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Da Sette – Corriere della Sera, con il titolo “La differenza sessuale è un fatto: la galassia lgbt accetti le critiche”

In Donne si nasce (e qualche volta lo si diventa), la filosofa prova a ricucire il dialogo con le generazioni più giovani (a cui appartiene l’autrice di queste pagine). «Il pensiero queer è militante e la militanza richiede semplificazione»

La filosofa francese Simone de Beauvoir, autrice di uno dei testi chiave del femminismo europeo, Il secondo sesso, in cui afferma che «donna non si nasce, lo si diventa», sostenendo che a definire il destino della donna non è lo status biologico e psicologico ma la sua condizione sociale e storica.

Nel viaggio di consapevolezza di molte donne e ragazze under 30 c’è stato un libro che ha segnato una svolta da un femminismo “sentito” a uno “capito”. Era un’antologia di testi femministi curata dalla filosofa Adriana Cavarero, che ha permesso a un’intera generazione di fare la conoscenza, tra le altre, di Virginia Woolf, Carla Lonzi, Monique Wittig. Oggi Cavarero ha scritto, insieme alla professoressa ordinaria di filosofia politica all’Università di Verona Olivia Guaraldo, un altro libro che è destinato ad avere la stessa funzione: Donna si nasce (e qualche volta si diventa), edito da Mondadori. Stavolta non c’è una raccolta di estratti ad accompagnarci a una consapevolezza maggiore verso il femminismo, ma una appassionata ricostruzione – e difesa – della ricchezza del pensiero femminista, in particolare di quello della differenza sessuale. Il tema senz’altro è divisivo e le due generazioni, quella del femminismo storico e quello nuovo, rischiano di non riuscire a trovare le basi per un dialogo. Questo libro cerca di porle.

Il vostro libro si rivolge in maniera esplicita a delle “ragazze”, perché?

«Oggi il linguaggio del femminismo è dappertutto, soprattutto sui social, ma questa onnipresenza può creare confusione. Non è detto che quelli che lo usano conoscono veramente la storia di questi termini e come si sono evoluti. Io e Olivia Guaraldo volevamo fare chiarezza, spiegare, diradare questa confusione. Ma non è solo questo: queste ragazze, come te, sono la nuova generazione del femminismo e abbiamo voluto passarvi il testimone, perché siete voi che dovete continuare a fare evolvere la teoria e la pratica femminista. Ma per farlo è indispensabile conoscerne bene la storia».

Mi sembra che l’intento sia riuscito. L’ho trovato un libro molto onesto: voi dichiarate subito il vostro posizionamento, ma c’è un’apertura verso chi ha idee differenti. Si vede che c’è uno sforzo di comprensione. Su tanti temi io la vedo in modo diverso, ma leggendo non ho mai avuto l’impressione che mi voleste convincere di qualcosa. È uno strumento di cui la mia generazione ha bisogno, perché spesso l’ostilità verso certe teorie è dovuta proprio a quella confusione di cui parlava prima. Penso soprattutto al tema della differenza sessuale.

«Questo patrimonio va tesaurizzato, ma anche fatto evolvere. Ogni generazione ha la sua versione del femminismo, ed è normale che sia così. Io credo che l’ostilità verso la differenza sessuale sia causata anche da un problema di comunicazione, che noi abbiamo del tutto trascurato perché abituate a un femminismo fatto di corpi in presenza. Noi eravamo abituate ad altro, all’autocoscienza, ai gruppi di donne, e abbiamo sottovalutato l’importanza della comunicazione. D’altro canto i social hanno portato una diffusione capillare delle teorie queer fra le giovani, ma senza alcun approfondimento, per cui spesso l’assorbimento è stato quasi di tipo ideologico».

E le stesse teorie queer ne hanno sofferto. Nel libro si parla molto di come il pensiero di una delle più importanti pensatrici di questo filone, Judith Butler, con cui lei è in ottimi rapporti anche se siete in disaccordo, sia stato male interpretato e portato all’estremo. A volte sono state ignorate le evoluzioni successive delle sue teorie. Pensa che questa estremizzazione sia capitata anche col pensiero della differenza? A volte noi giovani abbiamo questa impressione.

