La pittura è femminile
Claudia Corso Marcucci
10 Novembre 2024
L’uomo ha sempre dipinto. Dalla preistoria fino alla contemporaneità. E la donna?
La pittura è un’arte che si è sempre praticata con varie tecniche, che si sono modificate a seconda del contesto storico e culturale.
L’importanza della rappresentazione prospettica ribalta la concezione gerarchica di grandezza dei corpi, scelta in base al ruolo sociale, preferendo il rispetto naturalistico – secondo l’occhio umano – delle proporzioni. La prospettiva pone una serie di regole che, insieme all’invenzione di Gutenberg del libro stampato, rivoluzionano anche il modo di pensare dell’uomo. Si scrivono trattati, si iniziano ad usare i chiaroscuri e a studiare l’esposizione della luce, si ricerca una volumetria e allo stesso tempo la realtà inizia a diventare più meccanica, raggiungendo l’apice con la teorizzazione della fisica classica, in un progresso ideale che sembra svilupparsi dal Rinascimento fino all’800, prima della scossa dell’impressionismo. Scossa, non a caso, poiché coincide, l’impressionismo, con la rivoluzione elettromagnetica: la prospettiva e la meccanica si disperdono nell’etere indefinito della forza dei fotoni e dei campi magnetici. Dall’impressionismo in poi, in particolare da Cézanne, la pittura non è più mimesis, imitazione della natura, ma questa viene invece interpretata, fino ad arrivare alla vera e propria arte concettuale.
I più grandi pittori conosciuti sono tutti uomini. I più grandi trattati di pittura sono scritti dagli uomini. Leonardo da Vinci, Gino Piva, Cennino Cennini, Leon Battista Alberti e le Vite del Vasari sono solo alcuni esempi dei classici della teoria pittorica e della storia della pittura.
Marta Lonzi in È già politica scrive che la cosiddetta arte femminista è un’illusione, poiché si calano motivi extra-estetici «in un sistema che segue norme artistiche più o meno aggiornate», cioè il linguaggio non è “originale” ma “conosciuto”, non è “autentico” ma “corrente”. È necessario per lei che l’autenticità si dia un proprio linguaggio.
Conclude dicendo che «l’arte femminista quindi è un problema di femminismo e non di arte».
È possibile quindi essere autentiche in un linguaggio prettamente maschile, storicamente maschile, poco aggiornato come è la pittura?
Eppure la pittura, come la scrittura, linguaggio scelto da Rivolta Femminile, può essere un linguaggio autentico per alcune donne che l’hanno scelto come mezzo d’espressione d’elezione.
C’è una storia che parte dalle emancipate e arriva fino alle donne che hanno sperimentato con la pittura in un secolo, il Novecento, che gliel’ha permesso.
Partiamo dalle cosiddette emancipate. Cosa intendo per emancipate? Quelle donne che sono rimaste effettivamente nella storia dell’arte, quelle che sono diventate grandi artiste. Un esempio tra tutte è Artemisia Gentileschi, altre potrebbero essere Élisabeth Vigée Le Brun e Angelika Kauffmann, due ritrattiste nate nella metà del 1700.
Seppur si disquisisca molto della pittura delle citate, si nota che esse sono emancipate in quanto ormai pienamente accettate nella storia dell’arte maschile. Si ricerca infatti in queste uno «stile peculiare e riconoscibile, diverso da quello maschile sia a livello formale che espressivo, e in grado di trasmettere il carattere unico della condizione e dell’esperienza delle donne», per dirlo con le parole di Linda Nochlin, ma ci si rende conto che lo stile delle artiste in realtà non evoca niente di “femminile” o “femminista”, ma è perfettamente integrato con quello degli uomini del tempo. Le artiste, cioè, hanno molto più in comune con i colleghi maschi della loro stessa epoca e corrente di pensiero che non tra di loro.
Questo è perfettamente normale in un mondo a misura maschile, e anzi molto poco normale che in epoche e culture decisamente patriarcali alcune donne ce l’abbiano fatta a spiccare e affermarsi come artiste. Certo non c’è l’equivalente di un Michelangelo o di un Caravaggio (seppur la Gentileschi si avvicini, è pur vero che il Caravaggio è il Caravaggio e non a caso lei è una caravaggesca, e non viceversa), ma se così non fosse non ci sarebbe probabilmente bisogno del femminismo, perché le cose andrebbero bene così come stanno.
E via così fino al Novecento, passando per l’impressionista Berthe Morisot, fino alle futuriste come Barbara e Benedetta Cappa e alla dadaista Sophie Taeuber-Arp.
Si inizia a parlare di arte specificatamente femminista a fine degli anni ’60, quando appunto esplode il femminismo. Le artiste cercano così una nuova storia da raccontare, la propria storia, cercando di influenzare gli atteggiamenti culturali, creare spazi e possibilità nel mondo dell’arte anche per le donne. L’arte femminista è tipicamente ricollegata ai nuovi media o a materiali usati solitamente nell’universo femminile come le stoffe e i ricami, ma la maggior parte delle pratiche artistiche femministe si rifanno alla performance e alla body art. La performance è tutt’ora molto usata per la sua caratteristica di fisicità che permette di comunicare in maniera potente e diretta. Un altro medium molto usato è stato la fotografia, assieme alla videoarte.
E la pittura?
C’è un caso esemplare, secondo me, dove la pittura femminile e proto-femminista inizia a distinguersi e a distaccarsi da quella dei colleghi maschi: è il caso delle surrealiste.
