Io resto fedele alla dizione “femminismo della differenza”
Emanuela Mariotto
25 Gennaio 2017
Per il momento, io resto fedele alla dizione “femminismo della differenza” e lo spiego così: la differenza sessuale è, fin dall’origine. C’è la differenza femminile e c’è la differenza maschile. L’una e l’altra si fondano sul rapporto originario con il corpo materno. È questa consapevolezza che voglio conservare e, se possibile, tramandare perché fa ordine simbolico.
Io, donna, sono nata con un corpo uguale a quello di mia madre, un corpo predisposto in un certo modo alla riproduzione umana; tu, uomo, sei nato con un corpo diverso da tua madre e una diversa disposizione alla riproduzione. È ancora vero, infatti, che una nuova creatura nasce da un ovulo femminile e da un seme maschile, a meno che non ci arrendiamo agli scenari disumanizzanti delle tecnologie riproduttive così entusiasticamente sostenute dal mercato. La biforcazione originaria, declinata in modi diversi nel tempo e nei luoghi, è produttrice di significati e a questa declinazione ciascuna/ciascuno cerca di partecipare.
Queste cose sono del tutto chiare, ad esempio, alla mia giovane nipote, laureata, disoccupata con lavori precari, che non si dichiara femminista (ma nemmeno antifemminista), ma è convinta che nascere con un corpo di donna o di uomo “fa la differenza” e interpreta femminicidi e violenza contro le donne come una rivalsa di uomini che non accettano la libertà femminile.
Più di questo non ho da dire sulla differenza sessuale che, a livello simbolico, io interpreto come un significante più potente e davvero universale che può spodestare, e già lo sta facendo, il buon vecchio “Fallo” della tradizione psicoanalitica. Forse per questo gli uomini fanno fatica a capirla nelle donne e a riconoscerla per sé. Quanto alle giovani generazioni, ciò che vedo, e temo, è che la scelta dell’oggetto d’amore sessuale, la manipolazione del corpo e del genere sessuale si riducano a essere le uniche “libertà” concesse da un sistema globalizzato sempre più rigido e oligarchico (ma accattivante), che con le sue ferree “leggi” economico-finanziarie spacciate per naturali, è disposto a concedere molto sul piano dei diritti sessuali, ma pressoché nulla negli altri campi: disoccupazione, lavoro, istruzione di qualità, disuguaglianze crescenti, partecipazione alle decisioni fondamentali per una buona convivenza umana, marginalizzando, quando non escludendo del tutto proprio le giovani generazioni e quote sempre più estese di popolazione.