Condividi

Sono arrivata a Trieste in una domenica di gennaio, accolta da una pioggia insistente e una nebbia densa, insieme a Sofia e Giorgia, le mie compagne e amiche in questa settimana di volontariato con ResQ – People Saving People, presso il Centro Diurno di via Udine 19, che chi lo frequenta chiama Chai Khana. Dopo un passaggio dei compiti con le volontarie della settimana precedente, abbiamo conosciuto i nostri coinquilini e ci siamo un po’ riposate e ambientate, prima di immergerci totalmente nelle attività quotidiane del Centro: una realtà inizialmente caotica, piena di regole non scritte, di volti nuovi, di dinamiche da imparare. Ci sentivamo spaesate, soprattutto nel gestire gli aspetti pratici come la lavanderia. Ma presto ci siamo rese conto che l’accoglienza non stava solo nei compiti da svolgere, ma nei sorrisi, negli sguardi, nella disponibilità silenziosa di chi, giorno dopo giorno, si presentava lì non per ricevere soltanto, ma anche per condividere.

Ogni mattina al Centro trovavamo persone che aspettavano all’ingresso, infreddolite e con zaini che spesso non si toglievano mai dalle spalle. Alcuni volti diventavano familiari, altri arrivavano per la prima volta.

Col tempo, ho imparato che bastava poco per rompere il ghiaccio: una partita a calciobalilla, una battuta mal tradotta e un tè, o chai, condiviso con qualche biscotto. I ragazzi ci hanno accolte con gentilezza e ironia, rendendoci parte del gruppo ben prima che ci rendessimo conto di esserlo.

La sera, in piazza con Linea d’Ombra, ho scoperto un altro lato di Trieste. Lì ho ritrovato Alì, che avevo già conosciuto al Centro, con il suo sorriso tenace e la determinazione di chi studia italiano da solo, perché le lezioni che segue lì non gli bastano. E poi Udinn, partito da solo dal Pakistan, che racconta la propria fede come unica compagna di viaggio. Tra una distribuzione di pasti e un gesto di cura spontaneo, ho capito che in quella piazza non c’era solo bisogno: c’era dignità, solidarietà, fratellanza. I piatti passavano di mano in mano e ognuno in modo naturale sapeva esattamente cosa fare. In quell’esatto momento ho smesso di sentirmi semplicemente una volontaria: ero lì insieme a loro, a fare la mia parte come chiunque altro.

Ricordo Alì chiedermi: «Ma tu sai about noi?» così come ricordo la mia difficoltà nel trovare le parole per rispondere a quella domanda. E forse era proprio quello il punto: non si trattava di capire con la mente, ma di sentire. In quel silenzio, mentre mi sorrideva senza insistere, ho realizzato che nessuna spiegazione sarebbe bastata. Quello che stavo imparando non si poteva ancora dire, ma solo vivere.

Da quel momento, ogni giornata è diventata una scoperta. A momenti di leggerezza e divertimento come le partite a calcetto e le canzoni ascoltate insieme su YouTube se ne alternavano altri di stanchezza fisica e mentale, in cui il pensiero che molti di quei ragazzi dormissero per strada diventava difficile da sopportare. Vedere la polizia entrare nel Centro per segnalare un possibile minore, assistere ai trasferimenti improvvisi verso campi temporanei, distribuire giacche troppo grandi a chi aveva solo freddo: tutto questo lasciava, in me, un segno.

Eppure, nonostante la fatica, mi sono scoperta instancabile. Mi sorprendevo di me stessa, della voglia di esserci ancora, di scendere ancora una volta in piazza e così è stato anche l’ultima sera. Era gennaio, faceva freddo davvero, ma lì, tra balli, canti, saluti e foto tutti insieme, quel freddo sembrava sparire. La piazza non somigliava nemmeno a un luogo esterno, all’aperto, ma era piuttosto un rifugio capace di scaldare più di qualsiasi coperta.

La mia vita a Milano poi è ripresa, con le sue corse e i suoi impegni, e a volte i ricordi sembrano affievolirsi. Ma quello che ho vissuto a Trieste continua a riemergere, nei gesti, nei pensieri, nei volti che mi porto dentro. E in effetti, alla fine, in piazza ci sono tornata davvero, ogni volta che nei week end mi è stato possibile.

Io pensavo di essere lì per accogliere, ma ho scoperto con profonda felicità ed emozione che anch’io sono stata accolta.

(*)Marta Troiano ha venticinque anni, vive a Milano ed è prossima alla laurea magistrale in Migration Studies presso l’Università Statale. Ha seguito fin dalla sua creazione la Onlus ResQ – People Saving People (attiva nelle operazioni di Ricerca e Salvataggio nel Mediterraneo Centrale e in altri progetti di solidarietà con rifugiate/i e migranti), partecipando alle iniziative organizzate in città e poi come volontaria a Trieste.