«L’Africa vista da te (o da voi due) mi ha sbalordita, come rivedere una persona che conoscevo stanca e malata, rivederla raggiante, in forze, nuova, stupefacente», ha scritto in una mail Luisa Muraro. Da un singolo scatto mi aspetto abbastanza poco, mi aspetto molto da una serie, da un progetto che vuole approfondimento, studio, dedizione e anche coerenza con gli altri progetti ai quali ti sei dedicata. Certo, il singolo scatto deve essere “buono” (nel senso ricordato da Berengo Gardin (3) perché più è buono, più ha senso, più è pulito, più si intreccia e risuona con le altre immagini (di qui un grande lavoro di selezione, ri-pulitura, essenzialità)».
(1) «Effetto Unheimlich, per usare un termine di Freud, sul bordo dell’angoscia di una distanza tanto più invalicabile quanto più ti si avvicina. L’arte di questa soglia (l’arte dell’ospitalità) appartiene a chi, lui o lei, riesce a entrare in casa tua senza che tu abbia preparato la visita; l’ospite è quello che sa accettare l’arrivo. Un’arte e una passività entrambe molto difficili, perché giocano di fioretto tra la vita e la morte».
Pier Aldo Rovatti, in un testo inedito (scritto nel 1997) per una mia fotografia (1968)
(2) «Un’immagine senza immaginazione è semplicemente un’immagine su cui non si è passato abbastanza tempo a lavorare. Poiché l’immaginazione è lavoro; è quel tempo di lavoro delle immagini che agiscono senza posa le une sulle altre per collusione o per fusione, per frattura o per metamorfosi… Il tutto agendo sulla nostra attività di sapere e di pensiero. Per sapere, bisogna dunque davvero immaginare: la tavola di lavoro speculativa si accompagna sempre a una tavola di montaggio immaginativa».
Georges Didi-Huberman, Immagini malgrado tutto
(3) «Avevo un rapporto bellissimo con Ugo. Lui era molto generoso, di consigli e di affetto. Ci trovavamo a casa sua con Ferdinando Scianna, entrambi giovani e con poca esperienza, ma avidi di ascoltare i suoi racconti e i suoi consigli. Ricordo una volta in cui Mulas mi mostrava le foto e io, ammirato ed esaltato, non facevo che ripetere: “Bellissimo! Bellissima! Stupenda!”. A un certo punto, Ugo mi ha minacciato che se non l’avessi finita di dire che le sue foto erano belle, mi avrebbe cacciato di casa. Io, imbarazzatissimo, risposi che non sapevo cosa avrei potuto dire e lui “devi dire che è una buona fotografia, non una bella fotografia. C’è una differenza enorme. Le belle fotografie sono esteticamente magnifiche ma non dicono niente. Mentre una buona fotografia ha contenuti eccezionali e in questo sta il suo valore”».
Gianni Berengo Gardin – Inediti (o quasi)