La mediazione della relazione materna
Lia Cigarini
25 Aprile 2021
Introduzione alla redazione aperta di Via Dogana 3 “La politica delle donne è politica“, 18 aprile 2021
A differenza dell’amica di Foscolo caduta nobilmente da cavallo io sono caduta a causa di un marciapiede dissestato di Milano. Spero di essere rimasta lucida e di poter contribuire alla discussione di oggi. Partirò con tre citazioni di passaggi che sono a mio parere fondamentali nella storia della politica della differenza.
Il primo è di Carla Lonzi in Sputiamo su Hegel (1970): “la differenza della donna sono millenni di assenza dalla storia. Approfittiamo della differenza: una volta riuscito l’inserimento della donna chi può dire quanti millenni occorrerebbero per scuotere questo nuovo giogo?”
Il secondo è un’affermazione del gruppo del Martedì della Camera del Lavoro di Brescia in un testo pubblicato nel Sottosopra intitolato Filo di felicità (1989). Cito: “troviamo difficile analizzare come nasca effettivamente la nostra forza. La sua fonte è femminile, questo è sicuro ma è generico, oltre che oramai risaputo. Noi non abbiamo rivendicazioni o richieste da avanzare nei confronti del sindacato. Noi vogliamo essere il sindacato di donne e uomini, il sindacato che tiene presente la differenza sessuale a tutti i livelli. Se si accetta di ridurre la differenza sessuale a un semplice calcolo matematico, a un riequilibrio di presenza, si indebolisce la possibilità di mantenere aperto un conflitto che è politico”.
Il terzo, infine, è contenuto nel primo numero della seconda serie di Via Dogana cartaceo (1991) con il titolo La politica è la politica delle donne. Cito: “ora ci muove una nuova scommessa: mettere fine al dualismo per cui la politica delle donne sarebbe una politica accanto a un’altra, detta maschile o neutra, e dare luogo a una vera politica della differenza sessuale”.
Ci sono più modi per intenderla. È sicuramente sbagliato il modo della spartizione del condominio accanto agli uomini, alle loro condizioni e cioè all’inserimento di cui parlava Carla Lonzi.
Dove è lo sbaglio? Noi stesse abbiamo detto: i sessi sono due, il mondo è uno. L’errore forse è stato nella teorizzazione della parzialità. È stato giusto avanzare l’idea di parzialità per criticare l’universalismo maschile che cancellava, con la differenza sessuale, l’esistenza stessa delle donne. Ma poi questo concetto è stato applicato all’essere donna e alla politica delle donne presentandola come qualcosa di parziale. E questo è sbagliato.
Per concludere: la politica della differenza sessuale non è quella che pensa e organizza il reciproco limitarsi di donne e uomini, ma quella che pensa e organizza liberamente la realtà sociale in cui ci sono donne e uomini.
Si è parlato molto in questi ultimi anni, direi più intensamente a partire dalla crisi del 2008, della morte e del lutto della politica.
Io vorrei sottolineare con forza che la politica in crisi è quella maschile. Dire questo non solo libera lo sguardo sulla politica che è quella delle donne, ma anche sull’insufficienza della risposta che hanno dato gli uomini. Che non hanno saputo partecipare al conflitto tra i sessi con la lucidità che era divenuta indispensabile. La stragrande maggioranza si è chiusa in un narcisismo sempre più sfrenato. È da lì, dagli anni ’70, che la politica maschile ha cominciato a disgregarsi e a perdere la lingua ricca della politica che produceva cultura rendendo così più colti tutti quelli che partecipavano alla lotta politica. Mentre sottolineo la ricchezza della lingua della politica della differenza che dall’inizio degli anni ’70 ha prodotto narrativa femminile dalla quale ha preso poi suggestioni e nutrimento così come dalla relazione con artiste, storiche, scienziate, insomma un nutrimento reciproco.
Abbiamo guadagnato con la pratica politica quello che andavamo creando man mano, ad esempio i luoghi delle donne, eccetera, e abbiamo fatto anche guadagni teorici. Tre esempi: il primo riguarda la relazione tra soggetto e oggetto, si è capito che la loro separazione è artificiosa e che fissare gli obiettivi prima di essersi messe alla prova è ingannevole. Secondo, abbiamo capito anche che il desiderio nel fondo non ha un oggetto. Il desiderio è l’essenza più vitale dell’essere umano. Il terzo esempio riguarda le leggi. Si crede spesso erroneamente di risolvere problemi della vita soggettiva e sessuale con una legge. In questa materia la legge non fa presa: il diritto non si invera. Anzi si fa confusione. Questo sapere ci ha suggerito un’idea di fondo: non si può omogeneizzare le persone con leggi uguali per tutti. Questo suona come un paradosso, è in realtà un tenere conto della singolarità personale (non dico di più per motivi di necessaria brevità).