«Il pensiero queer è militante, e la militanza richiede semplificazione. Il pensiero della differenza tende a diffondersi a macchia d’olio, andando a toccare molti ambiti disciplinari e creando gruppi di ricerca in campi molto diversi, dalla storia alla sociologia. E all’università non si è mai estremisti. Se tu avessi un professore estremista, sarebbe un cattivo professore. L’accademia non si presta molto alle estremizzazioni, mentre la politica sì. Le stesse opere di Butler sono molto difficili da leggere e infatti quella che ne è circolata è la loro rimasticazione militante».

Ci sono temi di cui il femminismo storico si è occupato moltissimo, mentre oggi sono marginali nei nostri dibattiti. Penso alla potenza di generare, e quindi alla maternità, che sta alla base del pensiero della differenza sessuale. La mia generazione tende a considerare l’importanza che avete dato alla madre come una mistica della maternità, che a noi pesa.

«Non è affatto così. Noi siamo partite da un fatto, cioè che siamo “tutti e tutte nati da donna”, come diceva Adrienne Rich. Oggi questo fatto viene considerato trascurabile, ma da filosofa non posso pensare che l’origine di ognuno sia poco interessante. I filosofi maschi non si sono mai posti questo problema, perché gli uomini non partoriscono, ma le donne non possono fare altrettanto. Anche tu sei nata da tua mamma, ma questo non ti obbliga a diventare madre. È la Chiesa cattolica a invitarti a partorire, non il femminismo. Il femminismo però ti invita a riflettere sul fatto che, come esseri umani, non solo moriamo, ma nasciamo e nasciamo da corpo di donna, e che il corpo di donna rispetto al corpo maschile ha questa capacità di gonfiarsi, di scindersi e di partorire».

Forse è proprio questo tassello a mancarci: non teorizziamo la maternità, ma la pensiamo solo nei termini di una scelta personale.

A proposito di maternità, l’ultimo capitolo è dedicato a quella surrogata, un tema che ha spaccato profondamente il movimento e su cui c’è un grande divario, anche generazionale, tra il femminismo della differenza e il transfemminismo di oggi. Nel libro si parla più volte dell’alleanza storica tra il femminismo e i movimenti di liberazione omosessuale, lesbico e transgender. Secondo lei, questa alleanza si è rotta? E se si è rotta, su quali basi si può ricostruire, sempre che vada ricostruita?

«Secondo me questa alleanza è molto in crisi in questo momento e lo si capisce da alcuni esempi presenti nel libro, come il fatto che la parola “donna” viene sostituita con “persona con utero”. Ovviamente noi auspichiamo che questa crisi venga superata e che attraverso la ragione e il buon senso si torni alle alleanze, e si torni a collaborare. Ma finché c’è un’estremizzazione e un attacco al binarismo, come se fosse una cosa brutta nascere maschi o femmine, le alleanze sono molto difficili».

A molte femministe della differenza si contesta che le posizioni di critica alla categoria del “gender” finiscono per assomigliare alle posizioni dei conservatori che parlano di “ideologia gender”, che però sono gli stessi che limitano i diritti delle donne, che le considerano solo come madri e mogli, che vogliono vietare il divorzio e l’aborto. Come risponde a questa obiezione?

«Quando abbiamo scritto il libro, ci siamo rese conto che c’era questo grande rischio, ma la nostra posizione è tutt’altro che conservatrice o favorevole alla famiglia tradizionale. Ma questo pericolo non può diventare il motivo per cui non si può più fare alcuna critica alle posizioni della galassia LGBT. Di mestiere sono filosofa e ho sempre operato col pensiero critico. Devo assumermi il rischio: riconoscere la differenza sessuale è un fatto. Poi ci sono tante interpretazioni a questo fatto: c’è quella conservatrice, ma c’è anche quella femminista che è rivoluzionaria e che ha permesso alle donne di creare la propria soggettività libera nella relazione».