, è uno dei più bei ricordi di questo periodo di luci e ombre”.
Nel primo volume di Educazione aperta (1967) recensisce un libro di Enzo Santarelli dal titolo La rivoluzione femminile, scrivendo fra l’altro: “tutta la letteratura e la polemica sul problema della donna […] confluiscono oggi con la maturazione, attraverso le varie emancipazioni e assunzioni di responsabilità (questo è libertà), di una nuova umanità”.
Io ho incontrato Capitini fra il 2010 e il 2011. Avevo letto da poco Petrolio di Pasolini e quella lettura dentro di me era stata uno sparo, un’epifania. La verità riguardo il mio Paese mi era stata rivelata in modo allegorico, e io l’avevo vista. C’era stata in me una vita prima di quel libro, ci sarebbe stata una vita dopo quella lettura. A partire da lì, maturai una decisione politica, in mezzo a un’acuta sofferenza: scelsi di sottrarmi, in famiglia, a legami profondissimi, divenuti irrespirabili per me. Rinunciavo, dopo averci riflettuto con grande prudenza, alle persone più care che avevo. Davanti a me c’era il deserto. Sola, poco dopo trovai il solitario Capitini, prima nelle testimonianze dei suoi amici e amiche rimasti in vita, poi nei suoi scritti (Religione aperta, Le tecniche della nonviolenza). Grazie a Capitini provo a diventare amica della nonviolenza e mi sforzo di impostare la vita ispirandomi alla nonmenzogna, all’esercizio del parlare e dell’ascoltare nella vita quotidiana e nelle relazioni. Sono sinceramente interessata alla trasformazione dei rapporti, piuttosto che alla sconfitta delle persone che mi sono di ostacolo. Mi impegno nel recupero faticosissimo del respiro, della respirabilità degli affetti, della politica.
Un anno più tardi, incontrai Carla Lonzi. Ne avevo sentito parlare da due amiche, una mantovana e l’altra umbra. Una sua pagina mi era capitata fra le mani. Tuttavia è stato nel 2012 che mi sono immersa nelle sue opere, sbalordita dalla tempra di pensatrice che riesce a dire, a parlare di una vita in autonomia e fatta di relazioni non subìte, ma scelte. Scorreva davanti a me un’esistenza di donna che si scopre nel suo farsi, e osa dire di sé e delle altre. Qualcosa di inaudito e di inedito per me. Uscivo con sollievo dal monopolio maschile del pensiero, e dalla mia ignoranza.
Con queste persone a guidarmi, nella mia mente è sorta un’urgenza: sollecitare la necessità del superamento dell’economia basata sul petrolio, informare sulla necessità dell’esercizio della nonviolenza, far aprire gli occhi sulla necessità del riconoscimento del pensiero e dell’azione femminile. Così mi sono messa nell’impresa.
Nel 2013 ho scritto un articolo sulla relazione mancata e assente fra Carla Lonzi e Pier Paolo Pasolini, articolo che Luisa Muraro ha molto valorizzato, sorprendendomi. Poi l’8 novembre 2015 ho partecipato alla giornata sull’odio politico fra donne. Giornata che mi ha colpito e sono stata felice di aver ascoltato tante voci. In quell’occasione, come ora in queste righe, mi sono inoltrata per capire se nonviolenza e pensiero femminile avessero qualche chance di conoscersi e riconoscersi. Può darsi che questa ricerca interessi solo me. Oppure forse persone vive come Aldo Capitini e Alexander Langer (da me solo nominato l’8 novembre, e che andrebbe approfondito) entreranno nell’orizzonte di alcune/i di noi, che tesseranno nel presente una relazione, senza mancarla.