La prova del presente, le parole per dirlo
Michela Spera
2 Aprile 2020
In queste settimane le donne sono impegnate in una emergenza che non ha precedenti, una emergenza di cui non si riescono ad affrontare le cause se non cambiando stili di vita fino a quando la ricerca scientifica non avrà trovato rimedi, nella quale è necessaria una fatica e una consapevolezza diffusa perché la vita di tutti possa continuare. Protagoniste di questo straordinario impegno, le seguiamo con trepidazione e le vorremmo sostenere una a una nella loro impresa mentre cerchiamo di vivere la normalità in una situazione che di normale non ha proprio nulla.
Una notorietà non cercata, quella delle tre ricercatrici dello Spallanzani che, prime, hanno isolato il nuovo coronavirus. Le abbiamo conosciute nelle interviste televisive, imbarazzate e un po’ intimorite dalla telecamera, autentiche, sicure della loro scoperta, orgogliose del contributo dato alla corsa contro tempo per sconfiggere il virus. Poi abbiamo incontrato le ricercatrici del Sacco di Milano e ancora, in un susseguirsi di volti femminili, abbiamo scoperto le eccellenze del mondo medico, scientifico, culturale ed economico. In questa bolla, di giorni e ore trascorse in isolamento e distanziamento sociale, nella emergenza sanitaria, sociale ed economica, si è imposta la capacità e la forza delle donne. Mediche, infermiere e ausiliarie del sistema sanitario, giornaliste e conduttrici della televisione, insegnanti delle scuole di ogni ordine e grado, delegate e sindacaliste nei luoghi di lavoro, detenute che producono mascherine in e per il carcere. Impegnate a garantire “tutto il lavoro necessario per vivere” dovendo, nel contempo e per necessità, ripensare radicalmente cosa è necessario oggi a garantire salute, informazione, studio, lavoro. Tra le mura di una casa con il telefono e il computer, in un ospedale indossando mascherina e guanti, nelle strade vuote delle nostre città davanti a una telecamera con un microfono in mano. Sono invece quasi solo uomini quelli che parlano in queste settimane. In una situazione di paura e di incertezza diffusa e pur condividendo tante scelte difficili e riconoscendo l’importanza dei risultati raggiunti, penso che non sempre è stato deciso per il meglio. La paura del contagio, quella di perdere il governo della situazione, di un’economia che si ferma, anche la paura di perdere il consenso hanno condizionato il dibattito e le decisioni politiche e qualcuno ha chiesto misure straordinarie per garantire l’ordine pubblico. Questa paura però, nonostante l’emergenza, non si respira nell’agire delle donne. In questa situazione non abbiamo parole adeguate e trovare queste parole non è facile. Io queste parole le ho trovate in Lia Cigarini: “Mi azzardo a dire che le sorti della civiltà sono nelle mani delle donne”. Per due ragioni, dice, e la prima di queste ragioni in queste settimane è proprio evidente: le donne “hanno un’importanza, un peso che non hanno mai avuto prima nella storia umana”. Noi, però, oggi viviamo una situazione dove, oltre a impegnare la nostra capacità e la nostra forza per garantire una vita normale in una situazione anormale, dobbiamo fare i conti con la paura; la nostra, quella degli altri, quella di chi governa e fa scelte politiche. Tornano allora le parole di Lia Cigarini, “chi sta dentro la paura non sa che è possibile fare e agire in modo diverso”, e qui troviamo la seconda ragione che consegna le sorti della civiltà nelle nostre mani perché, dice ancora Lia, “le pratiche (politiche)inventate dalle donne, autocoscienza, inconscio, affidamento, partire da sé e relazioni sono le uniche adeguate ad affrontare, ad esempio, la paura”. La prova del presente.