Le pittrici surrealiste hanno esplorato temi affascinanti e complessi attraverso le loro opere d’arte. Nei dipinti di artiste come Frida Kahlo, Leonora Carrington e Remedios Varo si trovano riflessioni profonde sulla psiche umana, il sogno e la realtà, l’identità e la condizione femminile.
Frida Kahlo ha utilizzato il surrealismo per esplorare la sua sofferenza personale e le esperienze di vita, mescolando elementi autobiografici con la mitologia e il simbolismo. Leonora Carrington, d’altra parte, si è immersa nel mondo dell’inconscio, creando opere oniriche che sfidano la logica e celebrano la libertà dell’immaginazione. Remedios Varo ha intrecciato scienza e magia, esplorando il potere della creatività e dell’auto-trascendenza. Il legame con la stregoneria è molto profondo, spesso rappresentante il proprio alter-ego, così come la figura del gatto e altri animali, inseriti in un discorso che possiamo definire proto-antispecista ed ecofemminista, evidente nelle opere di Varo ma anche di Leonor Fini e Lise Deharme.
Questi temi non sono solo meraviglie estetiche, ma spingono anche i limiti della percezione e invitano a una riflessione più profonda sulla nostra esistenza.
Spesso usano l’autoritratto, a differenza dei surrealisti che ri-costruiscono la figura femminile in maniere stereotipate e influenzate dalle teorie freudiane, nelle immagini si autorappresentano e si moltiplicano – non solo pittoricamente, spesso anche nei numerosi scritti autobiografici.
Il corpo è l’elemento centrale della poetica delle surrealiste, in cui le figure femminili sembrano consapevoli in mezzo alle creature magiche e personaggi leggendari. Scivolano tra fecondità e sterilità, caos ed isolamento, interiorità ed esteriorità. C’è un’implosione della riflessione. Non c’è uno smembramento del corpo come nelle opere dei surrealisti, ma l’integrità di esso rappresenta anche l’integrità delle artiste. La differenza sostanziale, per dirla con le parole di Katharine Conley, è l’immagine maschile della “donna automatica” e l’immagine femminile della “donna autonoma”
La differenza è anche formale: i surrealisti si rifanno alla pittura rinascimentale. Questa, tramite le parole di numerosi studiosi come il Leon Battista Alberti, insieme al nuovo umanesimo riscoperto, pone la donna in una condizione di inferiorità ben diversa da quella del Medioevo. Inizia nel Rinascimento, riprendendo la classicità, la patrilinearità giustificata dalla teoria per il quale la donna è solo un utero, un contenitore, mentre è il padre che dà l’anima e di conseguenza il cognome ai propri figli e alle proprie figlie.
Non è un caso secondo me che le surrealiste si rifacciano invece a uno stile pre-rinascimentale, quasi gotico, riecheggiando non solo tempi di streghe, ma ponendosi in opposizione a una classicità maschilista e patriarcale.
Ma veniamo al giorno d’oggi: ho scelto tre artiste che, benché utilizzino un mezzo tradizionale come la pittura, hanno uno sguardo a mio parere femminile sul mondo, hanno cioè attuato un tabula rasa della concezione maschile della cultura.
Prudence Flint è una pittrice di Melbourne. Ritrae solo donne, spesso in interni di case, luoghi soffusi. Non c’è una narrazione specifica ma sono pieni di uno sguardo interiore sulla propria femminilità, non intesa come genere ma come specifica condizione dell’essere donna. Le figure sono spesso solitarie, anche se in coppia sembrano assorte nei propri pensieri, circondate da oggetti di uso quotidiano che fungono da metafore per il mondo interiore. Sembra voler ribaltare il tipico stilema della rappresentazione delle donne nella storia dell’arte, seppur tecnicamente ricordi le imponenti figure del ritorno all’ordine degli anni ’20 del ’900.
Emma Talbot è un’artista inglese. Spesso dipinge su seta, usando un materiale che richiama le vesti femminili, la pittrice si rifà alla teoria dell’écriture féminine degli anni ’70 della francese Hélène Cixous. Segnati dall’influenza del pensiero post-antropocentrico e postumano, i dipinti su larga scala di Talbot incorporano figurazioni semplificate, motivi mitologici, modelli ritmici, colori vivaci e testi calligrafici per esprimere aspetti delle esperienze personali e interiori dell’autrice, mentre si estendono ad argomenti che vanno dalla tecnologia, natura, urbanistica ed ecopolitica alla pandemia e all’invecchiamento. Le scritte che spesso inserisce nei suoi dipinti cercano una relazione con lo spettatore o la spettatrice invitandola a riflettere sul significato delle sue opere.
L’ultima artista che chiamo in causa è la giovanissima Laetitia Ky, più famosa per le fotografie dove ritrae le sue acconciature, essendo ivoriana i capelli afro hanno una forte connotazione simbolica, ma anche pittrice. Non nasconde il suo essere femminista e con la sua pittura naïf esprime forti messaggi che riguardano il corpo delle donne, come le mestruazioni, i peli, l’anzianità e la sessualità. Non usa filtri nei suoi dipinti ed elementi come sangue, sesso e parti del corpo sono sempre molto espliciti.
Oggi la nuova ondata pop di femminismo è un’arma a doppio taglio: può essere la commercializzazione e la liberalizzazione delle istanze femministe, ma può aiutarci a scoprire anche modi di vivere – e di dipingere – femminili e femministi.