La mediazione forte dell’arte
Betti Briano
31 Ottobre 2017
Giordana Masotto nel mettere in dubbio che l’inconscio sia una risorsa spendibile al di là dell’individualità, in grado cioè di investire la dimensione collettiva, ha dato in certo senso voce al non detto che credo abbia abitato la mente di molte lungo qualche decennio; l’affermazione poi che la stessa relazione di affidamento, ereditata dalla pratica dell’inconscio, pur consentendo di stare con maggior agio nei rapporti sociali non abbia di per sé efficacia nel trasformarli ha dato espressione ai dubbi che personalmente rimugino da qualche tempo.
Ho associato l’idea dell’inconscio a una pratica politica fondativa ma datata fino a che non molto tempo fa grazie all’interesse di Eredibibliotecadonne (il gruppo di Savona di cui faccio parte) per la creatività femminile ho avvertito con stupore la sua viva e agente presenza, non solo come parrebbe ovvio nelle opere, ma proprio nella natura delle relazioni che si andavano affermando con le artiste. Confesso di aver all’inizio stentato a capacitarmi della facilità con la quale la comunicazione con loro fosse fluente e profonda a confronto della chiusura e della superficialità che molto spesso avevo incontrato nei rapporti con donne impegnate nella politica come nella società civile; poco dopo ho avuto anche modo di constatare l’apertura d’animo e di mente con le quali le artiste accoglievano, fino a far proprie (parlando di sé e dei propri lavori) in più occasioni, riflessioni e commenti espressi dalle Eredi che peraltro non facevano certo mistero di guardare alla loro arte con ‘occhio’ politico e in assenza di un background professionale specifico; d’altronde l’immediatezza con la quale le opere rivelavano ad uno sguardo empatico piuttosto che critico i ‘segni femminili’ della loro creatività trovava riscontro nel piacere col quale esse riconoscevano in tali segni manifestazioni del proprio intimo prima impensate, se vogliamo tracce dell’inconscio non elaborate.
Mi pare che la natura delle relazioni duali originate dalle esperienze artistiche condivise che ho potuto osservare possa essere descritta sinteticamente in un doppio movimento: dalla parte delle Eredi dall’impulso di un desiderio, sino ad allora inespresso ma non meno ‘politico’, di trovare in altri linguaggi risposte a verità primarie difficilmente mediabili dalla parola circolante nel contesto dato; dal lato delle artiste da un sentire che può essere interpretato come un bisogno di autorizzazione femminile forse anche ‘materna’ rimasto insoddisfatto a causa di processi formativi e di percorsi professionali avvenuti in ambienti a prevalenza maschile.
Considerando poi che le relazioni nate a causa dell’interesse per l’arte hanno a loro volta dato vita a una rete di rapporti che ha configurato quella comunità allargata ruotante intorno a Eredibibliotecadonne che era stata inutilmente perseguita per diversi anni, sarebbe legittimo pensare di aver fatto centro, senonché risulta lampante che la chiave del successo è anzitutto ascrivibile alla centralità dell’arte e solo secondariamente alla qualità delle dinamiche relazionali in campo. Di qui l’affacciarsi del dubbio che il guadagno dell’affidarsi a un’altra donna per dare corso a un progetto sia in buona parte determinato dalla natura del progetto e dalla visione che lo sottende mentre la consistenza del legame tra donne ne costituisce la condizione e lo sfondo; diversamente non troverebbe spiegazione l’insuccesso delle molte precedenti pratiche sperimentate, che avevano comunque preso avvio da un forte desiderio di dare visibilità e proiezione sociale a relazioni vere e tuttora esistenti.
Sulla base delle pratiche recenti mi pare infatti di poter sostenere che mentre la ‘forma’ relazionale dell’affidamento, proprio in quanto affonda le sue radici nell’inconscio, risulta fondante del fare società delle donne, la possibilità che questo si traduca in trasformazione dell’esistente pare determinata dal terzo fattore che alimenta ed insieme orienta il legame, il comune oggetto del desiderio; il grado di efficacia politica della relazione dipenderebbe quindi da ciò che intercorre tra i soggetti, da quel tra-mite che ne è veicolo ma anche causa e finalità.