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Da Elle – Tre generazioni di donne animano un centro di cultura politica femminista attivo dal 1975

La Libreria delle donne di Milano compie 50 anni. E oggi, come nel 1975, continua ad essere un vivace centro di incontro e di cultura politica delle donne e per le donne che tiene insieme tre generazioni. Alle fondatrici si sono affiancate negli anni quelle che potrebbero essere le loro figlie e nipoti, accomunate dalla ricerca di uno spazio fisico in cui confrontarsi sul pensiero femminista della differenza, sulla libertà, il desiderio, le relazioni, il lavoro. Il cinquantesimo anniversario viene celebrato con un calendario di incontri e iniziative organizzate in libreria e in altri luoghi della città (www.libreriadelledonne.it). Con la prima libraia, Giordana Masotti, 78 anni, ripercorriamo questi primi 50 anni.

Giordana, ci racconti come è nata la Libreria delle donne?

È nata in un periodo in cui il femminismo era vivacissimo, c’era molto fermento. Si praticavano i gruppi di autocoscienza, ma per lo più nelle case private. C’erano relazioni con gruppi di donne straniere e, in occasione di un viaggio a Parigi, su invito del collettivo Psychanalyse et Politique, alcune di noi vennero in contatto con una libreria delle donne che aveva aperto in quel periodo e così nacque l’idea di fare lo stesso a Milano. Attorno a questo progetto si è creato un gruppetto di circa 15 donne che dopo diversi mesi ha costituito una cooperativa che è riuscita nel suo intento prendendo in affitto dal comune di Milano, con un bando per le attività sociali, un fondo che si trovava in via Dogana 2, accanto a piazza Duomo.

la libreria della donne di milano compie 50 anni

Come avete trovato i soldi per avviare l’attività?

Abbiamo fatto collette, organizzato raccolte fondi, e poi un gruppo di artiste, coordinato di Lea Vergine, ha messo a disposizione alcune opere la cui vendita è servita per autofinanziamento. Nel tempo il rapporto con il mondo dell’arte delle donne è stato sempre intenso.Pubblicità – Continua a leggere di seguito

Cosa ti ha spinto a fare questa esperienza?

Io all’epoca avevo già un lavoro come impiegata in una biblioteca privata, ma mi sono licenziata per lavorare in libreria a tempo pieno. Poteva essere un rischio, ma per me la libreria significava mettere insieme la passione, il lavoro, la politica, tanti pezzi di vita. Mi sembrava interessante. Lo trovo anche molto attuale: oggi le persone cercano sempre più nel lavoro motivi di realizzazione personale ed espressione creativa di sé. È la vita che deve invadere il lavoro, non viceversa. Quello che noi abbiamo elaborato sul lavoro assomiglia molto al fenomeno attuale delle “grandi dimissioni”, nel non voler sottostare ai ricatti.

Ci racconti come veniva gestita la libreria?

È sempre stato un lavoro comune. Insieme si sceglievano i titoli da vendere, gli eventi da organizzare, le presentazioni, i film da proiettare. Io ero l’unica a lavorarci a tempo pieno, ma attorno a me c’era, e c’è tutt’oggi, un giro di donne che a turni tengono aperta la libreria. Da subito si sono formati dei gruppi che hanno dato corpo a interessi specifici, per esempio, la scuola, il lavoro, il cinema, e altri.

Come venne accolta l’apertura di questa libreria un po’ atipica?

Molto bene, c’erano attenzione e interesse. Era un crogiolo creativo che si poneva in maniera diversa: noi non parlavamo di parità, ma di libertà, di stare in relazione, di partire dal desiderio e di cercare genealogie femminili, cioè andare a scoprire che cosa avevano detto le donne venute prima di noi.

La Libreria delle donne è anche una casa editrice. Cosa avete pubblicato?

Abbiamo scritto e stampato varie riviste, i Quaderni di via Dogana, che erano libri, fascicoli, un foglio che chiamavamo Sottosopra che non aveva una periodicità fissa, lo facevamo uscire quando avevamo qualcosa da dire. Abbiamo fatto anche il giornale satirico Aspirina. Volevamo esporci, volevamo un luogo aperto.

La tua generazione come ha passato il testimone alle donne che sono venute dopo?

Direi che il testimone se lo sono preso, se lo prendono, e questa è una cosa meravigliosa. Ci teniamo a dire che nella libreria ci sono tre età, perché questa è una storia che va avanti. Per me, quando ripenso al passato, provo un senso di gratitudine enorme perché so che abbiamo fatto cose che hanno lasciato un’impronta e che sono state possibili proprio perché non eravamo sole, ci siamo messe insieme per farle. Non è sempre facile fare le cose insieme, ci sono anche i conflitti, noi ci siamo riuscite.

Dunque, uno spazio transgenerazionale…

Ho visto nelle giovanissime il desiderio di appropriarsi delle origini di questa nostra vicenda, per vedere che cosa a loro torna, che cosa loro ci vogliono mettere, che risposte possono trovare. Loro dicono di aver bisogno di riconquistare spazi fisici di condivisione e ascolto. Andare via dai luoghi dove ci sono solo sterili dibattiti, come i social media. Vogliono ritrovare una pratica, la bellezza del venire lì e fare le cose insieme, ragionare, discutere insieme.Pubblicità – Continua a leggere di seguito

Gli uomini frequentano la libreria delle donne?

Sì, certo. Ci sono uomini che partecipano agli incontri. Abbiamo anche una sezione di libri di “amici delle donne”. Troviamo sempre più uomini, giovani e meno giovani, che si ribellano alla maschilità di tipo dominante. Noi abbiamo sempre detto che la capacità di gestire le differenze e il conflitto è l’unico modo per abbandonare la strada delle guerre. Abbiamo pubblicato un numero della rivista Via Dogana che si intitolava Disimparare la guerra, imparare a confliggere. Mettere in discussione la maschilità bellica è fondamentale.

In questi 50 anni, quali sono state le attività più significative proposte dalla Libreria delle donne?

Ne abbiamo fatte davvero tante… Di sicuro la Scuola di scrittura pensante di Luisa Muraro e altre è stata un fil rouge importante che metteva insieme il generare pensiero e generare parola, cioè la possibilità di affinare la scrittura connettendola alla capacità di elaborare pensiero, alla capacità cioè di pensare insieme. Altro che empowerment! Molto più di un corso di scrittura creativa! Ma ci tengo a ricordare anche l’Agorà lavoro: facevamo incontri ogni due mesi in una sala che ci metteva a disposizione il Comune, dove uomini e donne insieme discutevano su vari temi connessi al lavoro. E il rapporto con l’arte, come accennavo prima, è stato sempre coltivato. Nella libreria di via Calvi, dove siamo nel 2001, c’è sempre stata una vetrina dedicata all’arte.