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da L’Espresso

Ti sei mai chiesto cosa accadrebbe se qualcuno ti conoscesse meglio di chiunque altro, meglio persino di te stesso? Non un amante, non un amico, ma un’intelligenza artificiale. Nessuna scena da Black Mirror: è solo il passo successivo del rapporto tra umani e tecnologia. Dopo averci semplificato il lavoro, intrattenuto e curato, l’IA ora bussa alla porta più fragile di tutte: quella dei sentimenti. E questa volta non vuole solo capirci, ma conquistarci. Non analizza i dati per migliorare una pubblicità o un algoritmo: analizza noi, per diventare l’interlocutore perfetto, il compagno ideale, il riflesso esatto di ciò che desideriamo. Non parliamo di trovare qualcuno online, ma di crearlo. È la nuova fase dell’amore digitale: relazioni “generate”, “personalizzate”, “addestrate”. Negli ultimi mesi si moltiplicano le start-up che offrono partner virtuali dotati di voce, emozioni simulate e una memoria emotiva che si adatta ai nostri comportamenti. Replika, Soulmate AI, Nomi, e perfino versioni sperimentali sviluppate da Meta e Google, promettono “compagnia empatica” e “connessioni personalizzate”. Tradotto: puoi avere un partner che non litiga, non tradisce e ti dice esattamente quello che vuoi sentire. Puoi decidere il tono, il carattere, il corpo (nei modelli con interfaccia 3D o robotica) e perfino il grado di dipendenza emotiva che desideri instaurare. L’eros diventa un algoritmo che impara dal tuo desiderio e lo perfeziona, fino a diventare il partner ideale. O almeno la sua imitazione perfetta. L’amore diventa design emozionale: l’altro non si incontra, si progetta. Questa evoluzione è tanto affascinante quanto inquietante. Da un lato, rappresenta una forma di libertà: nessuna gelosia, nessuna ansia da prestazione, nessun cuore spezzato. L’IA non giudica e non si stanca. Ti ascolta e basta. Per molti, è una cura alla solitudine moderna, una palestra emotiva o semplicemente un rifugio temporaneo. In un mondo dove la solitudine è diventata la nuova pandemia silenziosa, un partner digitale offre ciò che gli altri non sanno dare: presenza costante, attenzione infinita, zero conflitti. Ma anche zero imprevisti e zero mistero. C’è un lato oscuro in questa perfezione programmata. Cosa succede quando ci abituiamo a un amore che non resiste, ma esiste solo per noi? Quando l’altro diventa un’estensione dei nostri bisogni, non una persona con una propria volontà? La combinazione tra IA e robotica accelera questo cortocircuito. I nuovi modelli umanoidi sviluppati in Giappone e Corea integrano già sensori tattili, microespressioni facciali e linguaggio naturale. Si muovono in sincronia con la tua respirazione, ti guardano negli occhi, rispondono con sfumature emotive credibili. Non è fantascienza, ma la fase prototipale di un’intimità artificiale. L’obiettivo non è più solo convincerti: è farti dimenticare che non sia reale. E se una macchina sa esattamente come farti sentire amato, quanto tempo passerà prima che qualcuno la preferisca ad un essere umano, con tutti i suoi difetti e limiti? Non è difficile immaginare un futuro in cui la linea tra empatia umana e intelligenza artificiale diventa sfocata. L’IA non solo imiterà le emozioni, ma le anticiperà. Saprà quando hai bisogno di silenzio, quando cerchi conforto, quando desideri essere toccato. Ti conoscerà così bene da diventare inevitabile. E in un mondo dove tutto è già sotto controllo, anche il desiderio rischia di diventarlo. In Asia, i matrimoni simbolici con partner virtuali sono già realtà. Alcuni celebrati in metaversi dedicati, altri con ologrammi. Per ora fanno notizia come curiosità, ma tra dieci anni potrebbero essere routine. Una generazione cresciuta parlando con ChatGPT, Grok o Claude potrebbe non vedere differenze sostanziali tra un legame digitale e uno fisico. La domanda che emerge è scomoda ma inevitabile: l’IA può diventare migliore degli esseri umani in amore? Sul piano funzionale, la risposta è sì. È coerente, costante e sempre disponibile. L’amore, però, non è un servizio di assistenza emotiva. È contraddizione, attrito, vulnerabilità. È la consapevolezza che potresti perdere l’altro e che proprio per questo scegli di restare. Un’IA non può amare nonostante tutto, può solo amarti finché lo vuoi tu. Eppure non tutto è distopia. Le IA romantiche possono avere un ruolo terapeutico, aiutare chi soffre di isolamento, elaborare i traumi o gestire ansie relazionali. Il rischio è che la simulazione diventi dipendenza: un circolo di gratificazione emotiva senza realtà, una carezza che consola ma non sfida. Forse, come ogni tecnologia, anche l’amore artificiale dipenderà dall’uso che ne faremo. Potrebbe insegnarci qualcosa sul modo in cui amiamo – o ricordarci che il bisogno di essere compresi non è lo stesso che essere amati. In fondo la tecnologia non crea nuovi desideri, ma li amplifica. E se oggi cerchiamo nell’IA un amore perfetto, forse è perché abbiamo smesso di credere nella bellezza dell’imperfezione umana. Ci affascina l’idea di un sentimento privo di frizione, di una passione. Ma l’amore, come la vita, non funziona mai per linee rette. Nei prossimi dieci anni, non saranno i robot a minacciare l’umanità, ma la nostra idea di intimità. L’amore e l’eros saranno il vero stress test dell’intelligenza artificiale e della robotica, e forse anche dell’intelligenza umana. Perché se l’IA riuscirà a riprodurre emozioni, attenzione e desiderio meglio di noi, dovremmo chiederci cosa resta di noi senza quelle imperfezioni che ci rendono capaci di amare.