Indifferenziato sulla scena pubblica, dove è stato l’errore?
Rinalda Carati
5 Gennaio 2017
Care amiche di VD3
1) È vero – come ha detto Lia Cigarini – che le donne fanno tutto e sono dappertutto. Questo però non porta alcun vantaggio alla qualità della mia vita. Anzi: spesso il modo di mostrarsi delle donne che hanno maggiore visibilità “pubblica” mi crea disagio. Certo sono donne, come me. Loro ci sono, la differenza sessuale non lo so se c’è.
In molti casi quello che vedo non mi parla di “senso libero della differenza sessuale”, l’espressione di Luisa Muraro che voglio imparare a adoperare, perché è più adatta a questo tempo rispetto a libertà femminile (non fosse altro perché è una espressione nella quale possono riconoscersi anche gli uomini che vogliono farlo, e quello degli uomini è un problema che non vedo come possa essere tralasciato: mi sembrano a volte sì sofferenti, ma non pietrificati né privi di desiderio).
Questa più visibile presenza femminile sulla scena pubblica mi parla al contrario di una sorta di indifferenziato: forse il modello a cui si ispirano molte di queste donne – non tutte – non è più quello maschile, ma un qualcosa supposto buono in generale, all’interno del quale il corpo non ha senso. Il che ovviamente significa che ne ha moltissimo, forse più che mai, ma non se ne deve parlare.
2) All’espressione “libertà femminile” comunque sono attaccatissima: perché la libertà è erotica. Quello che vorrei essere capace di raccontare/trasmettere a donne più giovani di me, è proprio la sensazione che ho provato tutte le volte che mi sono sentita libera. Tutte le volte che mi è riuscito di fare libertà per me stessa e per un’altra: a questo che ho vissuto non rinuncerei per nessuna ragione al mondo. Essere libera, essere viva. Mi emoziono quando ci penso e ne parlo. Non ho mai smesso di provare a farli esistere, quei momenti lì. E non riesco a capire perché di questa preziosissima esperienza (soggettiva, ma è quello che fa cambiare il modo in cui puoi stare al mondo), sembra che adesso molte donne più giovani di me non ne abbiano bisogno. Eppure sono convinta che se va perduto questo aspetto non si può fare altro che ricascare nella logica del fine che giustifica i mezzi. Ma non c’è il fine (non si va mai dove si crede di stare andando: se non ce lo ha insegnato la storia del Novecento non so che altro ce lo possa insegnare) e non ci sono i mezzi. Come diceva la mia Rosetta: c’è solo l’esistenza (perché la vita è in prestito) e quindi c’è da cercare la propria esistenza meglio che si può, sapendo della morte.
3) Che fare a questo punto? Penso anch’io che le teorie e pratiche queer e dintorni siano “vincenti” in questa fase. La questione della libertà c’entra molto anche in questo. Vince, mi pare, una interpretazione della libertà come allargarsi “all’infinito” delle possibilità e non come legame strettissimo con la necessità. Per me, nata nel 1951, la scelta è stata: o riesco a dire io che cosa è una donna, oppure stare al mondo non mi interessa. Semplice. Per le donne giovani adesso è diverso: una parte di quel che c’era da fare è stato fatto. Perché quei due aspetti della questione della libertà (possibilità/necessità) si sono disconnessi e sembrano quasi diventati alternativi? Se questo accade, a me viene da chiedermi dove sia stato l’errore. Mio, delle donne che pensavano come (e molto meglio) di me. Sono tutt’altro che soddisfatta: ascolto con interesse chi – come ad esempio Laura Colombo – chiede un supplemento di lavoro sulla questione del potere. Non sottovaluto questo aspetto. Eppure: è proprio impossibile che l’erotismo della libertà possa essere più forte di quello del potere?