Solo pochissimi uomini si sono confrontati con il pensiero e la pratica politica delle donne. Penso al Gruppo Identità e differenza (di Spinea) messo in piedi da Adriana Sbrogiò che per venti anni ha fatto degli incontri misti a Asolo e Torriglia. Poi il Gruppo di Pinerolo (Torino) e quello di Viareggio e infine Maschile Plurale.
Faccio un esempio attualissimo di sordità totale di alcuni uomini rispetto alla politica della differenza: Enrico Letta, segretario del PD, per risolvere il problema che il suo partito non aveva indicato delle donne per le cariche di ministro, ha dichiarato che avrebbe dato più spazio alle donne indicandone una per la carica di presidente del gruppo parlamentare e altre come sottosegretarie. Perché, se no, avremmo fatto un’ulteriore brutta figura in Europa. Al che un ceto politico femminile che sembra non sappia nulla delle lotte delle donne, del femminismo, salvo le quote quando ci sono incarichi in vista, davanti alla miseria di questa argomentazione di Letta non ha avuto una reazione significativa e c’è stata solo una bega tra loro donne.
Durante la pandemia molti hanno parlato di un necessario cambio di civiltà – anche se non pensano alla libertà femminile e rimuovono il conflitto tra i sessi – per due ragioni: il disordine ecologico del pianeta Terra e l’ingiustizia nella ridistribuzione della ricchezza. In sostanza si può dire che il capitalismo ha stravinto con la tecnologia ma ha creato delle insopportabili disuguaglianze. Io propongo che sia possibile indicare i primi passi di una strada che solo la politica della differenza, con la pratica del partire da sé e della relazione, può mettere in atto, coinvolgendo degli uomini che sanno che il partito e molte delle istituzioni della politica maschile sono identitarie e non in sintonia con la realtà di oggi.
Comunque già dagli anni ’90 la politica della differenza parlava, chiedeva un cambiamento di civiltà. Scrivevo in un testo del 1997 intitolato Un conflitto esplicito: “questo passaggio di civiltà ha come protagonista un sesso sconosciuto poiché la differenza femminile è fuori dalle attuali categorie interpretanti … l’uguaglianza delimita un campo di valori e di obiettivi da raggiungere: la parità nel salario, nelle carriere, nei diritti, eccetera. La differenza no. Mi dà solo delle leve per capire e fendere l’ordine simbolico: il partire da sé e la relazione invece che l’organizzazione e la rappresentanza. Però ho la sensazione alcune volte … che la differenza pur essendo esperienza profonda di ciascuna donna, si sottrae alla cattura delle interpretazioni. Io credo perché c’è reticenza ad assumerla e agirla nel mondo. Farne un fatto politico non di interiorità”.
Questo pensavamo allora. Adesso aggiungo che l’affermazione di Carla Lonzi è diventata una profezia: abbiamo approfittato come donne della differenza.
Un’inchiesta della rivista Internazionale n. 1399 del 5/11 marzo 2021 riporta che le ragazze traggono forza dal gruppo di amiche con le quali si raccontano esperienze, emozioni, giudizi su quello che succede nel mondo. Cioè fanno autocoscienza. E soprattutto citano le loro madri come modelli di comportamento. Sono libere.
Anche una recente inchiesta pubblicata dal Corriere della Sera mette in luce i buoni rapporti tra figlie e madri. D’altra parte, io stessa ho presente che nel mio gruppo di autocoscienza mentre con il racconto delle nostre esperienze anche le più intime si decostruiva il patriarcato, sentivo affiorare un sentimento diverso rispetto a mia madre.
Questo vuole dire che si è creato un simbolico delle donne: il “tra donne” è diventata la struttura simbolica che dà forza, così come la genealogia femminile, cioè un rapporto di fiducia con una donna venuta al mondo prima di te che può sostenere il tuo desiderio.
Infine, la relazione materna come figura di mediazione tra donne. E io aggiungo come mediazione con gli uomini. E possibile mediazione degli uomini con le donne.
Infatti mentre ragionavo sui temi di questa introduzione mi è venuto in mente che con un amico, Dino Leon, un giurista di valore, c’è stato uno scambio di scritti sulla politica della differenza. Una volta mi è arrivata una lettera che iniziava così: “penso che qualcosa (non so quanto) possa passare anche al figlio maschio. La madre insegna a parlare anche a lui”.
Guarda caso quasi tutti gli uomini che si sono sbilanciati verso la politica della differenza, per esempio Marcel Gauchet, Colin Crouch e Francesco Pacifico, indicano la mediazione della relazione materna nei rapporti tra donne e uomini. Durante il Me-too anche un importante cantante italiano di cui non ricordo il nome in una intervista al Corriere ha detto: se hai un sano rapporto con la madre rispetti le donne.
Qui, in queste semplici parole, io vedo un principio di mediazione per una politica di donne e uomini che metta fine all’umiliante, fuorviante e ossessiva richiesta di parità da parte delle politiche di professione. Ma vedo anche un’ambizione più alta. Che la politica della differenza di donne e uomini possa indicare i primi passi di una strada che affronti il disordine ecologico del pianeta Terra e che metta fine alle crescenti ingiustizie sociali.