Laura Boldrini: «Declinare al femminile è importante»
Daniela Preziosi
7 Marzo 2015
Presidente Laura Boldrini, a nessuno verrebbe in testa di definire «il cantante» una donna che canta. Nella preghiera «Salve Regina», che risale al medioevo e nasce in latino prima di essere tradotta in italiano, si parla di Maria come «avvocata nostra». Lei come si spiega le ironie, gli imbarazzi, insomma perché tante storie quando lei chiede di essere definita «la presidente» della Camera?
È una bella domanda. C’è una forma di resistenza dovuta al non voler prendere atto della realtà, come se questa realtà non piacesse, o si ritenesse futile farci caso. Si ridicolizza, si dice che sono altre le cose importanti. Invece tutto si tiene, tutto è collegato: se a una donna che svolge un ruolo non viene riconosciuto il genere, la si mascolinizza. Le si dice di assumere un genere non suo per essere accettata in quel ruolo. È la stessa mentalità per cui è normale che a parità di lavoro le donne ricevano salari più bassi degli uomini, e che in tempi di crisi è meglio che lavori l’uomo anziché la donna. Ma se una donna non ha l’indipendenza economica, ha meno mezzi anche di fronte alla violenza domestica, perché ha più difficoltà a liberarsi dall’uomo violento. Ecco perché tutto si tiene.
Chi le dice che ci sono ’ben altri problemi’ dice anche che sulla lingua italiana lei sta facendo ‘una crociata’. Dica: sta facendo una crociata?
La mia non è una crociata. È un dovere. Mi voglio fare carico di dare alle donne il riconoscimento che meritano. Le donne nel nostro paese svolgono più di un ruolo: nella propria famiglia, in quella di origine, nella società, nel lavoro. Mi metto a disposizione di tutte: per fare in modo che siano più rispettate e abbiano più possibilità di essere riconosciute parte attiva della nostra società. Oggi (ieri, ndr) mi è piaciuto molto il discorso del presidente Mattarella che ha riconosciuto alle donne il ruolo centrale che meritano. A me non piace essere un’eccezione. Non mi stanno simpatiche le donne che arrivano a un ruolo di vertice e vogliono restare casi isolati, e non fanno nulla per rimuovere gli ostacoli che hanno incontrato sulla propria strada per favorire quella strada anche ad altre donne. Mi spendo affinché tante altre donne possano farlo, evidentemente quelle che meritano. Perché della penalizzazione delle donne paga il prezzo tutta la società. Quest’opinione è condivisa anche da Christine Lagarde (direttrice del Fondo monetario internazionare, ndr), che certo non può essere considerata una militante dei diritti delle donne, ma che ha parlato di «cospirazione ai danni delle donne» perché tagliate fuori dal mondo del lavoro. Un’esclusione che costa di media ai paesi il 15 per cento di Pil potenziale.
Ci sono ministre che si nominano al maschile, anche in questa legislatura. La sua collega Irene Pivetti, quando pronunciò il discorso di insediamento alla presidenza della Camera, disse: «Io sono un cittadino».
Ognuna si definisce come vuole, libere tutte di farlo. Ho mandato una lettera alle deputate e ai deputati e alla segretaria generale della Camera perché si abbia rispetto del genere nel declinare gli incarichi e i ruoli nelle aule e negli atti parlamentari. E le assicuro che molte deputate mi fanno presente che a loro non piace essere chiamate al maschile. Questa lettera interpreta anche la richiesta di molte di loro.
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(il Manifesto 7-3-2015)