La lingua e il pensiero non possono essere astratti
Raffaella Molena
18 Giugno 2024
L’astrattismo come postura del pensiero in economia e l’uso di parole ritenute neutre, come genere, hanno come immediato esito la negazione del pensiero derivato dall’esperienza e quindi legato ai corpi incarnati. Gli scritti di Ina Praetorius sono in tal senso illuminanti, e vale la pena riandarvi per farsi ispirare da un pensiero che funziona da antidoto al veleno astratto. Così come non è più possibile parlare di femminicidio come violenza di genere, anche qui astrattamente riferito a dei corpi generici: no, la violenza è molto materiale ed è rivolta contro le donne, in quanto tali.
Per le narrazioni fatte dalla stampa sulle guerre che altre e altri vivono, essere sul campo non è, secondo me, condizione sufficiente per contribuire a scompaginare le carte in tavola per una possibile ripresa di una negoziazione non rinviabile. Occorre anche evitare un linguaggio di totale contrapposizione: di qua solo i buoni, di là solo i cattivi, riportando un pensiero dicotomico perché sposa solo una ragione contro l’altra (e questo ben prima dell’ottobre ’23).
Ciò che resta fuori dall’orizzonte del giornalismo prevalente è il racconto delle esperienze (tante) del dissenso, della diserzione dalla guerra, le esperienze (di nuovo, non di concetti astratti) di cooperazione, di faticoso dialogo intessuto da entrambe le parti in causa. E questa omissione, insieme alle mancate parole, è politica. Come diceva Cecilia Alagna nel suo intervento, prevale la dittatura del pensiero sintetico, incapace di riunire nel breve un’intenzionalità verso la comprensione e il riconoscimento dell’altro, in totale assenza di mediazione (educati come siamo dalla lingua dei social, lingua priva di pensiero in atto).
Anche in Italia esistono associazioni, gruppi eccetera che tentano di far coesistere, di far incontrare soggettività altrimenti distanti e contrapposte, ma anche qui prevale il pensiero dicotomico, di totale e acritica contrapposizione, figlia anche di una colpevole ignoranza della storia.
Se la guerra, come penso che sia, è nella sua essenza una modalità relazionale, manca ancora una efficace mediazione in grado di far risaltare la complessità da un lato, e la volontà di uscire dallo scontro totale dall’altro lato.