Iran: il nuovo “centro operativo per la modestia e l’hijab” e il fallimento del controllo
Siyavash Shahabi
21 Ottobre 2025
da tvxs.gr,
Venerdì 17 ottobre 2025 il segretario dell’ufficio provinciale di Teheran per l’“Imposizione del bene e la proibizione del male” ha annunciato la creazione di un nuovo “Centro operativo per la modestia e l’hijab”, insieme all’organizzazione e all’attivazione di «oltre 80.000 volontari addestrati» e 4.575 istruttori e assistenti giudiziari (noti come zabet-e qazaei).
I funzionari lo hanno presentato come una campagna socio-culturale, che sarà condotta in collaborazione con istituzioni culturali e per la sicurezza. Non si tratta di una voce: molti media iraniani hanno pubblicato dichiarazioni sull’argomento.
Si tratta di una nuova forma di polizia morale? Non esattamente, ma è stata progettata per svolgere un lavoro simile attraverso una struttura diversa. Il cosiddetto “Setad” (nuova unità di polizia) è un organismo di elaborazione e coordinamento delle politiche che opera a livello nazionale sulla base della legge del 2015 “Misure a sostegno di coloro che impongono il bene e proibiscono il male”.
La legge è chiara: la “segnalazione” verbale o scritta è consentita a qualsiasi cittadino, ma l’applicazione pratica della misura è di esclusiva responsabilità dello Stato. In altre parole, i volontari non possono arrestare, trattenere o usare la forza.
Tuttavia, la legge consente ad alcuni assistenti di giustizia certificati, solitamente formati attraverso il Basij e certificati come “funzionari giudiziari”, di raccogliere documentazione e inviare segnalazioni dirette alla polizia e agli uffici della procura.
Il Setad non ha veri e propri poteri di polizia, ma costituisce una rete. Si tratta essenzialmente di un sistema coordinato di segnalazione, documentazione e trasmissione più rapida dei casi alle autorità, non di furgoni che prelevano le donne dal marciapiede.
Perché adesso?
Perché il regime è intrappolato tra la lettera della legge così e una realtà sociale che non può far tornare indietro. Dopo la rivolta di “Donna, Vita, Libertà” le leggi sull’obbligo dell’hijab non sono mai state abrogate, ma la loro applicazione non può essere garantita ed è contestata.
Alla fine del 2024, il governo ha annunciato il congelamento il nuovo disegno di legge sulla “Modestia e l’hijab” a seguito di consultazioni interministeriali; il vicepresidente Shahram Dabiri ha dichiarato che il Parlamento non dovrebbe «per il momento» mandarlo avanti, mentre a maggio 2025 il presidente del Parlamento Mohammad-Bagher Ghalibaf ha rivelato che un ordine scritto del Consiglio Supremo di Sicurezza Nazionale intimava al Parlamento di non promulgare la nuova legge. In altre parole: il testo esiste, ma è stato “congelato” dalla massima autorità per la sicurezza.
Questa sospensione ha messo in luce fratture interne sistema. L’importante esponente conservatore Mohammad-Reza Bahonar ha dichiarato apertamente che il disegno di legge sull’obbligo dell’hijab «non è più legalmente applicabile», un’ammissione sorprendente da parte di un fedele del regime.
Allo stesso tempo, i rappresentanti della Magistratura insistono sul fatto che le vigenti normative sull’hijab «restano in vigore». La contraddizione non è superficiale: rivela un vicolo cieco, in cui lo Stato emana leggi che non riesce a imporre alla società civile, e ciascuno dei vari centri di potere improvvisa.
Il funzionamento del nuovo “Centro Operativo”
Il regime sta spostandosi dalla repressione per le strade (il classico modello della polizia morale) a un ibrido di “vigilanza” organizzata, sanzioni amministrative e sorveglianza digitale.
Dal 2023-24, le autorità hanno ripristinato le pattuglie, ma hanno introdotto anche misure di controllo “intelligenti”: uso massiccio di telecamere a circuito chiuso, monitoraggio delle targhe, riconoscimento facciale nelle università e l’app NAZER che consente a funzionari e cittadini di denunciare “infrazioni” all’interno di auto e sui mezzi di trasporto.
I proprietari ricevono SMS automatici che li avvisano che verranno sottoposti a multe o al sequestro del veicolo. I rapporti delle Nazioni Unite nel 2025 confermano questa svolta verso il controllo digitale: ora droni, app e flussi di dati supportano l’imposizione dell’hijab, mentre il pubblico la rispetta sempre meno. Il piano Noor del 2024 dimostra come si possano applicare rapidamente questi meccanismi.
