La ricerca antica di uno sguardo materno
Maria Castiglioni
17 Marzo 2022
Il tema dell’esposizione del corpo femminile sui social è ora molto presente nella vita delle donne, soprattutto giovani (ma non solo), che scelgono di rappresentarsi anche in questa modalità virtuale. Per la mia generazione cresciuta negli anni ’60/70 questa dimensione era inesistente, ma ciononostante la tematica dello sguardo dell’altro era ugualmente molto presente. Ora come allora, infatti, la domanda che ritorna è: le donne si espongono solo allo sguardo maschile oppure per loro conta anche, e molto, quello femminile?
Il primo sguardo che si è posato su di noi è stato quello materno: su questo abbiamo acquisito la nostra immagine corporea con i suoi limiti e le sue possibilità, le sue bellezze e il suo senso. Lo sguardo materno ci ha accompagnato, a volte rincorso, a volte frenato: è sicuramente stato la prima fonte di messa in valore e in giudizio del nostro corpo, del suo aspetto, del suo modo di muoversi e comportarsi. Leggo in questo accompagnamento dello sguardo la costante preoccupazione della madre che la propria creatura non venga svalorizzata o sminuita, bensì “gestita” al meglio, così come un artista può essere in ansia rispetto alla propria opera.
Nel modo in cui le donne, di ogni età, si presentano al mondo e cercano l’approvazione dell’altra donna leggo sottotraccia la ricerca antica di uno sguardo materno benevolo o, al contrario, la sua provocazione, nello svincolo da immagini femminili obsolete. Così è stato per la mia generazione, che ha indossato i pantaloni, sfidando la riprovazione delle madri.
Si tratta in ogni caso, come ricorda Milagros Rivera, di «ornare e onorare l’opera materna», conservandone, nell’esporsi al mondo, l’intento originario, creativo e sorgivo, valorizzando le potenzialità e le bellezze del nostro corpo, in qualunque fase della nostra vita e dei nostri umori, nella gioventù come in vecchiaia, nella gioia come nella depressione.
L’esposizione del proprio corpo sui social, e la misura che ne ritorna sotto forma di feedback, si riverbera a livello di vissuti interni in modo molto profondo. Al riguardo vorrei riportare il vissuto di una mia giovane paziente che ha incominciato a “postare” brevissimi filmati su Telegram/ Instagram dove lei è la protagonista.
Si tratta di un pubblico virtuale (lei stessa afferma che non vorrebbe assolutamente parenti che la vedessero), perlopiù sconosciuto, ma non per questo meno significativo. Anzi! Grandi sono la sua ansia e i suoi sbalzi d’umore in relazione ai “mi piace” e ai commenti che riceve. Si chiede sempre: andrà virale o no? E passa il tempo a guardare i profili delle altre, a competere, a invidiarne il successo. Un massimo di esibizione a fronte di un massimo di estraneità, col desiderio di un riconoscimento, mai garantito, a cui è appeso il proprio valore pubblico, in una continua oscillazione tra gratificazione e frustrazione.
Pur essendo la scena totalmente virtuale e smaterializzata, i suoi effetti sono invece molto concreti e tangibili, e la vita intima diventa una sorta di “bene comune”, di cui si vorrebbe però, contradditoriamente, avere il controllo delle modalità di uso e di giudizio.
E, passando dal corpo esposto delle nuove vetrine virtuali al corpo malato di questi nuovi scenari pandemici, vorrei fare un’ultima considerazione. Abbiamo vissuto, e non è ancora finita, una inedita percezione del nostro corpo, diventato minacciato e minaccioso, impaurito e zittito, oggettivato e patologico in quanto potenziale ricettacolo e/o trasmettitore di infezioni. Una repentina reductio ad unum della sua complessità e del nostro vissuto, quasi che queste due dimensioni (complessità e vissuto) non esistessero o, comunque, fossero da accantonare in nome della sicurezza e
dell’emergenza sanitaria.
Per me è impossibile condividere questa visione emergenziale e securitaria, che azzera un pensiero che tuttora si fonda sul partire da sé e la presa di coscienza che il corpo femminile è stato il primo terreno di scontro col Patriarcato, da cui è partito tutto il cammino della libertà femminile.