Il controllo è ripristinato?
Non proprio. Le strade di Teheran assomigliano a un referendum perpetuo, con comportamenti diffusi di disobbedienza nonostante le periodiche repressioni. Per questo i funzionari adottano un modello di governance che cerca di disciplinare il rispetto della legge: volontari che avvertono e registrano, assistenti che segnalano e intensificano i controlli, telecamere e app che consentono di punire senza arresti spettacolari. Si applica la legge attraverso procedure burocratiche e pixel, non attraverso la persuasione.
Una situazione che ricalca l’esempio delle patenti per motocicli alle donne. Anni fa, il Tribunale Amministrativo dell’Iran ha stabilito che non esisteva alcuna base giuridica per vietare alle donne di ottenere la patente. Tuttavia, la polizia stradale continua a sostenere che “la legge” lo vieta. Solo il mese scorso, un ex-vicecapo della polizia stradale ha ammesso ancora una volta che non esiste uno specifico divieto legale, ma solo uno per ragioni pratiche.
Questo è lo stesso schema: la legge tace, l’applicazione rimane rigida, i diritti sono «teoricamente possibili», ma se ne nega la fruibilità. Il nuovo Centro Operativo si inserisce perfettamente in questa impasse amministrativa.
La violenza strutturale contro le donne
Questa politica si inserisce in un contesto più ampio di violenza strutturale contro le donne. Un rapporto del Centro per i Diritti Umani in Iran (gennaio 2025) ha registrato un aumento dei femminicidi e la mancanza di una legge protettiva completa, pene irrisorie per i “delitti d’onore”, una legislazione che rafforza la tutela maschile e una rete inadeguata di case-rifugio e di assistenza per le donne.
Parallelamente, organizzazioni internazionali hanno segnalato un aumento generalizzato delle esecuzioni capitali nel 2024, comprese quelle femminili, nel contesto di un clima generale punitivo e repressivo. L’imposizione dell’hijab rientra in questo contesto.
L’economia e la politica del corpo
La politica del controllo sul corpo delle donne è sostenuta dall’economia. Nel 2024 in Iran le donne erano solo il 13,4% della forza lavoro, contro il 66,3% degli uomini (secondo la Banca Mondiale e l’ILO), uno dei tassi più bassi a livello mondiale. Non si tratta di una “preferenza culturale”, ma di una scelta politica: diritto di famiglia, modalità di assunzione e precarietà del lavoro inficiano l’indipendenza economica delle donne. Uno Stato che proclama la “modestia” e ostacola l’accesso al lavoro e alla sicurezza delle donne produce economicamente la disuguaglianza che poi disciplina attraverso il codice di abbigliamento.
Quindi cosa sta succedendo?
Le autorità stanno cercando di risolvere un problema di legittimità attraverso la burocrazia. La polizia morale si fa ancora vedere di tanto in tanto, ma ad un costo politico alto, e provoca reazioni. Il Centro Operativo sotto il Setad promette qualcos’altro: una rete burocratico-digitale che sposta la responsabilità all’esterno (sui “cittadini”), standardizza la documentazione (tramite assistenti) e automatizza le sanzioni (tramite telecamere e app).
Legalmente, i volontari non possono arrestarti; praticamente, possono assediarti con una rete di segnalazioni che porta a multe, avvisi o rinvii a giudizio, ed è esattamente questo lo scopo.
Due dure verità
La prima è che lo Stato ha perso l’egemonia sulla vita quotidiana e sull’immagine delle donne; il “congelamento” della nuova legge è una tacita ammissione di questa sconfitta.
La seconda è che il regime non ha concesso diritti, ma sta riducendo la visibilità della coercizione aumentandone l’efficacia con vari nuovi mezzi, oltre ai manganelli. Se vi chiedete se questo sia il “ritorno della polizia morale”, non cogliete il punto: il modello è stato riprogettato. I vecchi furgoni non sono scomparsi del tutto; il nuovo modello trasforma ogni telefono e ogni telecamera in un’auto di pattuglia. E un “Centro Operativo” a Teheran cerca di mantenere in funzione questa macchina, mentre il Parlamento e il Consiglio di Sicurezza Nazionale discutono se esista una base giuridica.
In breve, il Setad non è formalmente una forza di polizia, ma costituisce il sistema operativo che diffonde l’attività poliziesca in tutta la società. E al momento, questo è il modo principale con cui il regime cerca di recuperare un controllo che non può più imporre per le strade.
(*) giornalista e attivista iraniano che vive in Grecia